Dal Socialista LAB. Martelli: “In Italia una democrazia capovolta”

Lug
24
Gio 10.22 – Claudio Martelli è stato un simbolo, uno degli alfieri, del socialismo riformista e liberale in Italia. Il Socialista Lab lo ha sentito sugli argomenti della attualità politica.
Onorevole, per tanti giovani socialisti rappresenta un mito, ma oggi cosa fa Claudio Martelli?
Di miti è meglio non coltivarne troppi perché, alla lunga, non reggono la prova della realtà. Oggi sono impegnato nel tentativo di scrivere un libro non solo di memorie, anche se sarà ricco dei vorticosi souvenir che segnano l’esperienza politica che ho vissuto. In effetti questi racconti già erano stati il nucleo di un programma radiofonico del 1992 in onda su Rai due, concentrato sulla fine della Repubblica. Una ricostruzione storica ma anche emotiva ed esistenziale che si dipana intorno al mio rapporto con Bettino Craxi, leader socialista e protagonista politico di un quindicennio. Il ‘92 è stato l’inizio della fine del Psi. E proprio scrivendo della fine mi è venuto naturale parlare del principio e dello svolgimento di una grande storia. Mentre la fine, con tutte le deformazioni ed i pregiudizi, è nota quello che è stato fatto prima sembra disperdersi, evaporare. C’è un lavorio della memoria, che non riguarda solo la vicenda dei socialisti, che tende a concentrarsi sulla fine.
Una abitudine dura a morire, anche vedendo le vicende di questi giorni
Si, è così. La vicenda di Del Turco di questi giorni mi colpisce per due aspetti: prima di tutto per il metodo, quello di sbattere qualcuno in galera, di isolarlo e mentre non può difendersi la sua immagine viene distrutta, pubblicando dell’interrogatorio del suo principale accusatore i particolari più sconvenienti, più sconcertanti. Una vicenda che rimanda alla fenomenologia atroce che abbiamo visto all’inizio degli anni novanta. La seconda cosa è che Ottaviano al momento dell’arresto ha cessato di essere un dirigente del Pd ed è tornato ad essere un ex del Psi. Ora nel PD si avverte qualche resipiscenza ma resta ancora attiva, per molti opinionisti e per certa sinistra, la “damnatio memoriae” del socialismo italiano.
Lei prima ha parlato di fine della Repubblica, non ha fatto cenno alla ‘Prima Repubblica’, è la Repubblica nella accezione più ampia del termine che non esiste più?
Quella che abitiamo oggi non è una repubblica, non è una democrazia, è un sistema capovolto. Se dovessimo rappresentare con una figura geometrica la democrazia, potremmo pensare ad una piramide. In tutte le democrazie, anche quelle che presentano più limiti, c’è una base di cittadini, di partiti, di corpi intermedi e poi un parlamento che elegge un vertice, un governo. La nostra, invece, è una piramide capovolta con un vertice che elegge la sua base. I parlamentari della Repubblica, tutti lo sanno ma nessuno lo ricorda, non sono eletti dal popolo ma nominati da Berlusconi e dalla Lega da una parte e da una ristrettissima oligarchia dall’altra parte. Da una parte, dunque, Berlusconi che definisce il suo sistema come “una monarchia anarchica” e dall’altra un sistema che si fonda sulla eterna durata degli stessi personaggi. D’Alema era già capogruppo del Pci vent’anni fa e Veltroni era direttore dell’Unità, e oggi ancora rappresentano l’alfa e l’omega del nuovo Partito Democratico. L’elemento fondamentale di una repubblica è il voto libero da condizionamenti. Oggi in Italia questo voto libero si dà solo in un punto, in un momento: quando si tratta di scegliere fra Berlusconi e Veltroni, come prima tra Berlusconi e Prodi e ancora prima fra Berlusconi e Rutelli. Questa è l’unica scelta che è rimasta all’elettore. Importante certo, ma la democrazia politica non si riduce a questo. Questo è tollerabile nelle democrazie nascenti, nello Zimbawe, nello Sri Lanka. Per il resto non si può dire che esistano partiti veri, sicuramente, se esistono, sono non democratici, a destra come a sinistra. Sono partiti carismatici che si basano sul rapporto fra un leader e le masse trasformate in pubblico, sono chiamate ad applaudire. Non c’è più una base di iscritti, di militanti che abbiano conoscenza, coscienza e capacità decisionale. Anche a livello locale le nomine avvengono per designazione dall’ alto, non esistono elezioni primarie istituite per legge ovvero regolamenti che stabiliscono in che modo si forma la volontà di un partito ed il suo gruppo dirigente.
Non esiste più il voto di preferenza e non c’è più la competizione tipica del sistema uninominale maggioritario dell’ uno contro uno. Ci sono liste bloccate di partiti non democratici i cui dirigenti sono nominati dall’alto. Siamo in una condizione di assoluta a-nomalia democratica nel senso letterale di assenza di regole democratiche. Ma c’è un altro aspetto che aggrava questa a situazione. Secondo uno dei più grandi filosofi politici viventi, l’indiano Amartyia Senn, l’essenza di un sistema democratico, che non è solo nell’appannaggio della concezione occidentale, è l’esistenza di una discussione pubblica libera. In Italia c’è una discussione pubblica libera? Secondo me no. Ovviamente non mi riferisco alla possibilità di chiacchierare al bar o in tram. Questa libertà c’è, ma c’era anche col fascismo. Mi riferisco alla libertà di informazione e di espressione. E qui casca l’asino. La libertà pubblica non è garantita perché i media, giornali e tv, o sono posseduti da poteri economici o sono politicamente ed ideologicamente schierati. E per lo più sono tutte e due le cose contemporaneamente. Questa situazione spiega, d’altra parte, il sorgere delle proteste gridate: quando manca la possibilità di discutere si finisce per urlare o ci si rifugia nell’apatia. In Italia ci sono l’apatia e l’urlo perché non c’è una discussione pubblica libera, perché la democrazia è commissariata.
E’ necessario quindi invertire la rotta, secondo lei?
Guardo con grande preoccupazione alla crisi economica, la più grave degli ultimi trenta anni. L’assenza di vita democratica e la crisi economica e sociale possono essere foriere di rischi maggiori. Tremonti ha parlato di rischio del fascismo, qualcuno a sinistra pensa che quel rischio è rappresentato da Berlusconi e non vede che libertà e di democrazia latitano anche in questa sinistra senza popolo. Sì, condivido la preoccupazione che un fascismo possa rinascere in questa crisi democratica a causa della crisi economica. E certo non aiuta di continuare ad ingigantire il tema dell’insicurezza della vita urbana o di dare risposte solo guardando alla parte più estrema del proprio elettorato come fa la Lega.
In che senso?
Faccio l’esempio delle impronte ai bambini rom perché è la conferma della cattiva politica. La lega ha preso l’impegno con gli elettori di essere dura con i clandestini ed ha iniziato una crociata ideologica. Bene, ma c’era proprio bisogno di lanciare la crociata sulle impronte ai bambini rom? Bisogna aspettare l’ondata di sdegno soprattutto internazionale per decidere che le impronte bisognerà prenderle a tutti, anche agli italiani? Un Ministro degli interni che avesse voluto risolvere il problema dell’identificazione dei rom seriamente, concretamente, sarebbe andato davanti ad una telecamera per farsi raccogliere, lui per primo, le impronte digitali. Tutto, dopo, sarebbe risultato più naturale, se, invece, tu Ministro parti dai bambini rom fai una cosa ingiusta e vai a sbattere. Poi per rimediare prometti di dare a tutti i bambini rom la cittadinanza italiana. Altro errore! Perché solo ai bambini rom e non a tutti i nati in Italia come recitano tutte le costituzioni moderne da quella americana a quella francese. Intanto l’unico risultato è un’ulteriore delegittimazione della politica. Non si governa un grande paese con gli atteggiamenti muscolari, gli insulti alla nazione buoni per vellicare la parte più aggressiva e più sprovveduta del proprio elettorato. La lega può prendere il 20 al nord ma non sarà capace di governare se mantiene questa linea di durezza. Bisognerà capire, poi, anche cos’è questo federalismo fiscale. Non riesco a capire a quale modello ci si ispiri. Il modello svizzero, quello americano ed il tedesco, dove ci sono buoni risultati, sono profondamente diversi dalle logiche che emergono nella politica italiana. Il federalismo, è bene ricordarlo, nasce dal basso per unire, federare in latino significa unire non dividere, disarticolare, smembrare.
La XVI legislatura è partita sotto i buon auspici del dialogo tra maggioranza ed opposizione. Questo proposito però è fallito in tempi brevi, era solo il libro delle buone intenzioni o ci sono emergenze così gravi, come la giustizia, per le quali partendo da diverse sensibilità è difficile costruire dialogo?
Il dialogo è andato a sbattere proprio sulla questione giustizia. Esiste nel Paese una questione irrisolta. Il Pd non riesce a dissociarsi, non tanto da Di Pietro, ma dalle procure soprattutto da quelle che hanno in odio Berlusconi. Per esempio da quella di Napoli. Una procura vistosamente incompetente a giudicare le ultime vicende di Berlusconi perché c’era un manifesto difetto di giurisdizione. Cosa c’entra Napoli con un reato compiuto tra Roma e Milano? Poi ancora come si fa a sostenere ciecamente la magistratura nel caso Mills, a non prendere le distanze da questa vicenda? Leggo cose che fanno a pugni con il buon senso. Un giudice fa dichiarazioni pubbliche contro il politico Berlusconi però darebbe garanzie di imparzialità contro l’imputato Berlusconi. Ancora, non capisco come si possa avvallare pedissequamente una accusa in cui l’imputato avrebbe corrotto il proprio avvocato? Ma all’avvocato non si pagano le parcelle? E com’è che questo Mills un giono è coimputato e un giorno è un testimone suscettibile di accusa di falsa testimonianza?
La sinistra farebbe bene a dissociarsi da queste cose come farebbe bene a dissociarsi da forme plateali di utilizzo della carcerazione preventiva, come è capitato per il caso Del Turco. Tra l’altro questa strategia, che sposa ad occhi bendati le mattane di certi pm, non paga né politicamente – già dimenticate le dimissioni del ministro Mastella? – tanto meno elettoralmente. Berlusconi adesso sembra determinato a produrre una grande riforma del sistema giustizia ma anche lui non può pensare di riformare la giustizia affidandosi ai suoi avvocati legislatori. Gli avvocati legislatori sono pessimi legislatori non so quanto siano buoni avvocati. L’idea di due categorie di processi, a secondo degli anni di pena da scontare per un determinato reato, è un mostro giuridico che non ha nessuna cittadinanza in alcuna parte del mondo ed è in totale contraddizione con la sicurezza promessa ai cittadini. Abbandonata con perdite questa idea disastrosa si è scelta la strada dell’immunità per le quattro più alte cariche dello Stato. Secondo quale logica? Perché non si è pensato, se è giusto il principio di tutelare la funzione di governo, di estenderla a tutti i Ministri e se è giusta l’esigenza di tutelare i presidenti della Camera e del Senato di estenderla a tutti i deputati e a tutti i senatori? Credo che il ritorno alla Costituzione del ’48, il ritorno alla immunità parlamentare, così come l’avevano pensata i padri costituenti sia necessaria. In questi anni si è creato uno squilibro. I casi sono due: si può ristabilire l’equilibrio tagliando le unghie all’irresponsabilità e alla politicizzazione di certa magistratura o ristabilendo nuovamente l’immunità parlamentare abrogata nel ‘93 in pieno furore giustizialista..
La novità però sembra essere data dalla ricerca di raggiungere il bipartitismo. Una risposta alla richiesta di semplificazione che chiedevano gli elettori?
In questo parlamento ci sono altre formazioni oltre a Pd e Pdl che con loro liste hanno eletto parlamentari: c’è la Lega, l’ Idv, Udc e l’ Mpa: non c’è un bipartitismo perfetto e non credo ci sarà nel prossimo futuro. Il Pd ed il Pdl hanno avuto la capacità machiavellica, per via elettorale e politica, di abolire tutti gli altri partiti senza toccare la legge vigente. Credo che gli altri partiti si organizzeranno anche alla luce del malcontento che esiste. Il 90 per cento degli italiani ha perso il 15 % del proprio reddito negli ultimi anni, e continua a impoverirsi. A questo ed alle preoccupazioni che ne nascono bisognerà dare delle risposte. Nessuno ha cominciato a farlo.
I temi cari agli italiani oggi sono la sicurezza e la lotta all’immigrazione clandestina, come si sta muovendo il Governo?
C’è un piano per aggredire camorra o la ndrangheta come io feci con la mafia negli anni novanta? Io non lo vedo. Lo feci anche con immigrati con una legge che da alcuni fu considerata troppo generosa mentre era una legge seria e severa. Da allora i principi sono sempre gli stessi: può venire nel nostro Paese chi ha un lavoro ed una casa. Negli anni sono cambiati anche i flussi migratori, ma con la mia legge le cose andavano meglio. Nei dieci anni in cui è stata in vigore gli immigrati regolari sono aumentati di 350mila unità, era dunque un provvedimento severo che conteneva e regolava i flussi migratori. Dal 1998 al 2008 abbiamo avuto la legge Turco-Napolitano, la Bossi Fini, i pasticci di Amato e Ferrero e poi ancora la Bossi Fini: quattro leggi che hanno fatto passare gli immigrati da 1.350.000 a quasi 4 milioni. Questa è una verità che nessuno racconta perché nessuno riconosce che l’inesperienza, le pretese di generosità dei Turco e dei Ferrero o la faccia feroce della Bossi Fini non hanno cambiato una virgola. Il problema è di gestione, di amministrazione se si fanno le leggi ma nessuno riesce a gestire le situazioni non cambierà nulla. Anche qui conta l’esempio. Nel 1991 arrivarono in Italia circa ventimila albanesi a Brindisi e Bari, li identificammo tutti e li facemmo ritornare, in poche settimane, nel loro Paese. Adesso assistiamo al dibattito sul reato di clandestinità. Introducendo i reati la situazione si complica, si ingarbuglia di più, è evidente. Non potrebbero valere regole diverse ed allora i tre gradi di giudizio necessari per perseguire anche questo nuovo reato creerebbero solo problemi. Perché a destra ed a sinistra non vogliono capire cosa è l’espulsione? E’ una misura amministrativa e tale deve rimanere. Che differenza c’è in termini di diritto se un clandestino è respinto alla frontiera o dopo quando è già entrato nel territorio dello stato? Nessuna! E allora perché nel primo caso basta la polizia e nel secondo bisogna instaurare un processo?
Onorevole Martelli lei è stato uno dei padri del riformismo socialista. Cosa è oggi il riformismo, è ancora attuale?
La parola riformismo significa tutto ed il contrario di tutto ormai. La natura del riformismo socialista storicamente aveva una doppia essenza: a destra si opponeva ai moderati ed ai conservatori e a sinistra ai massimalisti e ai rivoluzionari. Il riformismo era l’idea di un cambiamento che assorbisse in sé le ragioni e le istanze di natura rivoluzionaria graduandole con le compatibilità di governo del sistema: di questo non vedo traccia. L’ultima ventata riformista in Italia è stata la nostra, quella degli anni ottanta, con Bettino Craxi e il gruppo dirigente del PSI. In Europa gli esempi più freschi sono quelli di Blair e di Zapatero. Quella di Blair è stata fondamentalmente una umanizzazione della rivoluzione thatcheriana, una correzione solidale e compassionevole dei suoi eccessi. Il Primo Ministro britannico lavorava sulla base di una rivoluzione liberista, restauratrice, capitalista, Blair l’ ha moderata nel senso della ‘compassion’, compassione che in inglese ha però un altro significato, è il senso di una attitudine benevolente verso in prossimo, in italiano si traduce con solidarietà. Zapatero non ha manifestato il suo riformismo sul terreno economico, dove ha lasciato intatto il lascito di Aznar che a sua volta aveva ereditato il pragmatismo di Felipe Gonzales. Il riformismo di Zapatero è di natura civile riguarda i diritti individuali, segna una svolta culturale, si manifesta con un’esplosione di libertà. Fa discutere, fa pensare, ha aperto le menti ed ha risposto ad una attesa del popolo spagnolo. La Spagna si è scrollata di dosso una tradizione pesante, eccessiva in tanti campi, dai diritti sessuali alla libertà nella ricerca scientifica.
Il Socialismo oggi. La ricerca di identità cercata seguendo diverse scelte. Il Pdl, l’autonomia che diventa isolazionismo, la vecchia sinistra. La diaspora non avrà mai fine? Come si immagina un futuro per i socialisti?
La storia è stata derisoria con i socialisti. Ma ormai le responsabilità maggiori del disastro non si possono imputare, dopo 15 anni, ancora a ‘mani pulite’ ed alla persecuzione giudiziaria. Quello è stato un colpo micidiale, perché in politica l’attacco morale ti taglia le gambe equivale a un colpo sotto la cintola nel pugilato. Però c’è stato il tempo di un recupero e questo tempo è stato sprecato. Io ho predicato invano per dieci anni, prima da cittadino e poi nel Parlamento Europeo, l’unificazione dei socialisti in una posizione scomoda, ma l’unica possibile, che è quella autonoma dai due blocchi. Certo potevi non essere eletto per un turno però si sarebbe preservato un nucleo politico identitario che avrebbe poi trovato anche il suo spazio elettorale. Nencini mi sembra stia facendo lo stesso errore di sempre. Guarda non agli elettori ma ai pochi eletti, vive la necessità di conservare e preservare prima di tutto i consiglieri e gli assessori e annuncia già che si vuole alleare con il Pd alle prossime europee: è un percorso a termine che non può esaltare nessuno. Claudio Signorile, qualche anno fa, aveva inventato una formula intelligente, disse ‘il socialismo è una civilizzazione, una cultura’, non ha più importanza che sia identificato in un partito, l’importanza è che resti la cultura e si sviluppi, si coltivi (ndr è questo d’altra parte lo spirito dell’appello de Il Lab che riproponiamo). Però qualche soggetto dovrebbe esserci, magari non uno solo.
Anche in vista delle elezioni europee i socialisti non trovano facile collocazione. Il Pd, ad esempio, non riesce a proiettare la sua esperienza. Lei, già molti anni fa, penso si dovessero superare i confini della tradizione socialista.
Ai miei tempi io cercavo una via che potesse allargare i confini della tradizione socialista e comprendere in una prospettiva, un contenitore (si direbbe oggi e la parola non mi piace), i laici, i socialisti ed offrire una sponda alla evoluzione del Pci. Craxi mi disse che una prospettiva tanto importante la si poteva sviluppare solo a livello internazionale. Fu lui a interrogare l’Internazionale Socialista, perchè valutasse l’ipotesi di trasformare l’internazionale socialista in internazionale democratica per aprirla ai democratici americani, alle forze progressiste nel mondo? L’eurosocialismo rispose no, non se ne fece nulla e Craxi rifluì anche in Italia sull’idea dell’ unità socialista con il PSDI subito con il PCI in un vago domani. Di tutto questo non c’è più traccia nella discussione attuale. Nel Pd questa prospettiva è stata sacrificata alla fusione con una parte minoritaria del vecchio mondo democristiano e anche questa fusione traballa. E’ giusto dire che anche il contesto è completamente diverso: allora laici e sinistra sfioravano il 50%, ora arrivano al 32 con i cattolici di sinistra. Dove sono finiti gli elettori socialisti? Evidentemente c’è una questione pregiudiziale che resta a fare da spartiacque. C’è un’ astuzia non della ragione ma della morale. Ieri la questione morale agitata dal PCI tributario di mani pulite ha abbattuto il PSI, oggi la questione morale vieta ai socialisti di ricongiungersi con gli ex comunisti. L’abbattimento totale del giustizialismo è una delle priorità per tornare a parlare alla comunità socialista e laica. Su questo muro sono andati a sbattere anche i socialisti, prima perchè ne sono stati vittime e poi perchè i tentativi di ripiantare il socialismo a sinistra sono falliti non riuscendo a riconquistare i loro elettori. Un problema diverso ma non minore c’è anche a destra. A destra gli ex socialisti sono costretti all’alleanza con ex fascisti e leghisti e devono coltivare la speranza diventare tutti popolari europei, insomma, di “morire democristiani”. Nel governo di centrodestra ci possono essere individualità notevoli come lo sono i ministri Tremonti, Sacconi, Brunetta e Frattini: hanno geni socialisti, ma sono singoli, non fanno gruppo, non fanno nemmeno tendenza. A destra un partito socialista non ci può stare. Ci può stare un capo ex socialista ma dev’essere un Mussolini, deve comandare tutta la nazione.
Si può immaginare un dopo-Berlusconi? Un suo delfino?
Se Berlusconi non si pone il problema adesso che ha tempo per riflettere e preparare il dopo se lo dovrà porre poi in fretta e furia. Se non fa nulla assisteremo ad una implosione del sistema che ha costruito.
di Gaetano Amatruda Fiorella Anzano

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Redazione

La redazione di Pensiero Socialista

4 commenti su “Dal Socialista LAB. Martelli: “In Italia una democrazia capovolta””

  1. Il contributo del libro di Martelli sarà senz’altro importante ed incisivo.
    Tra le altre cose Claudio condusse il programma di attualità politica “L’Incudine” in seconda serata per le reti Mediaset.

  2. SIAMO TUTTI IN ATTESA CHE CLAUDIO MARTELLI TORNI IN POLITICA, SAREBBE L’UNICO CAPACE DI RIAPRIRE LE PORTE DEL SOCIALISMO E FAR RIFIORIRE IL TANTO AMATO GAROFANO. ALLORA MI CHIEDO E SOPRATTUTTO VI CHIEDO A QUANDO QUESTA DECISIONE? SOLO UN LEADER COME LUI PORTEREBBE RIFORMISMO E SOCIALISMO IN ITALIA…
    DA UNA PARTE NENCINI CONOSCIUTO SOLO A FIRENZE DALL’ALTRA CALDORO INGLOBATO IN FORZA ITALIA PENSATE VERAMENTE DI ANDARE DOVE?
    L’AUTONOMIA SOCIALISTA DIPENDERA’ SOLO DALLA SUA SCELTA E SE COSì NON FOSSE ABBANDONIAMO OGNI VELLEITà..

  3. Ho visto questa sera da Santoro, Claudio Martelli. Certo che come giurista lascia molto a desiderare, eppure mi sembra di ricordare che un tempo avesse anche ricoperto la carica di ministro della giustizia.

  4. Compagni cosi non si può andare avanti. laicità dello stato finita
    Sacconi che da grande riformatore con Loris Fortuna aborto, divorzio ecc… è diventato tutto papalino.Una Scuola che è sempre meno pubblica assieme alla sanità. Visite a pagamento dai dottori in una struttura pubblica come gli ospedali con ricevuta a nome della asur di appartenenza. Dobbiamo ridare vita ad unica Forza socialista che esca da forza italia e dal pd perchè il bipolarismo non funziona. Mi rivolgo a quanti hanno a cuore le sorti del socialismo nel suo insieme. Non possiamo e non dobbiamo rimanere inermi difronte ad una politica che ha da tempo toccato il fondo, basta con i rancori i personalismi torniamo uniti per ridare all’italia uno cento garofani socialisti. Gabriele Franci da Urbino

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