Quando ho letto la notizia della revoca dell’iter della grazia per Bruno Contrada ho capito subito che il migliorismo (vecchia scuola di pensiero di chi si distingueva dai comunisti ortodosii) di cui si fregiava il nostro Presidente della Repubblica era solo un habitus politico per le collocazioni interne al vecchio PCI, e null’altro. Nelle sue vene, infatti, a differenza di campioni del migliorismo come i defunti Gerardo Chiaromonte e Luciano Lama, o il sempreverde Emanuele Macaluso, non scorre, così come poteva sembrare, il sangue del garantismo senza se e senza ma, o quello delle aperture mentali senza condizionamenti.
Quando, infatti, anche dal ruolo occupato oggi, si dosano le proprie azioni sulla base delle necessità ‘politiche’ e delle convenienze di parte, e non sulla base di semplici convincimenti maturati, non c’è veramente alcuna speranza di poter chiudere definitivamente la prassi della doppiezza di togliattiana memoria. Del resto se per rintracciare qualche garantista doc, cresciuto nel vecchio PCI, bisogna fare uno sforzo di ricerca di personaggi di altra stagione politica, per lo più passati a miglior vita, significa che tra i nuovi dirigenti non esiste neanche l’ombra del pensiero tollerante e libertario.
Siamo sempre, come si vede, alla difesa dell’apparire, perché è l’habitus che interessa e non altro. Dire che non è così non serve a niente, perché è così che appare. E in politica ciò che appare è importante. L’opinione pubblica percepisce, infatti, che sulla vicenda Contrada la pressione a tenaglia, esercitata dai familiari dei morti ammazzati dalla mafia, ha prodotto il risultato pilatesco del tirarsi fuori che ci è stato sapientemente servito, e, con esso, un diverso inaccettabile trattamento tra Contrada e Sofri. Ma è proprio questa diversità che determina un atteggiamento di ripulsa in qualsiasi spirito libero.
Certo per Sofri la civiltà della famiglia Calabresi, e la maturità della maggioranza delle forze moderate, non hanno determinato fratture e rotte di collisione con il quadro politico, mentre per Contrada la ‘sollevazione’ e i ‘pronunciamenti’ dei familiari (sia quelli plateali come la visita al Quirinale di Rita Borsellino, sia quelli indiretti con le dichiarazioni di guerra della giovane Scopelliti) erano, in embrione, un campanello d’allarme di possibili profonde spaccature tra la cosiddetta società civile e quella parte della politica che sull’antimafia da convegno ha costruito serbatoi di consenso.
Ci dispiace veramente questo tirarsi fuori che ci fa dire ‘c’era una volta un migliorista…’. Il Nuovo PSI non lo può condividere vuoi per le sue tradizioni garantiste e libertarie, vuoi perché sul processo Contrada ci sono troppe ombre determinate dalle testimonianze di squallidi pentiti spesso in contraddizione tra di loro, o in palese menzogna, vuoi ancora per l’assenza di ‘pietas’ almeno per l’età e la salute del malcapitato di turno.
No, Presidente, non condividiamo per nulla i suoi passi indietro, per cui diciamo a gran voce: Onore a Contrada. Onore ad un uomo che grida al mondo la propria innocenza e fieramente rifiuta, lasciando in angoscia la moglie, di chiedere la grazia e di farsi curare in ospedale. Onore a Contrada perché il suo atto vien fatto con rischio della propria vita e non per calcoli politici. Il Nuovo PSI non può non essere fiero di sostenere un Uomo simile.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 13.1.2008