DI PIETRO S’E’ BLINDATO CONTRO I ‘GUASTAFESTE’

Prima o poi, com’era prevedibile, doveva accadere. Come sempre, (vedi Robespierre), anche i più feroci inquisitori subiscono la stessa sorte che hanno imposto agli altri. E non certo solo per fatti ‘penalmente rilevanti’, perché in politica si paga dazio anche per fatti che cozzano terribilmente con il senso comune della gente semplice, con la prassi morale imperante, e con la stridente collisione con le bandiere sventolate ad ogni piè sospinto.

E’ bastata una serie di telefonate del pargolo dipietrino per aprire un processo di messa a fuoco di notizie che, nei mesi e nelle settimane passate, venivano soltanto sussurrate o soltanto timidamente pubblicate, ma sempre ignorate dalla grande stampa italiana, e spesso oggetto di querele da parte dell’interessato che non accettava alcuna critica e respingeva ogni possibile addebito. Stia tranquillo l’ingenuo Cristiano, che magari si sente in colpa col paparino, la ‘cosa’ era destinata ad emergere. Era solo questione di tempo, e la pentola in ebollizione sarebbe esplosa con grande fragore, lui, semmai, è stato solo l’inconsapevole detonatore.

Della vicenda comunque non ci interessano i lati ‘penalmente rilevanti’ (questo è essenzialmente compito della magistratura), a noi interessano i lati politici e le incongruenze denunciate, sui media nazionali, nel comportamento del ‘leader’ del qualunquismo populista qual è Antonio Di Pietro. Due sono i problemi che attendono risposte adeguate e sui quali vogliamo soffermarci, a parte i motivi, mai chiariti, della spettacolare dismissione della toga quand’era al culmine della popolarità che, la parte più viscerale del popolo italiano (quello per intenderci che non usa cervello o cuore, ma solo pancia), non nega a nessuno.

Il primo problema è capire come Di Pietro sia venuto a conoscenza di un’inchiesta, (coperta dal segreto istruttorio), che coinvolgeva sia il Provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise dott. Mautone (poi arrestato, liberato per vizi di forma e riarrestato), sia lo stesso figliuolo Cristiano. Il primo trasferito d’urgenza al Ministero, il secondo, come d’incanto, ha interrotto le telefonare al Mautone. Di Pietro prima risponde che lo ha saputo ‘dalle agenzie’, ma detta giustificazione è risultata falsa, perché le notizie in merito, a luglio 2007, non esistevano (segreto istruttorio); successivamente parla di aver ‘annusato’ l’aria convinto di chiudere così la vicenda, magari pensando che gli italiani (non quelli di pancia, ma quelli di testa) siano dei perfetti imbecilli a cui si può raccontare la favola dell’asino che vola.

Il secondo problema nasce dai rimborsi elettorali (40 milioni di euro pari a circa 80 miliardi di vecchie lire) che, si è saputo, non andavano al Partito dell’IDV, ma all’Associazione IDV i cui unici membri sono solo Antonio Di Pietro (presidente), la moglie Susanna Mazzoleni e l’amica di famiglia Silvana Mura (tesoriere) promossa deputato. L’incredibile sta nel fatto che nel Partito (che non conta nulla) ci si può iscrivere quando e come si vuole, mentre nell’Associazione si può entrare, con atto notarile, solo se vuole Di Pietro, e in questi anni chiaramente non ha voluto alcuna ‘contaminazione’. L’Associazione è quella che controlla il finanziamento elettorale. Egli giustifica questa blindatura antidemocratica con una frase illuminante: “Noi (chi? Lui, la moglie e l’amica?) ci siamo garantiti così, e ci sentiamo tranquilli dalle rivendicazioni di qualche guastafeste”. Cioè, in parole povere, nessuno può mettermi in minoranza e la cassa del partito la controllo comunque io, in barba agli oppositori interni al partito chiamati semplicemente guastafeste.

Sorge da ciò un problema delicatissimo, e una domanda specifica: può esserci in un Paese democratico, come l’Italia, un partito gestito in modo così antidemocratico? Se la risposta è no, vanno assunte iniziative per far si che i partiti, tutti i partiti, abbiamo realmente una vita democratica. E’ un altro dei problemi da affrontare per far crescere la democrazia dell’intero Paese.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 5.1.2009

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