PROCURA: UNA BOMBA CHE APRE SCENARI SCONVOLGENTI

Uno tra i più abusati commenti sulla bomba, quella fatta esplodere dinanzi al portone della Procura Generale di Reggio Calabria, è che essa punti a intimidire i Magistrati per la loro attività contro i boss e i sequestri dei loro patrimoni. L’obiettivo sarebbe quello di farli recedere da questa posizione e farli diventare più docili e malleabili. E’ una tesi, però, che non sta né in cielo né in terra.

E vediamo perché. Gli stessi che oggi si accontentano di una lettura riduttiva hanno dipinto, in tutti questi anni, la ‘ndrangheta come una delle più potenti organizzazioni criminali, poco penetrabile per la sua struttura organizzativa fondata soprattutto sull’affiliazione familiare e, quindi, poco incline al pentitismo. Un’organizzazione in grado di mantenere rapporti internazionali, soprattutto col Canada e la Colombia, e diventare punto di riferimento del flusso della droga e del commercio delle armi, e in grado dei riciclaggi finanziari. Una struttura, quindi, non rozza, accattona e folkloristica, che sa usare solo le armi, ma struttura che ha menti lucide e capaci, in grado di ‘ragionare’ e saper ‘leggere’ gli scenari che un proprio atto può determinare.

In sostanza un’organizzazione che, a differenza della mafia di Riina, è poco incline all’esposizione mediatica ed è molto protesa a vivere nell’ombra. Il livello degli ‘affari’ è così alto che le attività illecite realizzate in Calabria hanno solo l’obiettivo di finanziare la rete organizzativa locale e mantenere il proprio dominio su un territorio che è soprattutto base logistica delle attività internazionali. Tra l’altro, la capacità di leggere gli scenari, non poteva non far escludere che l’obiettivo di un allentamento delle procedure di sequestro dei patrimoni non si sarebbe potuto ottenere perché l’azione di intimidazione collettiva come, a prima vista, è sembrato l’obiettivo della ‘bomba’, non è mai producente. I riflettori accesi, l’attenzione nazionale alle stelle, la necessità dello Stato di dare risposte immediate avrebbero giocato, come stanno giocando, contro l’ottenimento di visibili risultati. Mentre lo può essere l’attività intimidatrice individuale.

Ma se questo è vero bisogna capire a chi la bomba ha voluto parlare, e bloccare subito un processo di condizionamento che, con l’andar del tempo, provocherebbe una vera e propria sudditanza ai voleri della ‘ndrangheta da parte di chi, per debolezza o altro, ha ceduto magari una volta o così è apparso ai suoi interlocutori. Questa è comunque una ipotesi che ci si augura non sia vera e lo speriamo ardentemente. Se questo, però, non è vero bisogna prendere in considerazione l’altra ipotesi che è tutta interna alle organizzazioni mafiose.

Ecco perché. La falcidia di boss caduti nella rete (ben 11 tra i 30 più pericolosi sono ‘ndranghististi) delle squadre ‘catturandi’ per l’azione sempre più incisiva degli organi dello Stato, inclusa la Magistratura che, ultimamente, non è stata attratta dalle luci della ribalta com’è avvenuto in passato quando si inseguivano teoremi e si perseguivano colletti bianchi, può aver spinto forze emergenti della mafia ‘chianota’ (cioè della Piana di Gioia Tauro) a tentare di rompere la tradizionale ‘autonomia’ delle cosche reggine per puntare alla piramidizzazione mafiosa sul modello siciliano. Se gli esecutori dell’attentato sono della Piana l’ipotesi finisce d’essere tale e lo scenario che si apre sarà abbastanza sconvolgente: si assisterà all’inizio di una terza cruenta e feroce guerra di mafia che mette in discussione poteri consolidati e certezze acquisite.

Nell’un caso e nell’altro i tempi che ci attendono saranno abbastanza delicati, e questo quando Reggio si era affrancata, nazionalmente, dal marchio di città violenta e mafiosa.

(Giovanni ALVARO)

Reggio Calabria 6.01.10

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