MALGRADO I PROCLAMI, SONO SEMPRE GLI STESSI

La vicenda Alitalia è emblematica del modo d’essere dei cosiddetti ex o post comunisti. E ciò indipendentemente se a rappresentarli c’è un signore che si chiama Veltroni, o se invece ci fosse un tale chiamato D’Alema o anche un certo Pincopallino. Cambia tutt’al più il tono della voce che può essere suadente, sprezzante o semplicemente incolore, ma il percorso sarà sempre lo stesso. Si spara a zero, si creano mille problemi, si cerca di non farsi scavalcare a sinistra neanche da Di Pietro, ma quando ci si accorge che le cose, malgrado loro e le loro strategie, vanno avanti positivamente e l’opinione pubblica ne è contenta, scatta il famoso arboriano.. indietro tutta.

Alitalia atto primo. Il governo Prodi (specialista in materia) tenta la carta della svendita della compagnia di bandiera all’Air France, ma l’operazione non va in porto per l’opposizione dei Sindacati che, in assenza della tenacia di un Gianni Letta, hanno partita vinta. L’Air France si tira indietro pensando che avrebbe potuto avere maggiori chances dopo le elezioni. Chiunque avesse vinto, infatti, essendo con l’acqua alla gola, doveva presentarsi col cappello in mano a pietire un intervento di semplice assorbimento.

L’atto secondo vede il Governo Berlusconi difendere l’italianità della compagnia di bandiera impegnandosi, in piena campagna elettorale, a promuovere una cordata di imprenditori capace di salvare la Compagnia dal fallimento e in grado di rilanciarla sul mercato. Ricorderanno tutti i frizzi e i lazzi sulla cordata: fuori i nomi; si tratta di sicuro dei suoi figli; è il classico gioco delle tre carte; un imbroglio destinato a sciogliersi come neve al sole dopo le elezioni; se ha fallito Prodi con Air France dove vuole andare il megalomane?; e via di questo passo. A dar manforte a lor signori, come sempre, la grande stampa italiana e, perché no?, anche quella straniera.

Il terzo atto comincia con la vittoria di Berlusconi. Mentre il premier affronta le emergenze più impellenti come quella dei rifiuti a Napoli, viene tartassato di sollecitazioni a fare i nomi della cordata e il suo silenzio viene propagandato come l’ammissione del bluff elettorale. Superate le emergenze ed affrontati alcuni nodi importanti come la sicurezza dei cittadini, l’immigrazione clandestina, l’abolizione dell’ICI e tutto ciò che si è saputo fare nei primi 100 giorni, Berlusconi affronta il problema Alitalia. La cordata c’è, ne fanno parte fior di imprenditori italiani, e il Presidente è tale Colaninno (padre del giovane imbarcato sul jet di Veltroni, il PD).

E’ il quarto atto che disvela pienamente l’ipocrisia dei comunisti. Nella cordata, la CAI, non ci sono i figli di Berlusconi, la cordata è abbastanza solida e si lavora anche per avere tra i soci (ma solo di minoranza) una grossa compagnia straniera andando anche aldilà dell’orizzonte francese. Mancano, e questo è drammatico per la sinistra, elementi per poterla attaccare frontalmente e farla fallire sul nascere (che importa per le migliaia di dipendenti senza lavoro?). Ma è un lavoro sporco e si delega a farlo un killer di professione: il Sindacato, e per essere sicuri del risultato si lascia libero il campo andandosene negli States.

Al ritorno, sul campo di macerie, si potrà dar vita al solito show fatto di attacchi, lamenti, accuse: chissà forse si riuscirà a far cambiare il vento. Ma al ritorno il nostro Walter trova la sinistra isolata, il sindacato alle corde, Berlusconi e il suo Governo alle stelle nei sondaggi, e una opinione pubblica inferocita contro la sinistra e i sindacati, e fortemente favorevole all’accordo pro Alitalia. E allora: indietro tutta. Basta una letterina per dire il merito è mio, soltanto mio. Ma a chi lo dice? Chiaramente solo a se stesso perché neanche i suoi gli possono credere. Figuriamoci il solito Di Pietro che imperterrito continua a cavalcare l’opposizione a prescindere.

Anche per questo i socialisti del Nuovo PSI di Stefano Caldoro hanno scelto di stare nel Popolo delle Libertà. La doppiezza, l’ipocrisia e la menzogna sono nemici giurati dei riformisti.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 28.09.2008

DEL TURCO, IL TEMPO E’ SEMPRE GALANTUOMO

L’arresto di Ottaviano Del Turco è l’ennesima vicenda choc che ripropone l’urgenza di una profonda riforma del sistema giudiziario italiano. Ancora una volta tintinnano le manette e solo fra alcuni anni sapremo se legittimamente o meno. Intanto un cittadino senza, ancora, un giudizio finisce dietro le sbarre, e le prime pagine dei giornali, com’è naturale visto il personaggio, sono piene di titoloni. La vicenda, però, se non si è come Di Pietro, offre spunti per una riflessione che va aldilà degli schieramenti l’un contro l’altro armati.

E vediamo perché, partendo da una semplice domanda che merita una altrettanto semplicissima risposta. Perché è stato arrestato Ottaviano Del Turco? Qual’era la necessità che ha spinto pm e gip a privarlo della libertà? Francamente sembra impossibile rispondere a queste semplici domande. Ma se rifiutiamo la lettura del sen. Francesco Cossiga che sostiene essere ‘un avviso a Veltroni e a sua moglie’, bisogna rifarsi a quello che pensa la gente comune in questo nostro martoriato Paese, e cioè al solito trito e ritrito protagonismo di alcuni magistrati.

L’arresto in Italia è previsto solo, e sottolineo solo , in fragranza di reato ex art. 380 ccp, e, negli altri casi, se c’è pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove e pericolosità sociale. Tre ipotesi assolutamente inesistenti nel caso specifico: niente fuga (se avesse dovuto farlo lo avrebbe fatto da tempo dato che le indagini sono in corso da parecchio), impossibile inquinare le prove (essendo l’inquisito sotto i riflettori delle indagini), e niente pericolosità sociale (non si tratta chiaramente di un mafioso o un camorrista). Ma intanto è stato lo stesso sbattuto dietro le sbarre di un carcere. Non ha ragione Silvio Berlusconi quando dice che ‘bisogna riformare la giustizia ad imis, cioè in modo radicale’?

Ne sono convinti un po’ tutti, ma l’atteggiamento ostile contro il premier è tale che dopo aver criticato aspramente l’atteggiamento di Berlusconi teso a sfruttare tutte le palle al balzo, si afferma, nei fatti, che l’arresto era inutile ed eccessivo. Illuminante in questa direzione quanto sentito in una nota trasmissione radiofonica, ieri sera, dove le arrampicate sugli specchi sono state una operazione incredibilmente faticosa. Dissentire in modo netto da Silvio Berlusconi, ma non potergli dar torto nei fatti è l’ultima trovata dei commentatori di sinistra.

Nella vicenda, comunque, ci rifiutiamo di schierarci pro o contro l’innocenza di Del Turco. Non è questo in discussione, quanto l’uso spregiudicato che si fa dei poteri giudiziari. Ottaviano Del Turco, come ricordano i socialisti, fu il ‘liquidatore’ del vecchio PSI craxiano, il suo ‘necroforo’ ufficiale. La ‘liquidazione’ fu condotta, assieme a Giorgio Benvenuto, con tale acrimonia e tale veemenza (‘non mi stupisco affatto dell’esistenza del partito degli affari nel PSI’ disse) che mise in difficoltà molti militanti sulla possibile colpevolezza di Bettino Craxi. Ma il tempo è stato galantuomo, e le mascalzonate si sono rivelate per quello che erano effettivamente.

La vicenda offre, comunque, l’occasione per una considerazione. Se Del Turco, oggi, dovesse risultare colpevole, le parole pronunciate ieri contro Craxi, erano solo un meschino personale paravento; se, al contrario, dovesse, come ci auguriamo, risultare innocente, credo che finalmente capirà lo stato d’animo di chi, come Bettino Craxi, subiva la gogna mediatica dell’allora vincente pool di Milano, e doveva ‘sopportare’ le insinuazioni di un proprio ingrato compagno di partito.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 15.7.2008