A caldo sembra che tutto possa essere ricondotto a due ipotesi: o la capacità della ‘moral suasion’ del Presidente Napolitano è pari a zero, oppure ha bluffato platealmente ‘prendendo in giro’ il Presidente Berlusconi come lui stesso ha declamato ai quattro venti. Nel primo caso si tratterebbe, evidentemente, di pura e semplice incapacità , mentre nel secondo può intravedersi una furbizia non cònsona, però, al ruolo ricoperto.
Tertium non datur. Non esistono, infatti, altre ipotesi credibili come quella di una semplice ingenuità di Napolitano e di una sua sconsiderata fiducia verso il proprio staff organizzativo e politico. Egli è troppo intelligente per ‘fidarsi’ e non controllare di persona l’iter di problemi delicati che interessano il Paese. E’ un politico di lungo corso e non uno sprovveduto che, per caso, è diventato Presidente della Repubblica. E chiaro, quindi, che viene a cadere, senza possibilità d’appello, l’ipotesi della sua incapacità .
Resta l’altra ipotesi, quella d’aver voluto tenere buono il Cavaliere, ben sapendo, a priori, come sarebbe andata a finire. Del resto, basta un pizzico d’analisi per rendersi conto che stavolta sembra esserci stato il richiamo della foresta, con l’obiettivo errato, di buttare, in pasto alle belve, un Presidente del Consiglio che l’Italia ama, apprezza e sostiene per le indubbie capacità operative, il movimentismo costruttivo e il saper realizzare. L’immondizia di Napoli e il terremoto dell’Abruzzo sono le cartine di tornasole delle sue capacità . Ha solo il difetto (!) di non aver voluto sottostare ai voleri dei poteri forti che in Italia continuano a dettar legge.
Ma andiamo oltre l’epidermide. Il voto sul lodo Alfano è stato di 9 a 6, per cui con lo spostamento di due voti si ribaltava la decisione. Il responso finale sarebbe stato: 7 a 8. Tralascio i membri della Consulta dichiaratamente talebani per i propri trascorsi politici, caratterizzati non solo da militanza di sinistra ma anche da attività antiberlusconiana, e mi soffermo solo su due membri della Corte che meritano una riflessione: Francesco Amirante e Paolo Grossi.
Il primo, Francesco Amirante, è nella Corte dal 2001 e proviene dalla Cassazione. Fu relatore nel 2004 del lodo Schifani che fu bocciato non con la motivazione ch’era legge ordinaria e non legge costituzionale, ma con rilievi che il Parlamento ha accolto in toto determinando la firma di promulga di Napolitano che con un ‘accompagno’ metteva in rilievo questa circostanza. L’aver cambiato oggi il proprio orientamento suona come conseguenza di una ‘moral suasion’ all’incontrario.
Il secondo, Paolo Grossi, nella Consulta dal febbraio 2009 per nomina di Giorgio Napolitano è il caso più eclatante. Egli non è stato nominato molti anni fa, per cui, di sicuro, era fuori dalla sindrome di appartenenza per motivi di riconoscenza, ma è stato nominato solo da pochi mesi. Sembra paradossale il suo atteggiamento che chiaramente ha contribuito a colpire prima di Berlusconi lo stesso Presidente della Repubblica che è sembrato essere stato sbeffeggiato dal pronunciamento della Corte. Le conseguenze del quale sono, nell’immediato, la tensione determinatasi tra Palazzo Chigi e Colle che addirittura ha portato, si dice, il Presidente della Repubblica a disertare il funerale di Messina per non incontrare il premier.
Successivamente, però, quello di sottrarre tempo al governo del Paese per permettere a Berlusconi di potersi difendere, da subito, dagli assalti giacobini. Permettere questa difesa fuori dagli impegni di governo, fra qualche anno, è stato presentato come uno scandalo! Ma a loro che importa del Paese? Sono beati e contenti, da Di Pietro, a Franceschini, a Bersani, a Santoro e compagnia cantando. Si, sono contenti che il buon governo debba essere limitato.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 10.10.2009