ANNOZERO, SANTORO E L’INDIGNAZIONE POPOLARE

L’indignazione popolare per l’ultima trasmissione di ‘Annozero’ ha raggiunto stavolta livelli impensabili, più di quello raggiunto con la trasmissione contro Israele, che costrinse Lucia Annunziata ad abbandonare gli studi televisivi, inseguita dagli impropèri del ‘padrone di casa’ Michele Santoro. Quella nata dalla trasmissione sui bambini di Gaza era, comunque, un’indignazione più per addetti ai lavori e intellettuali fini, al contrario di quella odierna che ha toccato ogni strato sociale ed è stata di dimensioni impensabili.

Ha, certamente, giocato in questa diversità, la dimensione della tragedia vissuta dagli abruzzesi, l’orgoglio di far parte di un Paese che finalmente ha saputo affrontare l’emergenza senza pressapochismi, ma con velocità e capacità, la visibile vicinanza del Paese politico a quello reale, ma, perché no, ha giocato anche il clima di concordia nazionale inaugurato da una opposizione finalmente cosciente che il proprio ruolo non può essere solo e soltanto rappresentato dal muro contro muro. Per la prima volta, i politici, di ogni schieramento non hanno subìto contestazioni e non sono stati sommersi dai fischi che, normalmente, sono la valvola di sfogo degli incapaci e dei disperati senza alcuna prospettiva futura e che hanno come detonatore un Governo imbelle. Al contrario di quanto sta avvenendo in Abruzzo.

Ma se così stanno le cose, e considerando che Santoro non è uno sprovveduto, viene spontanea una domanda. Perché il guru ha voluto tirare la corda e creare una situazione di forte frizione? Cosa nasconde questa manovra? E’ possibile che esso sia alla ricerca del martirio o, che sapendo che nella programmazione, del prossimo anno, Annozero non ci sarà, tenti di uscire a testa alta, oppure che sia gestore di grandi manovre, con diversi obiettivi, come quello di finire su Sky e di liquidarsi una spalla, ormai ingombrante, qual è quella di Marco Travaglio? Tutto, comunque, circoscritto all’ambito professionale.

Credo che sul piano professionale c’è un pezzo di ogni ipotesi avanzata in questi giorni. Uscire dalla Rai con l’onore delle armi, vestire i panni del martire, approdare subito ad altri lidi. Ma non scarterei il risvolto politico che la vicenda, tutta la vicenda Santoro, riveste. Egli usa un linguaggio aggressivo, conduce una trasmissione mettendo il bavaglio alle voci contrarie o costringendole alla cautela, imperversa sapientemente con servizi piegati agli obiettivi da raggiungere, dà voce al megafono delle procure col travaglismo, e, dulcis in fundo, colora le proprie trasmissioni col secco prezzemolo vauriano. E c’è, pure, un furbetto che ha capito la musica e si è subito messo a disposizione come l’ex magistrato De Magistris.

L’operazione di questi anni ha portato il Santoro a liberarsi dalla tutela della sinistra, a cui comunque doveva rendere conto, per costruirsi una corazza autonoma. Ha raccolto di tutto, dai girotondini, ai grilli, agli estremisti, ai superstiti del sol dell’avvenire, a sindacalisti allo sbando, allo stesso Di Pietro. Il linguaggio violento e aggressivo gli è servito, e gli serve, per tenere coesa questa tribù così variegata ma detentrice di un comune denominatore: l’antiberlusconismo. Questa tribù occupa, certamente, una nicchia, se si vuole una nicchia di sopravvivenza, ma è una nicchia importante perché, pur essendo occupata da una minoranza, essa è molto rumorosa e si fa sentire.

Santoro si serve di questa tribù, e la tribù si pasce di tutte le nefandezze che gli si propinano, perché vive in un mondo irreale, fatto di odio e di razzismo. L’odio contro gli avversari considerati nemici da abbattere, e il razzismo contro gli stessi che sono considerati, comunque, esseri inferiori rispetto a loro che sono superiori politicamente, culturalmente e moralmente. Santoro, anche per questo è un pericolo per la convivenza democratica di questo Paese, e prima lascia la Rai e meglio è.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 14.4.2009

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