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GIUSTA LA STRADA..
La Direzione Nazionale di Sabato 22 settembre accogliendo all’unanimità la proposta di Stefano Caldoro per l’adesione alla costituenda Federazione della CdL, ha spazzato via, in un sol colpo, e definitivamente, le assurde menzogne diffuse a piene mani sul percorso del Nuovo PSI.
I punti fermi da cui si è partiti sono stati, il rifiuto del Partito unico dei moderati che non alletta neanche alla lontana i riformisti, e la difesa dell’autonomia e dell’identità dei socialisti che sono stati alla base dei rifiuti di seguire Zavettieri prima, e De Michelis dopo. Il percorso che queste scelte comportano era, comunque, già stato delineato al Congresso di giugno: si è quindi trattato di un percorso obbligato, ma tanto più importante perché liquida ogni volgare polemica sulle reali intenzioni del Gruppo dirigente del nostro Partito.
L’aver ribadito questa scelta, soprattutto oggi, permette al Nuovo PSI di diventare realmente un chiaro punto di approdo per quei compagni che si trovano oggi sbandati e senza reale prospettiva politica. Tutti sanno, infatti, che l’avventura del duo Craxi-Zavettieri, è totalmente abortita, e da quel raggruppamento (I Socialisti Italiani) sono passati ad altre collocazioni i componenti dell’intero gruppo dirigente calabrese; nel mentre l’avventura di De Michelis è finita prima ancora di nascere.
La Costituente, parola magica per i socialisti, si sta quindi rivelando una grande menzogna. A nulla serve imbarcare gli Angius quando abbandonano lo SDI compagni del calibro di Ottaviano Del Turco e Cesare Marini, e abbandonano Zavettieri, i Racco e le Fabiano, e grande si presenta il fermento attorno ai compagni che hanno seguito De Michelis e che rifiutano l’imbarco a sinistra.
Il Nuovo PSI diventa quindi, anche per la scelta definitivamente formalizzata nella Direzione del 22 settembre, un netto, chiaro e forte punto di riferimento per tutti i socialisti che rifiutano di confluire nel Partito Democratico, che percepiscono l’imbroglio della Costituente, e non vogliono ritirarsi, come si suol dire, a vita privata.
A noi non rimane che tenere aperte le nostre porte, chiedendo a chi comprende le mistificazioni di questi anni e di questi ultimi mesi, un atto di coraggio: aderire all’unico Partito socialista che sarà presente sulla scena politica italiana.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 25.9.07
Panorama spiega come le coop cercarono di fermare l’esselunga
Alla fine di maggio dell’anno scorso, Bernardo Caprotti, il fondatore dell’Esselunga, mi fece sapere che avrebbe voluto conoscermi. Fu Carlo Rossella a preannunciarmi la telefonata dell’imprenditore che giusto 50 anni fa, con Nelson Rockefeller, portò in Italia i supermarket. «Potremmo vederci a colazione il 14 giugno?». Andai. Il giorno prima era diventato nonno per la quarta volta. Marina, l’ultima dei suoi tre figli, aveva messo al mondo Sofia.
Pranzammo nella mensa aziendale di Limito (Milano), dove ogni giorno Caprotti prende un vassoio e si mette in fila con operai, autisti, impiegati e dirigenti. Jamón iberico («Pata negra, senta che prosciutto»), pizza margherita, pennette pomodoro e basilico, «niente di diverso da quello che mangiano i nostri clienti, qui fuori abbiamo la più grande cucina per piatti pronti del continente, 28 mila metri quadrati». Disse proprio del continente, non d’Europa. Magari in Inghilterra ce n’è una più grande, chissà .
Dopo il caffè, Caprotti mi portò nella Sala della notifica, con tanto di targa ovale d’ottone all’ingresso, «così detta perché è qui che notifico i licenziamenti». Scherzava, ma io allora non potevo saperlo, anzi mi sembrò un’eccentricità congeniale al personaggio, da tutti descritto come burbero, in realtà un gran borghese di 82 anni dal tratto aristocratico, che non dà interviste (tranne quella concessa a Panorama nel marzo 2005, ndr) e ha smesso di partecipare alle assemblee dell’Assolombarda per non farsi fotografare, capace d’irruenza abrasiva solo se gli toccano la sua creatura, Esselunga. Più avanti avrei scoperto che la stanza si chiama in quel modo perché l’ha abbellita con mobili settecenteschi e vedute veneziane di Bernardo Bellotto e Michele Marieschi, scuola del Canaletto, tutte opere d’arte notificate dal ministero dei Beni culturali.
Trasse da una cartella un malloppo di fogli dattiloscritti. Allegato c’era un faldone di rogiti, planimetrie, delibere comunali, lettere, foto, ritagli di giornale. «Mi farebbe piacere se lei ci potesse dare una scorsa. Non ho fretta». Cominciai a leggere. Non credevo ai miei occhi: con prosa nervosa, in bilico fra Ottocento e Duemila, i verbi coniugati alla maniera di Ippolito Nievo e Carlo Emilio Gadda («ebbimo», «fecimo», «diedimo») e lo slang di chi ha imparato il mestiere fra Texas, Maine e Massachusetts, si dipanava un j’accuse implacabile, supportato da documenti inoppugnabili. In un paese normale avrebbe ingolosito anche il più scettico cronista di giudiziaria. Se non altro per la mole dell’imputata: la Lega delle cooperative. Una galassia da 50 miliardi di euro, che vale il 3 per cento del pil nazionale.
C’era il ministero dei Beni culturali, affidato alla diessina Giovanna Melandri, che impedisce l’apertura di un’Esselunga a Bologna, causa ritrovamento di ruderi etruschi durante i lavori di scavo delle fondamenta, mandando all’aria un investimento da 20 milioni, salvo stabilire, sei mesi dopo, che i reperti vanno trasferiti altrove e lì si può tirar su un supermercato Coop.
C’era Mario Zucchelli, il presidente della Coop Estense allargatosi da Ferrara fino alla Puglia, che attraverso una società di comodo strappa un terreno di 192 mila metri quadrati a una gentildonna milanese sopravvissuta alla Shoah, la quale lo aveva ricevuto in donazione nel 1942, dodicenne, prima d’essere deportata ad Auschwitz col padre e con i nonni. E per quest’area di edificabilità commerciale alla periferia di Modena, quindi di valore infinitamente più elevato del produttivo o del residenziale, indispensabile per la costruzione della Coop Grand’Emilia, paga alla signora ebrea appena 1,1 miliardi di lire quando per un pezzo di terra adiacente, due volte e mezzo meno esteso, è costretto a versare all’amministrazione comunale, seppure «amica», la bellezza di 10 miliardi. L’809 per cento in più.
C’era Turiddo Campaini, ascetico ex funzionario del Pci, presidente della Unicoop Firenze fin dai tempi in cui al Cremlino sedeva Leonid Breznev, che in tre anni riesce a fare ciò che l’Esselunga non era riuscita a fare in nove: aprire un supermercato dove prima sorgeva lo stabilimento Superpila, scucendo per la nuda area una cifra impossibile, 29 miliardi di lire. Oltre il triplo dei valori di mercato.
C’era, messa nero su bianco con il puntiglio calvinista di chi in vita sua non ha mai pagato tangenti, una cronistoria emblematica. Le insistenze di Carlo Olmini, dirigente comunista assurto ai vertici della Legacoop, affinché l’Esselunga facesse pubblicità sull’Unità . Gli scioperi a orologeria proclamati dalla Cgil nell’imminenza di Pasqua o di Natale. I picchetti, le occupazioni, i sabotaggi organizzati contro l’unica azienda della grande distribuzione che aveva concesso il lavoro a turni e accordato la riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 40 ore a 37,5 a parità di retribuzione. Gli scontri fisici con i facinorosi «capeggiati da un certo Bulgari, un facchino che lavorava nel magazzino dei formaggi, il quale urlava come un ossesso: “Libertà è aderire alla maggioranzaâ€Â». I micidiali chiodi tricuspidi, saldati in modo tale che almeno una delle punte rimanesse sempre rivolta verso l’alto, gettati per strada davanti al magazzino di Firenze per squarciare le gomme degli autotreni gialli con la «S» rossa dipinta sulla fiancata, che mandarono a schiantarsi contro il guardrail un camionista. L’aggressione al direttore dell’Argingrosso, sempre in Toscana, Gianfranco Vannini, circondato da un gruppo di sette sindacalisti scalmanati, spintonato, insultato, stramazzato a terra, colto da ictus e rovinato per il resto della vita.
La vicenda dei reperti etruschi spiegava meglio di cento esempi il modus operandi delle Coop in perfetta sincronia ieri con Pci e Pds, oggi con i Ds, «e domani col Pd» non si fa illusioni Caprotti «giacché sono tante le parrocchie, ma una sola è la chiesa, e una sola la cassa». Il 16 novembre 1999 il direttore generale del dicastero retto dalla Melandri appone il vincolo alle «fondazioni di un complesso rustico di età etrusca» venute alla luce nel cantiere aperto dall’Esselunga in via Costa a Bologna. Trattandosi della superficie un tempo occupata dalla premiata ditta Hatù, la parola d’ordine non può che essere una sola: preservare. Quindi divieto di collocare le vestigia in altro luogo protetto. Impossibilità di scavare i garage interrati. Obbligo di rendere visibili al pubblico i reperti archeologici mediante pavimenti di cristallo.
Dopo otto mesi di inutili trattative, nel febbraio 2000 lo stremato Caprotti getta la spugna. Passano appena 60 giorni e il 20 aprile l’area viene rilevata dalla Coop Adriatica presieduta da Pierluigi Stefanini, che di lì a sei anni, fallita la scalata a Bnl, prenderà il posto di Giovanni Consorte al vertice dell’Unipol. Passano altri 15 giorni e il 5 maggio accade un miracolo: il soprintendente ai beni archeologici dell’Emilia-Romagna comunica parere favorevole al «recupero, restauro, trasferimento e valorizzazione dei resti antichi in altra area». Oggi in via Costa a Bologna è operante un supermercato della Coop Adriatica, con i suoi parcheggi interrati e senza pavimenti di cristallo.
«In una gelida mattina di gennaio, sabato 21 per l’esattezza, sono andato di persona alla ricerca dei miei preziosissimi reperti etruschi» mi raccontò Caprotti. «Li ho trovati abbandonati in periferia, vicino al cimitero della Certosa. Dentro un recinto con la base in cemento, sovrastato da una squallida griglia zincata, stavano valorizzati, e coperti da una plastica nera in gran parte nascosta dalle erbacce, i segni di una perduta civiltà ».
Sono infinite le astuzie messe in atto da almeno un trentennio pur di sbarrare il passo alla catena di 128 superstore che vanta le vendite più elevate per metro quadrato nell’area dell’euro, pur d’impedire a quel padrone delle ferriere che non le ha mai mandate a dire, che ha sempre difeso le proprie ragioni rivolgendosi direttamente alla clientela con inserzioni sui giornali, di penetrare con i suoi supermarket nelle regioni dove storicamente domina la sinistra. Bruno Cordazzo, presidente della Coop Liguria e consigliere d’amministrazione della Holmo (holding finanziaria guidata dall’onnipresente Zucchelli e posseduta al 100 per cento da 43 cooperative che, tramite la Finsoe, controllano l’Unipol), non si fa scrupolo di rivendicare l’abnorme privativa: «Quando si va in casa di altri, si deve chiedere permesso».
Una perentoria ingiunzione a bussare col cappello in mano. «Tanto, loro la porta non te la aprono» chiosò Caprotti. «Tanto, a pagare il conto sono i consumatori». E mi mostrò le tabelle con i prezzi rilevati da Panel international alla Coop Rivarolo e all’Ipercoop Aquilone di Genova, alla Coop di Sanremo e alla Coop di La Spezia, dove per fare la spesa i liguri devono sborsare fino al 14,9 per cento in più rispetto ai lombardi che si servono all’Esselunga di Milano e addirittura fino al 20,2 per cento in più rispetto ai toscani che si servono all’Esselunga di Firenze.
«Capisce bene che qui non si tratta più soltanto di una distorsione del mercato, bensì del territorio, e permanente» interruppe la mia lettura il presidente dell’Esselunga. «Ma io non sono che un droghiere. Lei, che è giornalista e scrittore, se la sentirebbe di denunciare questo scandalo in un libro? Le metto a disposizione le mie note».
Rifiutai. Ma fui lusingato per la fiducia. Proveniva da un droghiere che mi parlava della synopsis come tecnica irrinunciabile per un saggio del genere, «se vogliamo che anche il tassista capisca, non si può presentare questa roba come se fosse Guerra e pace, che ho letto solo due volte, purtroppo non in russo, perché il russo non lo so»; da un monsieur con i suoi ottant’anni di francese, settanta d’inglese, otto di latino e cinque di greco, abituato a gustarsi il Macbeth, Mark Twain, P.G. Wodehouse, Molière, Stendhal e Maupassant nelle lingue originali. A distanza di 15 mesi, Caprotti ricorda che quel 14 giugno gli dissi: «Questo è un libro che può scrivere soltanto lei, in prima persona. Dall’alto della sua età , del suo silenzio, e dei suoi soldi. Al massimo io riesco a trovarle un editore e un titolo».
È uscito. Falce e carrello, 192 pagine, 56 tavole fuori testo, 12,50 euro. Sottotitolo: Le mani sulla spesa degli italiani. Prefazione di Geminello Alvi. Gliel’ha pubblicato Marsilio. Ma se l’è fatto tutto da solo. Compresa la foto di copertina, che ha voluto realizzare in proprio riempiendo un carrello della spesa con mazzette nei sette diversi tagli dell’euro. «Un piccolo campione del “prestito sociale†delle Coop. Circa 12 miliardi di euro ovvero 24 mila miliardi di lire. Quattrini che le cooperative raccolgono dai soci consumatori, come fossero banche, applicando però sugli interessi la ritenuta di legge riservata ai titoli di Stato, il 12,5 per cento, anziché il 27 dei conti correnti. Una cassa enorme, liberamente spendibile». Con la quale è impossibile competere anche per un imprenditore che conta 4 milioni di clienti fidelizzati, dà lavoro a 17 mila dipendenti, fattura 5 miliardi l’anno e nel 2006 ha incrementato l’utile netto del 67,4 per cento.
Ad Aldo Soldi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative di consumatori, Caprotti l’aveva cavallerescamente giurata nel 2006, esasperato dai continui attacchi delle Coop, come sempre rintuzzati a mezzo stampa con dispendiose campagne a pagamento. La lettera era datata 1º dicembre: «La verità è che due anni di indecente gazzarra da lei montata – a fini che a me son ben chiari – sulla nostra azienda e sul suo buon nome, hanno messo in allarme ministri, professori, presidenti… e anche Vecchioni (Federico Vecchioni, presidente nazionale della Confagricoltura, ndr). E noi abbiamo dovuto rispondere. La vostra capacità di mentire e di ribaltare la realtà è illimitata. A me spiace, mi spiace veramente che lei mi costringa a fare qualcosa che non avrei mai immaginato. Rivelerò a molti ingenui, a tante persone in buona fede, chi veramente siete. Lei, Soldi, mi ci avrà costretto.
«Questa è la ragione del mio scritto, questa è stata la mia promessa». Ha mantenuto la parola. Falce e carrello non serve solo a rimarcare come in Italia, a parità di utile lordo, la pressione fiscale sulle cooperative sia del 17 per cento contro il 43 delle società commerciali («Addirittura fino al 2001 questi signori pagavano appena il 10 per cento di tasse. Non è possibile una concorrenza leale in simili condizioni»). Serve anche a far comprendere come l’attacco concentrico contro l’Esselunga, scatenato mentre un Caprotti malato ingaggiava la più dura delle sue battaglie, quella per la sopravvivenza, abbia un regista occulto d’eccezione: Romano Prodi. «Un vecchio che deve lasciare, un seguito, si pensa, che non c’è: quale più facile preda? Ed ecco Prodi che inopinatamente, il 7 febbraio 2006, durante una puntata di Porta a porta, non richiesto enuncia in campagna elettorale l’obbligo per il governo di “mettere insieme†la Coop e l’Esselunga. In qualche modo: quale, non si sa. Disse così: “Abbiamo le Coop, c’è ancora l’Esselungaâ€. E, incalzato da Bruno Vespa, spiegò: il governo “le può mettere assieme, può aiutarle a fare una politica perché stiano assiemeâ€. Parlava già da presidente del Consiglio. E si capiva già da che parte tirasse».
Uno dei casi denunciati nel libro, quello di Vignola e Spilamberto, località confinanti in provincia di Modena, è assai istruttivo su come si fa il business nelle regioni rosse. L’Esselunga chiede d’insediarsi in una zona prevista dal consiglio comunale di Vignola come «area con destinazione commerciale» e in cambio mette sul tavolo 2,5 milioni di euro per la costruzione di una scuola. Il 31 marzo 2005 la giunta approva l’offerta. «Tempo una settimana» specifica Caprotti «ed ecco che il 7 aprile la Coop Estense, a firma del solito Zucchelli, invia al sindaco di Vignola una lettera con cui lamenta l’insufficienza del locale supermercato Coop e dichiara la propria disponibilità a contribuire a iniziative di pubblica utilità . In particolare, guarda caso, alla realizzazione di un edificio scolastico. Il 7 aprile Zucchelli scrive. Il 7 aprile il sindaco riceve. E, prontissimo, si attiva».
L’8 aprile, con impressionante contestualità , accadono tre fatti. «Alle 17 la giunta di Vignola delibera di conferire mandato al sindaco di valutare l’intervenuta proposta della Coop Estense. Alle 20.30 il consiglio comunale rinvia ogni decisione sull’Esselunga a un’altra seduta fissata per l’11 aprile. Sempre alle 20.30 il consiglio di Spilamberto, senza indugi, adotta una variante al piano regolatore generale che consente alla Coop Estense di realizzare un nuovo supermercato».
Si arriva così all’11 aprile, quando il consiglio di Vignola, ritenuto che la proposta avanzata dalla Coop Estense rappresentasse «un fatto nuovo rispetto alla situazione che s’era sviluppata inizialmente», azzera senza alcuna motivazione l’accordo con Caprotti. «Fra l’ipotizzato insediamento dell’Esselunga a Vignola e la Coop a Spilamberto sono tre minuti d’auto. Il supermercato di Zucchelli avrebbe avuto vita dura con un nostro superstore tanto vicino».
Ma l’epilogo era di là da venire. «Stoppare l’iniziativa altrui non basta. Il 12 gennaio 2007 il “nostro†terreno di Vignola è stato venduto alla Monte Paschi Fiduciaria spa, con sede legale a Siena, società del Monte dei Paschi di Siena, la banca più democratica d’Italia. Consiglieri d’amministrazione della medesima sono Turiddo Campaini, presidente della Unicoop Firenze, e Pierluigi Stefanini, presidente dell’Unipol. Chi ci sia dietro questa fiduciaria è cosa che a noi non è dato sapere. Se ci sarà un magistrato che avrà voglia d’approfondire, forse ce lo dirà ». E così, per la prima volta in Italia, un libro presentato alla stampa la mattina viene trasformato dall’autore in esposto e consegnato nel pomeriggio alla magistratura affinché indaghi.
È uscito, ma non doveva neppure uscire, Falce e carrello. Il proprietario dell’Esselunga ci ha lavorato esattamente un anno. Il tempo che la nipote Sofia spegnesse a Londra, lo scorso 13 giugno, la sua prima candelina sulla torta, con una cara amica dei genitori, Madonna, che le cantava Happy birthday tenendo per mano i propri figli. A me, che ho avuto il privilegio di leggere il testo in anteprima, cinque giorni dopo Caprotti ha scritto: «Mi creda, mi sono cimentato. Ero pronto a tutte le correzioni lessicali e grammaticali possibili. E anche a qualcuna di merito. Io firmo, firmavo. Ma io non sono e non voglio fare il giornalista. Basta. Torniamo con i piedi per terra. Anche se il signor Rovagnati, quello del prosciutto Gran Biscotto, l’altro giorno mi ha detto: “Sa, Caprotti, dobbiamo destreggiarci, Parmacotto, Ferrarini, io e gli altri, con quel che rimane del mercatoâ€. Cosa?, ho replicato io, e perché? “Perché tutto il resto è in mano alle Coopâ€. Come? E non fate niente! E lei, Lorenzetto, che è giovane? Ma forse un foglio su cui scrivere, nel tempo, ancora lo troverà . Sennò le rimarrà sempre il Canton Ticino. Bellinzona è una bellissima città . Io ho chiuso. La prego caldamente di rimandarmi il materiale, scritti e fotografie. È roba mia, non deve rimanere in giro un rigo. Vedrò io se sbattere tutto nella pattumiera o tenere qualcosa in un cassetto, a futura memoria».
Caprotti che si rassegna a vivere in un paese avviato verso il monopolio del prosciutto? Gli ho risposto: «Un libro, quando è scritto, è scritto. Non può in alcun modo essere ricacciato dentro l’anima, né rinchiuso in un cassetto. Va lasciato libero di andare. Sta commettendo uno degli errori più grandi che un uomo della sua età e della sua esperienza possa fare: abbandona il campo. Non è da lei».
Non l’ha abbandonato.
Il perchè il nuovo PSI sta nella cdl
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 sottoponiamo a tutti i frequentatori del blog l’editorile di Ernesto Galli della Loggia; ne condividiamo il contenuto
 L’eterno mito della diversitÃ
Questione morale e identità della sinistra
di Ernesto Galli della Loggia
Non è solo questione di antipolitica. Si ha l’impressione, infatti, che quello che sta accadendo in queste settimane, e che ha avuto un momento esemplare nella seduta di giovedì al Senato, sia qualcosa di più profondo, che viene da lontano. E cioè sia l’ultimo atto di quella disintegrazione del quadro politico e degli attori della prima Repubblica di cui fu un simbolo quindici anni fa Mani pulite. Allora, nel ’92-’93, il terremoto risparmiò per varie ragioni la sinistra di tradizione comunista. Tra queste c’era principalmente il fatto oggettivo che essa aveva avuto responsabilità certo minori nella gestione, e dunque nella degenerazione affaristica, del potere. Aveva anch’essa una grossa colpa, ma di ordine tutto politico: con il suo radicalismo aveva mantenuto il sistema bloccato, privo di alternative. La storia le concesse quindi, benignamente, una inaspettata occasione: le «abbuonò» il radicalismo che ancora la pervadeva concedendole di arrivare a quel governo a cui, con il Caf in piedi, non sarebbe certo mai arrivata. Oggi possiamo dire che quell’occasione la sinistra ex Pci l’ha clamorosamente sprecata. Essa non capì allora, e non ha capito per tutti questi anni, che, in quanto promossa dalla storia a sinistra riformista di governo senza esserlo, il suo primo compito e il suo primo interesse dovevano essere quelli di diventarlo davvero. E cioè di condurre una grande battaglia di rottura culturale rispetto al proprio stesso passato per cancellare dal suo popolo la mentalità radicale, e dunque potenzialmente sempre incline al massimalismo di vario tipo, che fin lì l’aveva caratterizzata. Mentalità fatta da un conglomerato di idee, di sentimenti, di pulsioni diverse. Per esempio che il governo diverso dal nostro non può che fare leggi orribili le quali vanno subito cancellate; che la richiesta di galera per i delinquenti e di vie silenziose di notte è «di destra»; che l’avversario politico ha una qualità morale differente e in ogni caso neppure comparabile con la nostra; che ogni modifica alla legislazione del lavoro che non ha il placet sindacale è per ciò stesso un attentato alla libertà ; che le tasse colpiscono i ricchi e, dunque, «facendoli piangere» non sono mai troppe; che nei confronti degli immigrati clandestini o dei giovani dei centri sociali la legge e l’ordine sono una semplice option, e via di seguito. Invece con questo ammasso di idee, di sentimenti e di pulsioni, radicate da decenni nel popolo di sinistra, nel loro stesso popolo e in qualche misura anche in loro stessi, nella loro identità politica, i dirigenti della sinistra che pure si diceva riformista i conti, in questi quindici anni, hanno accuratamente evitato di farli. Sono rimasti prigionieri di quella che è stata la vera, paralizzante maledizione della cultura di tradizione comunista: il continuismo. Bisognava mantenere la finzione del cammino ininterrotto e soprattutto coerente da Gramsci a Romano Prodi, che tra vini vecchi e otri nuovi, o viceversa, non ci fosse alcuna incompatibilità . Quindi al massimo «svolte», ma mai l’idea che fosse necessario affrontare a muso duro il passato dicendo, anzi gridando, chessò: «Nel ’48 De Gasperi ha salvato la libertà del Paese», ovvero «era giusto, come voleva Craxi, mettere i missili a Comiso » ovvero ancora «la questione morale di Berlinguer era una strada che politicamente non portava da nessuna parte»; e magari aggiungere: «Guardate, cari amici e compagni, ammazzare o essere complici degli assassini forse è peggio che rubare». Invece nulla. A loro parziale attenuante i dirigenti della sinistra ex Pci possono peraltro osservare, e ben a ragione, che né i cattolici democratici né la sinistra non ex Pci, entrambi loro alleati, non li hanno mai incalzati in questa direzione. Anzi: i primi sono arrivati spesso a scavalcarli strizzando l’occhio a estremismi e estremisti vari (vedi Prodi con Rifondazione), e la seconda ha sempre e solo badato a cercare di egemonizzarli intellettualmente facendosi ogni volta forte delle loro contraddizioni per impartirgli le lezioncine del caso nei suoi sussiegosi articoli di fondo. Il moralismo intinto di demagogia con il quale il popolo di sinistra oggi si avventa feroce contro i Ds, contro il centrosinistra e il suo intero personale politico, è l’altra faccia del radicalismo lasciato così a lungo indisturbato a prosperare. In politica le cose si tengono sempre tutte. Il radicalismo ideologico, in quanto rifiuto del compromesso, della medietà , dell’idea che il mondo non è tutto nero o tutto bianco, essendo cioè rifiuto delle cose così come abitualmente sono (e non possono non essere), è fatto apposta per alimentare l’idea della obbligatoria «diversità » antropologico- morale. Che per essere di sinistra si debba essere «diversi» è l’altra faccia dell’idea che chi non è di sinistra è per ciò stesso moralmente dubbio. Alla «questione morale» si permette così di divenire la vera identità politica della sinistra, mentre la linea politica perennemente in agguato si riduce ad essere il moralismo dei demagoghi. 23 settembre 2007 |
Direzione Nuovo Psi: si’ a federazione Cdl
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Il capitale umano: le idee
I 2/3 del valore della produzione sono dovuti al capitale umano (conoscenze, capacità , competenze che aumentano produttività e reddito di lavoro). In Italia il capitale umano è insufficiente per fronteggiare la competizione internazionale. Per valorizzare e impiegare il capitale umano serve una riflessione sul sistema di ricerca e di formazione italiano, nonché sulla capacità delle imprese di impiegare le risorse umane formate. Che fare?
Scuola: Defiscalizzare le spese scolastiche delle famiglie e assicurare un salario minimo agli studenti più meritevoli e bisognosi. Ridurre l’evasione e la dispersione scolastica. Aumentare le competenze in lettura, matematica, scienze, anche con misure premiali per docenti e studenti. Aumentare la concorrenza tra gli istituti scolastici, l’autonomia scolastica premiale anche per gli stipendi dei docenti, la formazione sul lavoro e l’alternanza scuola-lavoro. Potenziare la formazione continua degli occupati anche per mezzo di incentivi alle imprese e misure premiali di carriera per i lavoratori che hanno accresciuto il loro capitale umano.
Università : Diminuire i costi per il contribuente ed aumentare i costi per l’utente: defiscalizzare i costi familiari per le spese universitarie, aumentare le basse tasse dei fuori corso di lungo periodo. Rivedere la governance dell’Università . Riformare l’FFO per aumentare la concorrenza tra gli atenei e puntare sull’eccellenza scientifica e didattica. Ridurre il numero dei piccoli Atenei e dei corsi di laurea di piccole dimensioni. Aumentare l’autonomia e la responsabilità degli atenei per i programmi e per i budget. Premiare l’internazionalizzazione. Incentivare il merito didattico e scientifico dei docenti e l’alternanza università -lavoro per i docenti seguendo le iniziative già avviate con
Ricerca: Investire in ricerca specie se vicina la mercato, in capitale umano nell’eccellenza, nelle scienze, in ingegneria, in tecnologia. Evitare investimenti pubblici non focalizzati, incentivare la ricerca autonoma delle imprese e nelle imprese seguendo l’esperienza dei distretti di Ricerca e dei centri di competenza. Defiscalizzare le spese delle imprese in S&R, con percentuali maggiori per quei settori, come quello energetico, che risultano strategici per la competitività del sistema Italia. Potenziare lo sviluppo di tecnologie nei tradizionali e competitivi settori del “made in Italyâ€. Prevedere incentivi fiscali per le innovazioni di prodotto. Misurare la qualità degli investimenti per mezzo di valutatori esterni ed internazionali sulla base dei provvedimenti adottati dal precedente Governo. Cogliere le opportunità offerte dal VII programma quadro dell’UE (2007-2013), incentivare la cooperazione e rafforzare i legami tra industria e ricerca sia a livello di Paese, sia a livello regionale, secondo l’esperienza dei distretti di Ricerca e dei centri di competenza, incentivare la scoperta di nuove conoscenze più vicine al mercato, finanziare progetti di ricerca fortemente innovativa, migliorare le prospettive di carriera dei ricercatori. Â
Alberto Di Ferrante
Grillo e la Fiom: due modi diversi per dire che questa sinistra ha fallito
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I contrasti all’interno della coalizione che dovrebbe Governare il nostro Paese diventano ogni giorno sempre più pesanti e sempre più insostenibili.
Il confronto all’interno della CGIL con la FIOM che rifiuta l’accordo sul lavoro e attacca Epifani, trovando incredibilmente, non il sostegno di una personalità qualsiasi, bensì direttamente del Presidente della Camera Bertinotti , che probabilmente per meri fini di conservazione dell’elettorato proprio, non esita a prendere le distanze dal Governo che i “suoi†dovrebbero sostenere, mostra la profonda crisi che il Governo attraversa.
Imbarazzante è poi la posizione del Sindaco Bolognese Cofferati, ex segretario CGIL, in cerca di un ruolo Nazionale e pronto a rilanciare la sua figura appannata di Sindaco in disgrazia, che si pone come garante della situazione, scavalcando di fatto il povero Epifani.
Questa vicenda da un lato mostra come il Sindacato debba saper ristrutturarsi nelle sue funzioni, perché da associazione che dovrebbe difendere e tutelare i lavoratori, rischia, avendo un approccio assolutamente integralista e conservatore, di essere invece la tomba del Lavoro e dello sviluppo del nostro Paese.
Credo e anzi sono sicuro che la CGIL saprà affrontare il contrasto interno in senso propositivo, ma ciò non può essere sufficiente se la stessa, ma anche le altre sigle Nazionali, non saprà trovare una proposta di rilancio e di prospettiva che la ponga come un interlocutore vero di qualsiasi Governo e non un manichino imbalsamato se al Governo vi è una parte che loro considerano più vicina.
Lo sviluppo del Paese non può né deve essere smorzato da interessi di parte; esso deve avere capacità di crescita e di equità che devono essere anche sostenute da un confronto proteso al miglioramento della situazione.
Dall’altro mostra come Bertinotti sia più preoccupato a consolidare il proprio elettorato, anche in virtù del prossimo scontro con il Partito Democratico, piuttosto che cercare di dare una prospettiva di successo al Governo che sostiene.
Che ragione vi sarebbe infatti di dare sponda alla FIOM, ramo dei metalmeccanici della CGIL, cui Bertinotti pensa di attingere gran parte dei suoi voti, se non quella di una preparazione ad una competizione elettorale, che evidentemente lo stesso vede prima della scadenza naturale, all’interno della quale la “cosa rossa†per giocare un ruolo il più possibile alla pari con il PD, suo vero antagonista, deve radicalizzare posizioni che oggi appaiono assolutamente anacronistiche.
E ancora con il ministro Ferrero che prende le distanze dal Governo, ma essendo come molti integralisti, poco consequenziale alle proprie decisioni, decide di non dimettersi ed incitare gli immigrati a scendere in piazza contro il Governo.
Vi è poi la strana posizione del “comicoâ€, in tutti i sensi Grillo, che dapprima nell’indifferenza totale della classe politica, che non coglie così il senso di distacco che questo provoca, forse per un forte senso di viltà e inettitudine, crea una manifestazione antipolitica come il V-day, e poi viene invitato (!) alla festa dell’Unità di Milano, dove facendo il suo solito show, spesso di cattivo gusto, attacca tutti i dirigenti della sinistra e cosa incredibile riscuote ovazioni a senso unico.
Credo che questo sia il punto sul quale riflettere maggiormente; non è un problema che il “comico†Grillo dica le sue “grillateâ€, né tantomeno il modo più o meno educato di dirle; ognuno si esprime come sa e come può, quanto piuttosto la grande insofferenza che ormai tutto l’elettorato dell’attuale maggioranza mostra, essendo disposta a prendere esplicitamente le distanze dalla propria classe dirigente.
Questa credo sia la novità più interessante degli ultimi periodi; i malumori della FIOM, area che possiamo considerare “radicale†della coalizione di Governo, non sono minori dei malumori dei diessini, area da considerare più moderata del centro sinistra.
Entrambe le situazioni sono frutto di un fallimento che questo Governo ogni giorno manifesta sempre di più; un governo che non ha strategia che dà l’impressione di resistere solo per rendite di potere, che non dà l’impressione di avere ricette per sanare e far ripartire questo Paese.
Un Governo che probabilmente cadrà , ma non così presto come si crede, per conflittualità interne che anche l’ecumenico Prodi, non riuscirà più a sanare.
La CDL deve saper prendere la palla al balzo, seguire l’esempio meno recente di Blair e quello tamporalmente più vicino di Sarkozy per rilanciare con forza il progetto di Riforme che tanto serve a questo Paese e che non può più attendere
Sciogliere il Consiglio Regionale della Calabria?
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In questi ultimi giorni si è sviluppata una iniziativa politica, fortemente evidenziata dal tam tam mediatico, per lo scioglimento anticipato del Consiglio Regionale della Calabria. La motivazione di base di detta iniziativa è il gran numero di indagati che esistono tra i 50 Consiglieri Regionali.
Sull’obiettivo dello scioglimento si può essere d’accordo (e diremo anche perché), ma la motivazione è debolissima e non ci convince per nulla. Sarebbe, infatti, la riproposizione in scala minore, del film già visto, nei primi anni novanta, quando
Non ci interessa, quindi, risolvere i problemi politici della Regione Calabria delegando alla bisogna
Se da una parte i DS tramite il viceministro Minniti indicano la vecchia e logora strada del contenzioso con Roma e così facendo assolvono le loro sistematiche inettitudini; dall’altra Loiero si è lanciato, dopo il massacro avvenuto in Germania, nella boutade ad effetto qual è stata la richiesta dell’intervento dell’esercito in Calabria contro la mafia.
Nel primo caso vi è la vecchia prassi collaudata nell’allontanare da sè le responsabilità del malgoverno e contro la quale si scagliavano negli decenni passati i comunisti (Minniti dimostra un grande mestiere); dall’altra la ricerca dell’effetto mediatico con la richiesta assurda di intervento dell’esercito per fare cosa? Contro quali divisioni dovrebbe essere impiegato e quindi combattere? E così difficile capire che la mafia o la ‘ndrangheta o la camorra si combattono con lavori di intellingence, con il rafforzamento degli organici della polizia e dei carabinieri, con adeguati reparti di magistratura specializzata nei reati mafiosi, con l’applicazione delle leggi già esistenti, con la confisca dei patrimoni illecitamente realizzati? Suvvia signori non è compito vostro il governo di una Regione e sarebbe, quindi, opportuno che toglieste il disturbo evitando altri guai alla Calabria.
Se scioglimento dev’esserci che lo sia per palese e collaudata incapacità . Ma intanto
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                                                                                  Adolfo COLLICE
                                                                Vice Segretario Nazionale Nuovo PSI
Il buon governo catto-comunista
“ Sta continuando la telenovela, anche se sarebbe più giusto definirlo spettacolo drammatico, della sinistra neogiustizialista e sceriffa. Il fatto che non riescano a trovarsi d’accordo dimostra tutta la debolezza e l’incapacità non solo dell’Esecutivo ma degli stessi sindaci che sono costretti ad affidarsi a misure estemporanee, trovate pubblicitarie o veri e propri atti di forza, per recuperare l’immagine fallimentare dei loro capi-partito al governo. Manca un progetto quadro al proposito, ma ancor più una coesione identitaria sui provvedimenti da prendere. Per cui sono sempre più evidenti l’inadeguatezza e l’incertezza di questa maggioranza, che traveste da agnello il Presidente del Consiglio, per nascondere  il lupo marxista che coabita nella stessa casa. Ormai non vi è Comune governato da qualche “neoilluminata† giunta cattocomunista, che non si inventi qualche misura per tamponare i danni creati dall’immobilismo del  Partito Democratico ( Prodi, D’Alema, Rutelli ) al potere. Il Nuovo Psi che io rappresento in Veneto, è convinto del fatto che continuando a lasciar gestire l’Italia e le istituzioni da questa coalizione, ci si troverà ben presto a dover affrontare  le sue contraddizioni in modo sempre più profondo e capillare.Oltre alla  giustizia, anche l’istruzione sta andando a rotoli. La scuola deve guardare avanti, non indietro. Per cui non vanno confusi la disciplina e la cultura, con l’oscurantismo didattico !. L’insegnamento e lo studio, alla fine, devono fornire un utile sapere.  Come si può eludere dall’importanza dell’informatica, di Internet e dell’ Inglese ? Sulla famiglia ed ancor più il mondo giovanile vanno aggiornati i ruoli, rendendoli quanto mai organici al mondo attuale. Al riguardo la politica, di casta e di censo, è anche oggi in ritardo, non porta anche i bluejeans. Dovremo stabilire che oltre alle quote rosa dovranno realizzarsi anche le quote verdi, per obbligo istituzionale. Soprattutto verso le nuove generazioni dovremo realizzare, con coraggio, profondi cambiamenti. Una società che non riesce ad attuare il suo primo articolo costituzionale, deve ricercare provvedimenti riparatori, deve trovare percorsi che inseriscano tutti i diplomati e laureati nel mondo del lavoro in modo retribuito. Il praticantato ed il volontariato devono diventare una scelta e non un obbligo. Nostra prima prerogativa sarà quella di batterci per dare alle nuove generazioni sicurezza e tranquillità , riaggiustando, a loro favore,  il costo  e l’età delle pensioni. Non vedo vivacità e sintomi in tale direzione da parte di Prodi e C., impegnati più che altro a svilire, in modo sprezzante,  una legge ( Biagi ) solo perché di non loro approntamento, invece che prenderne il buono che c’è ed eventualmente migliorarla col contributo di tutti i partiti. Sul Fisco, infine, il primo grande errore di questa maggioranza è stato affidarne la gestione ad un Ministro essenzialmente tecnico e poco indigeno. Padoa Schioppa, questo secchione dell’attivo in bilancio, contra ed erga omnes,  non ha ancora capito che se si vuole far girare l’economia e soprattutto le imprese, le tasse  devono calare e non aumentare spaventosamente. Provveda e legiferi, invece,  affinchè il primo indotto di un recupero di risorse siano la diminuzione dei costi  pubblici, il minor costo dell’apparato amministrativo, il miglior uso del patrimonio dello stato. Non si proclami la battaglia all’evasione con l’enfasi di un “wanted “ da Far West. Ma si avvii una riforma che riveda i parametri e le aliquote della tassazione diretta ed indiretta. Bisogna, in primis, convincere i cittadini che lo Stato non è il primo fuorilegge ! Ma non potrà essere questa maggioranza ad avviare un siffatto processo di maturazione civile, e ristabilire la credibilità del Parlamento, perché limitata, direi quasi impedita, dalla sua stessa conformazione, che vede in essa alleate forze di opposta ispirazione: cattolica e comunista, entrambe da riformare, l’ultima da seppellire. Alla lunga questa coalizione centrifuga ed autodistruttiva non potrà che fare ulteriori danni al Paese. Per il Nuovo Psi tale pericolo va scongiurato al più presto, chiarendo a tutti i cittadini, con ogni modo possibile, l’inopportunità , la sconvenienza, dell’ulteriore durata di questo Governo e la necessità di una sua caduta repentina.La prima risposta efficace ed  il più celere rimedio sarà  quello di portare alla guida del Paese una coalizione liberalsocialista oggi rappresentata dalla Cdl.  L’omogeneità riconoscibile e l’ identità progettuale possono essere l’immediata garanzia dell’inversione di tendenza, della risalita dal baratro, dell’uscita dal Medioevo in cui ci hanno portato gli attuali leader  del Compromesso Storico al Governo.Â
Angelino MasinSegretario Regionale Veneto Nuovo Psi
E’ FINITA L’AVVENTURA……
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L’avventura iniziata, nell’autunno del 2005, da Bobo Craxi e Saverio Zavettieri (artefici di una gravissima scissione nel Nuovo PSI e della successiva vittoria del signor Prodi a cui hanno portato in dote ben 125 mila voti) si è praticamente conclusa.
Sono, infatti, di questi giorni le ultime news dal fronte de “I Socialisti Italiani†con l’abbandono del Partito, a Reggio Calabria, da parte della Presidente Provinciale Angela Romeo, dell’Assessore Provinciale Bernardo Russo, del Consigliere Provinciale Rocco Agrippo.
Dulcis in fundo l’on. Luciano Racco (dopo la decadenza del compagno Chieffallo da Consigliere Regionale col contestuale subentro dell’on. Francesco Galati che ha aderito al Nuovo PSI ed è il nuovo Presidente del Gruppo Consiliare) ha bruciato i tempi ufficializzando il proprio percorso verso il PD e verso aggregazioni di sopravvivenza con altri cani sciolti.
A ben guardare hanno abbandonato “I Socialisti†quanti, avendo scelto di andare a sinistra, hanno deciso di evitare ulteriori sceneggiate “costituenti†saltando il fosso e andando direttamente nel costituendo partito cattocomunista che nascerà dalle ceneri dei DS e della Margherita. Ma proprio questa scelta e la conseguente debolezza degli autori dell’avventura, lascia disorientati quei socialisti che seguendo le scelte dei loro leaders oggi si trovano sbandati e senza bussola. Si rifiutano di essere catturati dalla sinistra che impera in Italia, hanno uno spirito moderato e riformista, hanno seguito ciecamente chi gli prospettava percorsi vincenti, ed oggi si ritrovano con un pugno di mosche e la morte nel cuore.
Ad essi lanciamo l’appello a ritrovare con coraggio la strada di casa propria, quella del riformismo e del socialismo, quella della identità e dell’autonomia, quella della tradizione craxiana. Il Nuovo PSI è aperto ad ogni apporto e non si attarderà a rimestare gli errori commessi. Bisogna solo avere quel pizzico di coraggio che serve sopratutto oggi che sono in azione le sirene del Partito Democratico che punta a legittimare un Presidente del Consiglio figlio di nessuno, e le sirene della cosiddetta Costituente socialista che altro non è che il tentativo di rafforzare uno SDI anch’esso prossimo ai saldi dopo le uscite pur esse orientate verso il PD di molti dirigenti nazionali e regionali.
A chi rifiuta queste prospettive e non vuole rintanarsi sotto la tenda ritirandosi a vita privata, offriamo una sponda politica seria, coerente e riformista: il Nuovo PSI di Stefano Caldoro. Compagni, vi aspettiamo, non perdete altro tempo.
                                                              Il Segretario Provinciale del Nuovo PSI
           di Reggio Calabria
                                                                                    (Giovanni Alvaro) Â
A proposito dll’ordinanza sui lavavetri
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Sulla Ordinanza emessa il 27 di Agosto dalla Giunta di Firenze per bloccare l’attività dei lavavetri agli incroci stradali, riscontro da un lato la stessa contraddizione presente nel Governo nazionale, laddove i più strenui oppositori di certi provvedimenti sono all’interno della stessa maggioranza, dall’altro la “furberia “ ipotizzabile, il colpo di teatro dei soliti amministratori di scuola comunista, che, pur di conquistare le scene, e preannunciare nuovi territori propagandistici da esplorare, si son ben guardati dal coinvolgere tutto il Consiglio Comunale e le forze sociali prima di legiferare in proposito.
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In un dibattito più ampio sarebbe senz’altro emersa la necessità di inserire il problema non già nel mero ambito di “ pulizia estetica “ di una città , bensì in quello più consistente della lotta alla micro criminalità , all’evasione, alla discriminazione sociale, ivi comprendendovi, quindi, la prostituzione, l’abusivismo in genere, lo scippo, la delinquenza di quartiere, il tifo violento.
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Comunque i concetti insopprimibili di tolleranza e solidarietà , oggi non possono essere più invocati a favore dei soli immigrati o dei soli meno abbienti, ma, come principio, nel rispetto di tutti i cittadini.
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Ritengo un concetto equo, e quindi in sintonia con i principi socialisti e cristiani, preoccuparsi anche della sensibilità e dei diritti del cittadino comune, che rispetta le leggi .
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L’abuso di accattonaggio va estinto per tre ragioni. La prima perché è una chiara manifestazione di malcostume, la seconda perché indubbiamente fomenta disuguaglianze all’interno dello stesso ambiente ( si pensi a tutti coloro che non sono in grado o non hanno la possibilità di usufruire di uno spazio di mendicanza ! ), la terza perché motiva, senz’altro, la nascita e l’organizzazione di racket ulteriormente fuori legge e pseudomafiosi.
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Al di là ed al di sopra di un esclusivo atteggiamento repressivo andranno attivati tutti gli strumenti di confronto con le associazioni territoriali di sostegno e con le stesse rappresentanze degli immigrati regolari, per coinvolgerle nella gestione e soluzione dei problemi, anche prevedendo un loro utilizzo, nel rispetto dei regolamenti locali, all’interno delle stesse polizie municipali con specifici incarichi ( si pensi ai rilevatori delle soste ).
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Evidenzieremo questo nostro pensiero alla Giunta regionale, perché si faccia propositrice di una iniziativa istituzionale tesa a coordinare ed indirizzare le amministrazioni locali verso soluzioni omogenee e condivise in tutto il territorio Veneto.
Angelino Masin Segreatrio regionale del Veneto
FI: BERLUSCONI PREPARA RIPRESA, ATTESO DOMANI A TELESE POI SARA’ A GUBBIO =
| FI: BERLUSCONI PREPARA RIPRESA, ATTESO DOMANI A TELESE POI SARA’ A GUBBIO = | |||
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Il gruppo Consiliare della Provincia di Trapani è con Stefano Caldoro
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In questi giorni, il Vice Segretario Nazionale
Tra loro alcuni Consiglieri Comunali dei Comuni Trapanasi ed il Capogruppo in Consiglio Provinciale Andrea Burzotta, che hanno ribadito fortemente la loro condivisione al progetto di rilancio Socialista del Nuovo PSI nella Casa delle Libertà .
“Finamente la chiarezza delle posizioni politiche ci possono permettere di rilanciare con forza l’azione Socialista nella Provincia di Trapaniâ€, queste le parole del Consigliere Provinciale Andrea Burzotta che ora chiede che presto si faccia chiarezza anche riguardo al ruolo dell’Assessore Provinciale Socialista che avendo aderito alla Costituente non rappresenta più il Nuovo PSI nella Giunta Provinciale di Trapani.
Nei prossimi mesi
FISCO: CALDORO (NPSI), VELTRONI HA USATO TONI APOCALITTICI
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LEGGE BIAGI: CALDORO, NUOVO PSI IN PIAZZA PER DIFENDERLA
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