IL FIDEISMO SU DI PIETRO FA VERAMENTE PAURA!

  • Il giustiziere della notte, Antonio Di Pietro , si sentirà sicuramente messo in un tritacarne così come si sentivano, anche per molto meno, i suoi inquisiti che in grandissima parte sono usciti indenni, giudizialmente, dal giogo inquisitorio a cui furono sottoposti. Alcuni non hanno retto alla gogna e, per scelta soggettiva o sviluppo oggettivo, hanno abbandonato questa terra. Doveva aspettarselo, però, il nostro piccolo fustigatore. E non perché è normale che l’inquisitore diventi inquisito, come la storia ci insegna, ma perché quando si costruisce un partito (?), l’IDV, basato solo sulla trasparenza e sull’onestà, sarebbe stato necessario che nell’armadio non ci fossero nè scheletri, nè addirittura qualcosa che gli potesse assomigliare.

    Le difficoltà dell’oggi nascono anche per questo. Se l’opinione pubblica non vuole che il mondo politico sia disonesto, a maggior ragione pretende, da personaggi come Di Pietro, che non ci sia su questo versante veramente nessuna ombra. Se la morale corrente critica i rapporti extraconiugali, la stessa morale li condanna, senza alcun appello, se il presunto protagonista boccaccesco fosse un prete. Sperare di risolvere, quindi, il problema negandolo, o minacciando querele, o parlando di ‘azione criminale’ di qualche giornale, non serve a niente. E’ invece necessario chiarire ogni piccolo particolare. Solo chi vuol tenere gli occhi chiusi si accontenta dell’ipse dixit, anche se purtroppo, tra i suoi seguaci, c’è chi ha deciso di tenerli saldamente chiusi. Non tutti però.

    Alcuni sono rimasti sconcertati, delusi e amareggiati per l’evidente contrasto tra il predicare e il razzolare, ed hanno preso decisamente le distanze dall’incantatore targato IDV. Gli perdonavano tutto, proprio tutto, dall’assenza di respiro politico agli strafalcioni grammaticali, ma non l’ipotetica sporcizia sulla bandiera della moralità. Altri invece, sentendo scricchiolare le certezze che avevano, avrebbero deciso di vedere fino in fondo l’attuale ‘partita’, sperando d’essere aiutati a uscire dal guado in cui si sono venuti a trovare anche per evitare di dover confessare a se stessi quanto siano stati ingenui e incauti nella scelta del cavallo su cui avevano puntato le loro speranze. E, infine, c’è chi ha considerato, e considera tuttora quanto sta avvenendo, solo frutto di quel demonio di Berlusconi che una ne fa e cento ne pensa, e si rifiuta addirittura di leggere quanto scrivono molti giornali, non più solo il Giornale della famiglia demoniaca, ma anche altri come ad esempio lo stesso Corriere della Sera.

    Questa terza categoria fa veramente paura. A differenza dell’articolo dell’avvocato Li Gotti che ha solo il sapore dell’aggressione nei confronti del Direttore de il Giornale, e quello della ‘captatio benevolentiae’ nei confronti di chi decide vita o morte politica dei propri parlamentari, è il fideismo esasperato che fa tremare i polsi e le vene d’ogni sincero democratico. Perché il fideismo porta a rifiutare l’approfondimento della vicenda, porta ad ignorare quanto dicono gli ‘altri’, si pasce della verità sola e unica del suo predicatore, accoglie a occhi chiusi il ‘verbo’ del capo perché non può essercene un altro al di fuori di quello, spinge a inveire, offendere, attaccare e minacciare. I blog di Di Pietro e dell’IDV sono letteralmente infarciti di ogni contumelia.

    Non c’è dubbio che si tratti di un pezzo di ‘popolo’ assolutamente minoritario, che ragiona con la pancia, e che considera la campagna mediatica una terribile invenzione dei nemici del proprio idolo. Esso, l’idolo, era, è e sarà sempre immacolato. Ma anche un pezzo minoritario, incolto, retrogrado e qualunquista, può diventare un pericolo se trova, come ha trovato, un proprio discreto organizzatore le cui iniziative spingono verso derive populiste e verso sbocchi impensabili.

    Quanta responsabilità, signor Veltroni, si è assunto nella cronaca odierna che ogni democratico si augura non diventi mai storia!

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, 13.1.2009

  • DI PIETRO S’E’ BLINDATO CONTRO I ‘GUASTAFESTE’

    Prima o poi, com’era prevedibile, doveva accadere. Come sempre, (vedi Robespierre), anche i più feroci inquisitori subiscono la stessa sorte che hanno imposto agli altri. E non certo solo per fatti ‘penalmente rilevanti’, perché in politica si paga dazio anche per fatti che cozzano terribilmente con il senso comune della gente semplice, con la prassi morale imperante, e con la stridente collisione con le bandiere sventolate ad ogni piè sospinto.

    E’ bastata una serie di telefonate del pargolo dipietrino per aprire un processo di messa a fuoco di notizie che, nei mesi e nelle settimane passate, venivano soltanto sussurrate o soltanto timidamente pubblicate, ma sempre ignorate dalla grande stampa italiana, e spesso oggetto di querele da parte dell’interessato che non accettava alcuna critica e respingeva ogni possibile addebito. Stia tranquillo l’ingenuo Cristiano, che magari si sente in colpa col paparino, la ‘cosa’ era destinata ad emergere. Era solo questione di tempo, e la pentola in ebollizione sarebbe esplosa con grande fragore, lui, semmai, è stato solo l’inconsapevole detonatore.

    Della vicenda comunque non ci interessano i lati ‘penalmente rilevanti’ (questo è essenzialmente compito della magistratura), a noi interessano i lati politici e le incongruenze denunciate, sui media nazionali, nel comportamento del ‘leader’ del qualunquismo populista qual è Antonio Di Pietro. Due sono i problemi che attendono risposte adeguate e sui quali vogliamo soffermarci, a parte i motivi, mai chiariti, della spettacolare dismissione della toga quand’era al culmine della popolarità che, la parte più viscerale del popolo italiano (quello per intenderci che non usa cervello o cuore, ma solo pancia), non nega a nessuno.

    Il primo problema è capire come Di Pietro sia venuto a conoscenza di un’inchiesta, (coperta dal segreto istruttorio), che coinvolgeva sia il Provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise dott. Mautone (poi arrestato, liberato per vizi di forma e riarrestato), sia lo stesso figliuolo Cristiano. Il primo trasferito d’urgenza al Ministero, il secondo, come d’incanto, ha interrotto le telefonare al Mautone. Di Pietro prima risponde che lo ha saputo ‘dalle agenzie’, ma detta giustificazione è risultata falsa, perché le notizie in merito, a luglio 2007, non esistevano (segreto istruttorio); successivamente parla di aver ‘annusato’ l’aria convinto di chiudere così la vicenda, magari pensando che gli italiani (non quelli di pancia, ma quelli di testa) siano dei perfetti imbecilli a cui si può raccontare la favola dell’asino che vola.

    Il secondo problema nasce dai rimborsi elettorali (40 milioni di euro pari a circa 80 miliardi di vecchie lire) che, si è saputo, non andavano al Partito dell’IDV, ma all’Associazione IDV i cui unici membri sono solo Antonio Di Pietro (presidente), la moglie Susanna Mazzoleni e l’amica di famiglia Silvana Mura (tesoriere) promossa deputato. L’incredibile sta nel fatto che nel Partito (che non conta nulla) ci si può iscrivere quando e come si vuole, mentre nell’Associazione si può entrare, con atto notarile, solo se vuole Di Pietro, e in questi anni chiaramente non ha voluto alcuna ‘contaminazione’. L’Associazione è quella che controlla il finanziamento elettorale. Egli giustifica questa blindatura antidemocratica con una frase illuminante: “Noi (chi? Lui, la moglie e l’amica?) ci siamo garantiti così, e ci sentiamo tranquilli dalle rivendicazioni di qualche guastafeste”. Cioè, in parole povere, nessuno può mettermi in minoranza e la cassa del partito la controllo comunque io, in barba agli oppositori interni al partito chiamati semplicemente guastafeste.

    Sorge da ciò un problema delicatissimo, e una domanda specifica: può esserci in un Paese democratico, come l’Italia, un partito gestito in modo così antidemocratico? Se la risposta è no, vanno assunte iniziative per far si che i partiti, tutti i partiti, abbiamo realmente una vita democratica. E’ un altro dei problemi da affrontare per far crescere la democrazia dell’intero Paese.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria, 5.1.2009

  • GRAZIE A CRISTIANO DI PIETRO, FORSE…

    Clemente Mastella, in modo accorato, ha dichiarato che non avrebbe osato pensare a cosa sarebbe successo se una telefonata come quella del ‘pezz’e core’ Cristiano Di Pietro fosse stata registrata sulla propria utenza telefonica. “Per molto meno -ha continuato- mia moglie Sandra è stata arrestata, ed io ho dovuto lasciare il Ministero di Grazia e Giustizia, il partito, la carriera politica”. Con questa battuta il caro Clemente ha sintetizzato il doppiopesismo giudiziario esistente in Italia che, proprio per l’affermazione che lo ha basìto, sembra essergli nuovo e inedito.

    No, caro ex Ministro di Grazia e Giustizia, non c’è nulla di nuovo oggi nell’aria, anzi è tutto antico. Solo chi non ha voluto vederlo, non s’è accorto che venivano usati, e non solo dai media, due pesi e due misure, a seconda dell’appartenenza politica dei soggetti interessati. Solo chi, spinto a ingraziarsi l’ordine considerato ‘invincibile’, e anche per questo impegnato a neutralizzare quanto realizzato dal precedente Ministro on. Castelli, poteva far finta di non scorgere la realtà che scivolava sempre più verso una deriva incontrollabile, e dimostrarsi così un marziano scandalizzato.

    C’è una frase però dell’ex Ministro che merita un’approfondimento, ed è quella con la quale Mastella ha affermto: “A Di Pietro pare che tutto sia concesso. Sembra che molti ne abbiano paura”. E’ una frase che rispecchia fedelmente il pensiero che hanno molti, anche all’interno dello stesso Partito di Veltroni, che continuano a non spiegarsi, prima l’alleanza con Di Pietro a scapito di comunisti, socialisti e verdi, e poi il continuo inseguire le sue iniziative populiste; l’appiattimento sul suo credo giustizialista; e l’accettazione dei suoi candidati imposti a suon di provocatorie affermazioni pubbliche. Non si dimentichi che in Abruzzo il candidato a Governatore era un uomo di Di Pietro che il PD ha dovuto, obtorto collo, ingoiare col risultato super deludente registrato a spoglio concluso.

    Ma, se veramente Uòlter e il più ristretto gruppo dirigente dei PD, hanno paura del nostrano mini Robespierre, c’è qualcosa che non è ancora emerso e che è necessario far emergere. Forse, per questo, bisognerebbe tornare indietro con la memoria e capire la vicenda della valigetta, piena di soldi di Gardini, seguita da Di Pietro fin sul portone di Botteghe Oscure e quindi letteralmente scomparsa: perché oltre quel portone non si è trovato chi NON POTEVA NON SAPERE. Ma anche in questo caso la verità sarebbe solo parziale, perché se fino ad ieri poteva avere un significato la difesa della propria impunità oltre quella della propria diversità morale, oggi, dopo che Donegaglia (ex grosso dirigente delle Coop rosse) ha deciso di aprire il rubinetto dei propri racconti svelando i meccanismi della corruzione rossa, non lo si capisce più.

    O forse tutto va ricondotto al fatto che Violante non è più visibilmente accreditato come referente unico del fronte giudiziario, ed al suo posto si è insediato il nostro piccolissimo nuovo Torquemada che però pensa solo a rafforzare il proprio ruolo nel Paese disinteressandosi d’altro. Ma anche se non lo facesse, l’esperienza dimostra, ch’è difficile tenere sotto controllo un ordine diventato ormai oggettivamente incontrollabile.

    I prossimi giorni forse sveleranno tanti misteri, per adesso bisogna accontentarsi del fatto che il dibattito sulla giustizia non è più recintato nelle riserve indiane ma si è librato in ogni direzione. E questo fa ben sperare sullo sgretolamento del fronte della conservazione nella difesa di ruoli e privilegi di casta.

    Intanto dobbiamo un grazie di cuore al dipietrino, delfino o trota che sia, perché ha contribuito, e non poco, a questo risultato. Quelle telefonate fatte al dott. Mautone hanno aperto, al grande pubblico, uno spiraglio illuminante sulla differenza tra predicare e razzolare, e sulla differenza tra democrazia praticata e predicata. In quella praticata il controllo spetta al popolo, nel secondo caso spetta solo a chi ha la furbizia di costruirsi strutture con proconsoli parentali, o partiti con speciali statuti.

    Ma la storia del giustiziere della notte, Antonio Di Pietro, è intessuta di altre vicende ed altri misteri. No, non parliamo né della Mercedes ricevuta, né del prestito di 100 milioni a tasso zero, né dell’appartamento avuto in affitto dalla Cariplo a Milano e ceduto al proprio figliolo, né degli immobili comprati dalla An.to.cri. (Anna, Totò, Cristiano, il trittico Di Pietro) e affittati all’IDV in varie zone d’Italia, ma parliamo del più importante dei misteri. Quello delle sue dimissioni dalla Magistratura, i cui motivi rimangono ancora ignoti, e chissà se in essi non ci sia la chiave per leggere la sudditanza di Veltroni e del PD all’egemonia dipietresca.

    Nei giorni scorsi, il picconatore per eccellenza, l’emerito Presidente della Repubblica Francesco Cossiga , solitamente ben informato (forse per i suoi trascorsi gomito a gomito con i servizi segreti di questo Paese), lo spronava a confessare il perché di quell’abbandono, ricordandogli che lui (Cossiga) ne era a conoscenza, ma che, oggi, preferiva evitare di renderlo pubblico. E’ augurabile che non ci faccia aspettare molto.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 30.12.2008

    SGOMBRARE IL CAMPO PER MANIFESTA INCAPACITA’

    Lo avevamo già scritto, facendo i facili profeti, che alla fine Veltroni, D’Alema e & avrebbero fatto come gli struzzi. Imbrogliano se stessi, si nascondono la verità, quella nuda e cruda della Caporetto abruzzese (anteprima di una Caporetto generale), e, come se si stesse in una normale situazione, anziché porre mano ai problemi di linea politica e correzione profonda del loro modo d’essere, decidono di mantenere lo status quo con quell’asfissiante alleanza con Di Pietro, e, con l’occhio al controllo del partito, pensano solo a come affrontare il redde rationem che comunque è stato rinviato al dopo elezioni europee.

    Siamo veramente, come si vede, all’incapacità di percepire la gravità della situazione in cui si trovano. In pratica, si è alla confusione più totale ed al possibile sfascio di quel partito che fu il PCI, il PDS, i DS e, con la Margherita, l’attuale PD, ‘amalgama mal riuscito’ (versione D’Alema), o ‘amalgama che c’è già stato alle elezioni politiche e prima ancora alle primarie’ (controreplica Veltroni).

    Non c’è dubbio che, nella scelta di non toccare nulla delle proprie alleanze, ha pesato l’esplosione della questione morale che sta facendo assaporare, anche ai ‘moralmente diversi’, quanto è terribilmente salato il mare. Come in una gara tra le Procure, infatti, si susseguono, senza soluzione di continuità, le inchieste, gli arresti, le iscrizioni nei registri degli indagati e i rinvii a giudizio, che stanno sconvolgendo il cosiddetto popolo di sinistra che, per la prima volta, forse, comincia ad aprire gli occhi sul pianeta magistrati e, a denti stretti, comincia a considerare urgente la riforma del settore. Riforma che, per anni, è stata vista come il tentativo di mettere sotto controllo l’ordine giudiziario, e non come una necessità per rendere civile e moderno un Paese sotto scacco e martoriato da abusi di ogni genere per l’autoesaltazione e la forte esposizione mediatica dei nuovi protagonisti, entrati nell’agone a gamba tesissima, quali sono stati i magistrati politicizzati.

    La preoccupazione del ristretto gruppo dirigente del PD è comunque e sempre Antonio Di Pietro e la sua capacità di sfruttare ogni loro passo falso sul terreno giustizialista. Uòlter e ‘baffino’ sanno che le iniziative del PdL non puntano a fare dell’attuale ‘tangentopoli rossa’ un vessillo da usare senza parsimonia. Forse finalmente riescono a capire che Silvio Berlusconi e i suoi alleati non usano, contro i loro avversari, i metodi della canea giustizialista come sanno fare loro e i ‘campioni del rispetto, della civiltà e del confronto’ dell’IDV e del suo leader. Certamente è stato difficile per loro, cultori dell’aggressione sistematica, capire una verità lapalissiana: solo chi non ha argomenti si rifugia nel ghetto giustizialista, mentre il PdL ne ha a iosa.

    Per esempio a Napoli e in Campania, a che servirebbe girare ferocemente il coltello nella piaga, facendo scadere l’iniziativa politica e mettendo sterco nel ventilatore? A chi gioverebbe seminare discredito sulle istituzioni? La giustizia faccia il suo corso e velocemente, ma a Napoli e in Campania, usando solo il lessico del signor Gambale (il Torquemada partenopeo famoso per gli attacchi contro Gava, Scotti, De Lorenzo e Di Donato chiamati la ‘banda dei quattro’), bisogna liquidare al più presto ‘il duo Bassolino-Iervolino’ per assoluta manifesta incapacità politica.

    Le immagini di una regione sommersa dalla spazzatura, senza citare altro, sono stati il biglietto da visita di un gruppo dirigente modesto e senza capacità di volare alto. Mostrare le mani, come ha fatto la Iervolino, e dire che sono pulite serve a ben poco. Perché per guidare una città come Napoli, ex Capitale del Regno delle Due Sicilie, servono certo mani pulite, ma anche mani operose e occhi attenti e vigili. Essendo mancate queste due condizioni, sarebbe più corretto e politicamente più salutare chiudere finalmente un’esperienza fallimentare.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 22.12.2008

    VELTRONI, BASTA CON UN CONNUBIO INDECENTE

    Si potrà girare e rigirare attorno al problema quanto si vuole, si potranno dare mille interpretazioni alla ultima sconfitta elettorale, si potrà dire da parte di Veltroni che alla fin fine il bicchiere si presenta mezzo pieno, mentre D’Alema gli dirà sicuramente ch’esso è mezzo vuoto, se non addirittura che sia totalmente vuoto, ma alla fine faranno come gli struzzi: nasconderanno la verità nuda e cruda della Caporetto rappresentata dal risultato elettorale dell’Abruzzo.

    Non sono abituati a dire come stanno veramente le cose, ad assumersi pienamente la responsabilità di ciò che va male, ad ammettere d’avere sbagliato tutto da dieci mesi a questa parte, per cui continueranno a mentire a se stessi, e saranno vittime della loro stessa presunzione. Non che una strada diversa li potrà riportare in auge, ma almeno li salverà dal precipizio, ed eviterà all’Italia la crescita di logiche populiste e sudamericane degnamente rappresentate da quel simpatico ‘superdemocratico’ qual è il signor Antonio Di Pietro.

    Affrontare la realtà significa prendere il toro per le corna, direttamente e senza alcun infingimento, stoppando la ripida scivolata su quel piano inclinato, cosparso di grasso, dove sono riusciti a collocarsi i signori della cosiddetta sinistra obamiana che vivono di nominalismi, simboli e frasi inglesi che tanto fanno chic nelle terrazze romane. Prendere il toro dal suo simbolo può appariscente significa però riconoscere il gravissimo errore commesso nell’aver allevato e messo in circolo un nemico della democrazia, un giustizialista dichiarato, un populista senza alcun respiro politico, quando contemporaneamente si decretava la fine di sinistre antagoniste, sinistre critiche, socialisti servizievoli e verdi di ogni gradazione.

    Non che l’assenza di detti rappresentanti (Diliberto, Boselli, Pecoraro Scanio, Giordano, Mussi, ecc.) ci abbia sconvolto e ci abbia costretto a mettere il lutto, ma onestamente li avremmo preferiti al trattorista di Montenero di Bisaccia che non è un avversario politico, ma un arringa popolo proteso solo ad incrementare la propria dote elettorale, portandola oltre il 4%, per non dipendere da decisioni altrui. Infatti se l’IDV ha inseguito l’alleanza con Veltroni lo ha fatto per rendersi immune dalla filosofia del voto utile, operazione che non gli serve più volendo giocare direttamente e da solo per evitare, così, si vedersi sbattere, nel prossimo futuro, la porta dell’alleanza in faccia. Sa che per lui è finita la stagione degli incarichi di Governo, ed allora punta a mantenersi in vita e con essa a mantenersi i cospicui rimborsi elettorali.

    Rozzo quanto si vuole, ma abbastanza lucido nel suo percorso e nelle sue scelte. Di Pietro sa che la propria crescita non può avvenire a danno dei moderati raggruppati sotto i vessilli del PdL guidato dal nemico Silvio Berlusconi, ma solo a scapito dei propri compagni di merende, ed allora non si fa scrupoli dando addosso al PD ma se necessario anche alla Croce rossa. Girotondi, grilli, tensioni sociali, scuola, scioperi epifanei lo vedono sempre in prima linea e sempre col megafono in mano. A Uòlter un consiglio: non continuare a sottovalutarlo. Tu sarai più fine certamente, ma ti è mancata completamente la lucidità. Hai imbarcato un talebano, lo hai coccolato, fatto crescere, ed ora ti si rivolta contro. Per te non c’è futuro se non hai il coraggio di staccarti totalmente da tale personaggio.

    A noi che importa? Di te veramente nulla, e nulla di ‘baffino’ il tuo gemello. A noi interessa l’Italia e le politiche da assumere in questo grave momento di recessione internazionale. Convergenze sulle scelte di fondo sono più necessarie dei muri contro muri. Per questo, e solo per il nostro Paese, ci permettiamo di consigliarti la rottura di un connubio indecente.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria 16.12.2008

    ENERGIA, GLI SPECCHIETTI PER LE ALLODOLE DI LOIERO

    Che la Calabria fosse in mano ad un gruppo di incompetenti è una verità ormai più che acquisita. Che questa incompetenza arrivasse al punto di rifiutare investimenti privati consistenti, nell’ordine di 1 miliardo e 200 milioni di euro, per la costruzione di una centrale a carbone in grado di produrre 10 terawatt pari ad un quinto dell’energia che l’Italia importa dai Paesi limitrofi, ha dell’incredibile ed è veramente difficile da digerire.

    Il Governatore Loiero ha approfittato della presenza del Commissario europeo alle politiche regionali, signora Danuta Hubner, per ribadire il proprio NO alla Centrale a carbone e per tirar fuori dal cilindro un bel coniglio pensando che le popolazioni della fascia grecanica della Provincia di Reggio Calabria non aspettassero altro. Il tutto condito con il miraggio di 1000 nuovi posti di lavoro. Ma da quel che ha detto si capisce che non sa di quel che parla.

    Non solo, ma lo fa all’indomani di una inchiesta pubblicata dal noto settimanale PANORAMA, che punta il dito sulla CASTA DEI NO che è costata al nostro Paese fior di quattrini ritardando l’ammodernamento del Paese (Tav, Mose, Ponte sullo Stretto, ecc.); lo fa all’indomani dell’inaugurazione della Centrale a carbone di Civitavecchia messa in piedi con moderne misure di tutela ambientale; e soprattutto all’indomani delle grandi misure per combattere la recessione che sta mettendo in crisi il mondo occidentale, che vanno dal piano straordinario di Obama per un massiccio investimento infrastrutturale, alle iniziative europea tese verso lo stesso obiettivo, fino ai piani approntati del Governo Berlusconi e che saranno resi noti a giorni.

    La verità sta nel fatto che al Governatore non interessa il futuro della Calabria ed il suo sviluppo, ma interessa semplicemente tener buone le forze che sostengono la sua Giunta, alcune delle quali hanno costruito la loro ragion d’essere proprio sui NO ad ogni iniziativa produttiva. Piegare alle proprie esigenze e alle proprie necessità politiche (ma non è questo un conflitto d’interessi?) le scelte di prospettiva è semplicemente delittuoso.

    Ed allora, il Governatore calabrese (a dimostrazione che non sa quel che dice) parla del sito dell’ex Liquichimica e dimentica che è proprietà privata; parla di centrale fotovoltaica e dimentica che anche trasformando tutto il terreno libero in un grande specchio riflettente si realizzerebbe, si e no, una modestissima produzione di 20 megawatt (un semplice topolino) a fronte delle enormi esigenze che ha l’Italia; parla di indotto per 1000 posti di lavoro ma non indica come e dove. Forse, ma a Loiero non l’hanno detto, si tratta di una fabbrica per la produzione di pannelli fotovoltaici che potrebbe essere impiantata da API-Energia, e che non entra per nulla in conflitto con la Centrale a carbone il cui progetto è stato presentato da una società svizzera.

    Dire No ad un investimento certo, da realizzare comunque dopo la Valutazione dell’Impatto Ambientale, e attaccarsi a fantomatici investimenti che reggono la scena solo per qualche mese, è assurdo, indecente, inutile e dannoso. Si rischia di bruciare un’occasione irripetibile per la zona jonica meridionale della Calabria buttando a mare, con essa, ogni vera ipotesi ‘indotta’: parliamo, per l’arrivo delle navi col carbone, della riattivazione del porto, del suo mantenimento efficiente, e della prospettiva di stabili collegamenti con aliscafi veloci per e da Catania, Taormina ed Isole Eolie, oltre alla riapertura di una darsena per piccolo e medio cabotaggio.

    Perché, quindi, rinunciare ad un percorso simile, che offre la certezza di occupazione stabile e sviluppo socio-economico, piegandosi a considerare l’investimento proposto come alternativo ad altro? Se lo sventolare il miraggio di 1000 posti di lavoro ‘indotto’ non è, nelle intenzioni del Governatore Loiero, uno specchietto per le allodole, perché non costruire un tavolo di confronto tra Regione, Enti Locali interessati, Api-Energia e Sei?
    Giovanni ALVARO
    Coordinatore Regionale Segreteria Nuovo PSI
    Reggio Calabria 15.12.2008

    GIUSTIZIA, UN CORTO CIRCUITO FORSE… SALUTARE

    C’è un solo soggetto, che senza alcuna vergogna, ha buttato le mani avanti dinanzi all’incredibile vicenda che, protagoniste due Procure della Repubblica, ha fatto emergere senza alcun velo i virus che covavano dentro la Magistratura italiana. Si tratta dell’ANM che, incurante del ridicolo, si è preoccupato di chiedere di ‘evitare una dannosa strumentalizzazione’, dinanzi allo sconcerto delle forze politiche, e soprattutto nell’opinione pubblica, per quanto avvenuto.

    Come dire: ‘non approfittate del marasma emerso tra Salerno e Catanzaro’ e della palese nudità del re, per introdurre correttivi che possano riportare l’ordine giudiziario nei recinti voluti dai nostri padri costituenti. Ma la misura è ormai colma e non vi è più tempo da perdere, anche perché: ‘dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur’ . Il ‘mostro’ allevato, coccolato e utilizzato, fornito di grande potenza nell’ambito di vie giudiziarie al potere, è così fortemente cresciuto che non risponde più ad alcun controllo e vive di autoesaltazione e smisurata onnipotenza.

    E’ la conseguenza logica di anni di sostegno di tutti i magistrati; di periodi di grande visibilità e protagonismo mediatico di cui essi godevano; di difesa acritica di ogni loro iniziativa, e della indiscussa irresponsabilità dei propri atti, anche di quelli che sono stati causa di tragedie umane. A loro difesa non solo l’ANM, e ogni altro strumento corporativo, che in questi anni è stato raffinato ed egemonizzato scientificamente, ma anche il solito schieramento politico (capeggiato da chi oggi sta sotto le bandiere del PD), ch’è sempre stato pronto a sputar sentenze facendo quadrato attorno al singolo a all’intera corporazione.

    Questo schieramento ha vinto, di volta in volta, le battaglie che coraggiosi Ministri della Giustizia avrebbero voluto portare a termine. Uno schieramento, però, teso a guardare il dito e non la luna che veniva indicata, sperando, tatticamente, di cogliere la ricaduta politica contro il proprio nemico dichiarato Silvio Berlusconi , ma, incapace di capire, strategicamente, il vicolo cieco dentro cui ci si immetteva. All’ombra di queste incapacità, oggi, la cosiddetta sinistra, guidata da Veltroni e D’Alema, dovrebbe recitare il ‘mea culpa’, anche per aver partorito e fornito all’ordine giudiziario un portavoce come Antonio Di Pietro.
    Per fortuna la guerra non è ancora persa. Bisogna però andare avanti, senza preoccupazione di sorta e puntando alla terziarità del Giudice, che si ottiene, onorevole Ministro Angelino Alfano, non con la separazione delle carriere (che giunto il problema a questo punto sarà anche accolto dai signori ‘sinistri’), ma con la fuoruscita del PM dagli organici della Magistratura e la contemporanea creazione dell’avvocato dell’accusa. Solo così ci sarà un giudice terzo rispetto ai due avvocati che sosterranno, uno l’accusa e l’altro la difesa dell’ipotetico reo.

    Oggi ci sono le condizioni per imboccare questa strada. Sarebbe un errore strategico non farlo magari sull’altare della ricerca di convergenze che il popolo italiano ha creduto opportuno evitare con l’incredibile successo del PdL di otto mesi fa. Basti, tra l’altro, vedere come della vicenda ‘Why not’, che ha originato il caso De Magistris, non se ne parla per nulla, e l’attenzione dell’opinione pubblica è piegata sulla spedizione campana, sostenuta da un centinaio di carabinieri, contro la procura di Catanzaro, e il ‘fallo di reazione’ di quella Procura verso i rei dell’intrusione.

    Corto circuito? Forse. Comunque, alla fine, se porterà a varare la riforma di quell’ordine che ha spadroneggiato per ben 15 anni nel nostro Paese, con tutti i guasti che si sono determinati per la distruzione della Prima Repubblica e il mancato varo della Seconda, sarà stato un corto circuito salutare.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria, 8.12.2008

    OH, VECCHIA SINISTRA, QUANTO CI DELUDI

    L’invito di Berlusconi a Veltroni a rompere la sua alleanza con Di Pietro per avviare un rapporto diverso e collaborativo tra maggioranza e opposizione non è certamente una reale necessità per svelenire la situazione. Tra Veltroni e Di Pietro non si scorgono infatti ‘diversità’ sostanziali essendo, i due, in continua rincorsa tra loro. E la improbabile rottura, tra l’altro, non risolverebbe il problema di un rapporto civile con la maggioranza.

    La rincorsa o la concorrenza, infatti, continuerebbero, e a maggior ragione, se la rottura si avverasse, perchè esse sono frutto di un’assenza di bussola, di una mancanza di leadership, e di una terribile paura per un ipotetico svuotamento del proprio bacino d’influenza a tutto vantaggio del vero attuale avversario politico. E se, ad un simile aggrovigliato problema, si volesse aggiungere la ‘fronda’ interna al PD, capeggiata da mille contestatori, tra i quali il tradizionale e storico ‘gemello’ (baffino), la partita è irrisolvibile.

    Perché allora perdere tempo, quando la partita l’ha già risolta il corpo elettorale, sette mesi fa, non solo per aver fatto vincere il PdL ed il suo leader, ma soprattutto per aver tributato loro l’incredibile successo che ha letteralmente mandato in tilt la cosiddetta sinistra, e frantumato definitivamente i propositi di un’opposizione civile e propositiva? Da allora, a partire cioè dall’indomani del responso elettorale, il ‘buonismo’ veltroniano se n’è andato a quel paese, le speranze di un atteggiamento politico serio ha fatto altrettanto, e, improvvisamente, si è tornati al buio dello scontro per lo scontro, e l’avversario da combattere è ridiventato nemico da abbattere.

    Ogni cosa è stata esasperata all’inverosimile. Dal lodo Alfano per salvaguardare le più alte cariche dello Stato dai Garzòn nostrani anche se solo per il periodo del loro mandato; all’abolizione dell’ICI passando, senza alcuna vergogna, dalla critica sfrenata perché andavano esclusi i ‘ricchi’, all’affermazione che tanto era un provvedimento elaborato dalla sinistra; ai provvedimenti sulla scuola mistificando, mentendo e, addirittura, capovolgendo anche vecchie impostazioni del loro schieramento; alla feroce critica della miseria dei 40 euro mensili ai più indigenti, visti come un’elemosina, o ai bonus per le famiglie a basso reddito considerati una vergogna inammissibile; fino all’incredibile attacco per l’aumento dell’IVA alle pay-tv, come Sky, pari a 4 euro mensili che vengono considerati un terribile aggravio per i contribuenti.

    Quest’ultima vicenda ha permesso la riesumazione del trito e ritrito vecchio conflitto d’interessi, dimenticando due cose fondamentali: l’aumento dell’IVA sulle pay-tv colpisce anche Mediaset, per la parte satellitare, mentre non può colpire quella terrestre che viene fornita gratis ai telespettatori. Ma a loro che interessa. Bisogna riattaccare l’odiato nemico. Ed allora serve seminare dubbi, spargere veleni, mettere gli escrementi nel ventilatore. Qualcosa, pensano, alla fine potrà aiutare una loro improbabile ripresa. E comunque, come minimo queste azioni servono a bloccare la crescita di quel caino di un Di Pietro che, accolto alla tavola imbandita della sinistra, vi si è rivoltato contro, quando ha capito che doveva recuperare il proprio pane autonomamente.

    I fessi lo avevano aiutato a restare in vita, evitando, per lui, il mortale voto utile che è stato propinato a socialisti, comunisti senza mimetizzazione, verdi di ogni gradazione, e arcobaleni vari, ed adesso se lo trovano super concorrente. Oh, vecchia sinistra, ma dove stai andando? Non ti rendi conto che ti trovi su un piano inclinato cosparso di olio e grasso? Le lezioni della storia non ti hanno insegnato nulla? Ci deludi profondamente. Nelle loro bare si rivoltano le ossa dei tuoi padri fondatori vedendo quali mani ti stanno gestendo.

    Un consiglio spassionato agli attuali dirigenti: tenete l’anima in pace perchè non esistono scorciatoie. La partita potrà riaprirsi tra due generazioni. Un consiglio anche al nostro leader: non ti curar di lor, ma guarda e passa.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria 1.12.2008

    ENERGIA, BATTERE IL FRONTE DEL NO E’ ORMAI IMPELLENTE

    Dico subito che non condivido l’ennesimo No ad un insediamento produttivo che può determinare l’inversione di tendenza di una zona tra le più belle della nostra terra, ma anche tra le più povere e derelitte della Calabria. Dopo l’illusione di un possibile decollo con l’insediamento della Liquichimica e della Officina Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, il No alla Centrale a carbone nella zona di Saline Joniche risulta incomprensibile e assurdo.

    Mantenere le vecchie ferraglie che furono dell’ex-Liquichimica come semplice monumento all’inefficienza, allo sperpero ed a un futuro che non è mai arrivato è semplicemente vergognoso, perché si continua con la vecchia politica dei NO preconcetti e ideologizzati dimenticando letteralmente le popolazioni interessate che continuano a vivere ai margini della società civile ed i cui figli debbono intraprendere, come avviene ormai da decenni, la triste strada dell’emigrazione. E’ ora di dire basta ad un canovaccio di questo tipo. E’ ora di opporsi energicamente a chi spera di aumentare la propria influenza e la propria egemonia sui cittadini spargendo a piene mani falsità e terrorismo ambientale.

    Per anni la debolezza di una classe dirigente, con scarsa visione politica e mancanza di coraggio, ha fatto prevalere i NO preconcetti ed ideologici di una minoranza aggressiva, rumorosa e parolaia, tutti NO basati sul nichilismo più puro e tesi a bloccare ogni iniziativa economica ipotizzata, dalle grandi opere agli insediamenti industriali. Il NO sistematico ad ogni ipotesi realizzatrice ha determinato nella Calabria un aggravio nel proprio processo di sviluppo, già abbastanza compromesso e precario per la presenza asfissiante delle cosche mafiose.

    Negli ultimi cinquant’anni si è passati dal NO all’autostrada, la cui prima pietra è stata messa dall’on. Fanfani e per questo attaccato e crocifisso; al No alla Liquichimica; al V° Centro Siderurgico; alla Centrale a carbone di Gioia Tauro; al raddoppio del binario Reggio-Villa San Giovanni, con il conseguente ammodernamento del Lungomare di Reggio Calabria che oggi si è dimostrato un lungimirante investimento non solo estetico, ma addirittura produttivo avendo finalmente avvicinato la città al proprio mare; al decreto Reggio ch’è stato una fortuna economica e politica per la città e per i suoi sindaci, prima Falcomatà e poi lo stesso Scopelliti ; fino al No recentissimo al Ponte sullo Stretto e alla Centrale a carbone di Saline Joniche.

    Lungi da noi l’ipotesi di accettare a scatola chiusa ogni proposta che viene avanzata, ma con altrettanta determinazione, sosteniamo l’esigenza che, prima di esprimere un qualsiasi rifiuto, è necessario ragionare su concreti dati di fatto e non su epidermiche sensazioni che a volte vengono alimentate in modo interessato: vuoi per la concorrenza nello stesso settore, ma anche per mantenere aperta l’ipotesi di usare il sito per un termovalorizzatore.

    Giusto quindi pretendere incontri, chiarimenti, approfondimenti e contrattazione sulle necessarie ricadute positive sul territorio interessato, ma già ora vogliamo sottolineare il fatto che in Italia sono in funzione ben 14 centrali a carbone delle quali ben 7 sono concentrate in Liguria e Veneto dove non ci risultano esserci abitanti con l’anello al naso e classi dirigenti imbelli. In quelle regioni si assiste ad uno sviluppo avanzato e moderno.

    L’importazione di energia elettrica dalla Francia e dall’Austria, tra l’altro, per un consistente 12,8% del fabbisogno nazionale, pone l’Italia nella necessità di riaprire la scelta nucleare, colpevolmente abbandonata per i soliti verdi e rossi in circolazione, e quella di rafforzare il suo sistema energetico tradizionale. L’insediamento di Saline Joniche risponde a questa necessità ed esso va utilizzato anche per aumentare il livello di contrattazione della nostra Regione nei confronti del resto del Paese, e per sfatare luoghi comuni su una Regione soltanto ‘assistita’.

    Giovanni ALVARO
    Coordinatore Regionale Segreteria Nuovo PSI
    Reggio Calabria 21.11.2008

    STUDENTI INDISPENSABILI CONTRO BARONIE E PRIVILEGI

    Gira e rigira, come sempre avviene, le menzogne, non solo quelle più grossolane, vengono sempre al pettine, e la verità emerge con forza perché nessuno è in condizione di poterla fermare. Emerge, si fa strada e spazza via la nebbia con la quale si tentava di confondere gli studenti per strumentalizzarli sfruttando la loro grande disponibilità alla lotta.

    La verità ha già vinto, per cui non c’è bisogno di cimentarsi nella guerra dei numeri in riferimento alla manifestazione degli studenti del 14 novembre scorso (duecentomila per gli organizzatori, centomila per i partiti e i giornali sostenitori dell’iniziativa e la CGIL, appena trentamila per la Prefettura di Roma). La manifestazione ha già detto parecchio presentandosi come il canto del cigno di un movimento pro domo d’altri, la fine di un’avventura che per avere futuro deve abbandonare la strada retrò della conservazione ed imboccare quella del rinnovamento e della riforma.

    E proprio ora bisogna aiutare gli studenti a liberarsi dei cappelli che prepotentemente gli si volevano metter sopra, e indicar loro gli obiettivi riformisti da perseguire e che loro percepiscono meglio d’altri: il rilancio di una istruzione degna di un paese dell’Occidente democratico e l’avvio di una riforma dell’istruzione universitaria capace di rinverdire i fasti del passato mettendo al primo posto capacità, intelligenza, studio e ricerca. Proprio ora è necessario indicare agli studenti la strada maestra del futuro perché sarebbe un grave errore gioire della loro sconfitta ed isolarli nel loro sterile ribellismo. La loro disponibilità alla lotta nasce proprio dalla percezione più che epidermica che è ora di voltar pagina.

    A che servono 5500 corsi di laurea? A che servono corsi di laurea frequentati da un solo studente? A che serve lo sperpero di denaro pubblico, sottratto alla ricerca, ma utilizzato per rafforzare le baronie universitarie, se nelle classifiche mondiali si registra la sola Università di Bologna nei primi 150 posti? In questo scontro contro baronie e privilegi, il protagonismo giovanile sarà indispensabile, vuoi per isolare frange di violenti o ideologizzati, ma anche per rendere vincenti le scelte di rinnovamento che si intendono perseguire.

    La Gelmini, aldilà di alcuni cori imbecilli e aldilà degli attacchi della pseudo sinistra, è stata veramente brava dimostrando tenacia, perseveranza e soprattutto coraggio nel non lasciarsi intimorire. Essa continuando a tendere la mano agli studenti e chieder confronto e dialogo ha dimostrato una levatura eccezionale che ne può fare il Ministro della Pubblica Istruzione che da decenni l’Italia attende. Essa ha voluto iniziare il percorso dalla scuola primaria, non tanto per reintrodurre i grembiulini, quanto per dare il segnale di un reale cambio di fase.

    E che cambio di fase! Non più scuola ‘usata’ come semplice occasione di lavoro e occupazione (il cosiddetto postificio) ma scuola da riportare allo scopo principale del suo essere: strumento di maturazione reale della nostra gioventù. Essa ha voluto, assieme al Governo Berlusconi che l’ha aiutata ed al Parlamento che l’ha sostenuta, liquidare la tanto sbandierata ‘conquista’ (sic!) del sindacalismo di bottega, rappresentata da quell’affollamento di insegnanti che servivano solo per aumentare l’influenza organizzativa dei sindacati, ma non per accrescere il livello di educazione e conoscenza dei nostri bimbi. Senza voler generalizzare ma i temi proposti sulla Gelmini, a bimbi di meno di 10 anni in una scuola milanese, la dicono lunga sul livello qualitativo delle nostre insegnanti elementari.

    Avanti, quindi, Ministro Gelmini. Avanti tutta. Conquìstati però il sostegno della parte più viva della scuola, gli studenti, sottraendoli all’influenza nefasta della cosiddetta sinistra
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 17.11.2008

    SENZA BUSSOLA, CI SI AGGRAPPA ANCHE AL NULLA

    Il commento più azzeccato, anche perché chiaramente non piegato a compiacenze amicali, sicuramente perché il giornalista non frequenta le terrazze romane del politicamente corretto, o perché è di un livello veramente superiore, ci sembra quello scritto e pubblicato su Le Monde, importante testata francese, che testualmente recita: “Povero Berlusconi, appena apre la bocca gli piombano addosso”. Il giornalista continua, chiedendosi: “Francamente, dov’è lo scandalo? Si trattava soltanto di una carineria”.
    Lo avevamo già detto in passato e lo ribadiamo tutt’oggi, dopo la ‘bufera’ (si fa per dire) costruita strumentalmente, dalla pseudo sinistra, per le parole di Silvio Berlusconi su Barack Obama: qualunque cosa dica o faccia il nostro Presidente del Consiglio sappia che lo attende un’aggressione mediatica più o meno consistente. Evitino, quindi, gli alleati di consigliarlo a tenere la bocca chiusa, perché anche in quel caso scatterebbe la canea del ‘dagli all’untore’ con le allarmate dichiarazioni dei vari Veltroni, Franceschini e & che si chiederebbero il perché tace, e cosa ha da nascondere.

    Essere senza bussola, a corto di iniziative, deboli sul piano politico, sbandati su quello organizzativo, e soggetti alla ‘concorrenza’ del Di Pietro e degli oppositori interni, porta diversi dirigenti del PD a cavalcare tutto, anche il nulla, pur di segnare la propria presenza e, tentare in questo modo, di mantenere in piedi quel che resta di un esercito sempre più in drammatica rotta. Non c’è da preoccuparsi per azioni di disturbo di questo tipo, né c’è da preoccuparsi per il goffo tentativo di metter cappello sulla vittoria di Obama o addirittura nel far credere, al proprio popolo o a quello ch’è rimasto, che il vero vincitore sia il Don Chisciotte di casa nostra.

    Gli italiani che vivono su questo pianeta, e non sono extraterrestri con l’anello al naso, hanno potuto assaporare quanto sia matura la democrazia americana e quanta alta e immensa sia la civiltà di comportamento del repubblicano McCain che, subito dopo aver ingoiato il boccone amaro della sconfitta, ha incitato i propri sostenitori a stringersi attorno al ‘nostro Presidente’. Solo i ciechi o chi non vuol vedere non riuscirà mai a scorgere, in questo semplice atto, non solo la grande dignità e serietà di un avversario (non nemico), ma sopratutto il grande amor di patria che impone, superata la prova elettorale, una grande unità d’intenti. Non abbiamo dubbi che, a risultati elettorali capovolti, avremmo avuto da Obama la stessa civiltà di comportamento nei confronti del proprio avversario, e lo stesso amor di patria.

    E Veltroni, che conosce bene (sic!) l’America, quando riuscirà ad imparare il ‘veramente’ politicamente corretto? L’albero si può raddrizzare quando è piccolo. Sarà impossibile farlo quando è grande, per cui bisogna lasciarlo al suo destino. Basteranno pochi mesi, infatti, per vedere come, dopo essersi incartati da soli e dopo essersi infilati in un vicolo cieco, sarà veramente difficile riuscire a liberarsi senza danni. Basta attendere, per esempio, le mosse sulla politica estera di Obama che non saranno né repubblicane, né democratiche, ma semplicemente quelle per la difesa dell’Occidente libero e democratico.

    E a fianco di Obama ci sarà l’Italia democratica e riformista guidata da Silvio Berlusconi, mentre Veltroni e la sua sinistra faranno l’ennesima capriola inseguendo l’ennesimo corteo arcobaleno. Lo sa tanto bene anche Obama che ha voluto mettere in evidenza, telefonando, il diverso rapporto che gli USA hanno col ‘vecchio’ Silvio e col ‘giovane’ Zapatero. A ognuno il suo.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, lì 10.11.2008

    GLI STUDENTI E IL SOGNO DEL SESSANTOTTO

    I soggetti che hanno dato vita alle iniziative contro la Gelmini avevano tutti una motivazione, anche se non direttamente legata al merito della riforma, tranne gli studenti la cui protesta si è dimostrata fine a se stessa e, parafrasando il signor Tonino, vien da chiedersi cosa ci ‘azzeccavano’ col resto dei protagonisti?

    Fra i più interessati alle iniziative di piazza c’era la sinistra (sic.!) che, alla spasmodica ricerca di un pretesto per invertire la direzione in cui continua a soffiare il vento, si è distinta a pestare l’acqua nel mortaio addolcendola con le falsità più macroscopiche. In assenza di una bussola ci si aggrappa, ormai, a qualsiasi possibilità di protagonismo che la vicenda politica italiana offre, anche per non lasciare che il solo regista degli shows fosse Antonio Di Pietro il quale, figuriamoci se poteva mancare, è stato un vero animatore proteso ormai all’inseguimento ed al consolidamento del suo 4% il cui mantenimento lo può rendere autonomo dalla pretesa egemonica post-comunista. La presenza di Di Pietro, in ogni occasione, è diventata così ossessiva che non solo gli permette di occupare stabilmente le scene, ma anche di trascinarsi dietro il Don Chisciotte, Walter Veltroni, che avrebbe dovuto tenerlo al guinzaglio ma che deve accontentarsi di un ormai consolidato rapporto capovolto.

    C’erano anche i Sindacati che, al rimorchio della CGIL e dei suoi tatticismi di sostegno alle scelte del PD, hanno teso a cavalcare il reale malessere esistente nel corpo docente, per gli inadeguati livelli retributivi e per il totale annullamento meritocratico subìto in tutti questi anni, tentando di non farsi scavalcare dal loro Di Pietro, cioè dal Sindacalismo autonomo, tradizionale nemico delle Confederazioni. Ed infine c’erano i docenti sia quelli ideologizzati e speranzosi di poter invertire la tendenza dell’opinione pubblica ormai lontana dalle sirene della sinistra, che quelli impegnati a difendere rendite di posizione soprattutto nelle Università . La presenza di questi ultimi era, come dire, preventiva. Hanno tentato di bloccare un processo che, si capiva, andrà avanti lo stesso, per arrivare fino ai paradisi dei ‘baroni universitari’. E la Gelmini li ha accontentati subito annunciando che la prossima settimana presenterà il piano che li interesserà.

    Ma gli studenti che ci facevano in questo movimento? Che ci azzeccavano con i baroni universitari? Sognavano forse un 68 come quello vissuto dai propri nonni? Sogni legittimi certo, ma lontani dalla realtà. I giovani per loro stessa natura sono ‘rivoluzionari’, sono innovativi, fantasiosi, vogliono cambiare il mondo e non conservarlo, e vogliono tentare di plasmarlo a loro misura. Questo è stato il vero 68, un movimento per ‘abbattere’ il sistema, a differenza dei sogni odierni costruiti sulla conservazione, sullo status quo, sul mantenimento dell’esistente. E’ mancata, nella odierna protesta, la loro creatività per cui è stato facile relegarli a semplici oggetti di un movimento nato asfittico perchè teso alla difesa di privilegi altrui. Impossibile per loro diventare soggetti principali di un nuovo corso.

    Ad essi è stato offerto, e acriticamente purtroppo l’hanno accettato, un piatto precotto. Peccato veramente perché hanno bruciato un’opportunità positiva che non nasce mai dal ribellismo fine a se stesso, ma è sempre frutto di ragionamento, critica, e capacità propositiva. Anche gli slogans denunciavano l’assenza della fresca fantasia giovanile perché costruiti su elementari rime baciate (Gelmini-bambini) o scopiazzature dal maggio francese come il famoso e non ripetibile “non è che l’inizio” anche perché è stato tutto inizio e fine. L’innovazione non alberga nelle segrete stanze degli stregoni di sinistra, ma è saldamente presente negli obiettivi del Governo Berlusconi che si dimostra il più innovativo e “rivoluzionario” che si potesse sperare.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 31.10.2008

    LE BUFALE DI VELTRONI SUL PALCOSCENICO ITALIA

    C’è chi ha gioito per le dichiarazioni del Walter-Don Chisciotte sulla fine dell’alleanza con Antonio Di Pietro, vuoi perché sembrava avviarsi la chiusura di una stagione vergognosa fatta di corse e rincorse, e di sceneggiate a chi la sparava più grossa, con rilanci sempre più azzardati, vuoi anche perché c’era chi sperava in una possibile riapertura dei giochi, che sembravano definitivamente chiusi, dopo le elezioni politiche, e che la rottura con l’IDV sembrava poterli riaprire.

    E’ bastato poco per capire che si trattava di una nuova bufala. Di Pietro, infatti, per nulla intimorito dal proclama di rottura rintuzzava con sarcasmo le dichiarazioni veltroniane e proclamava che senza il suo apporto il PD non avrebbe vinto neanche una bambolina. A nulla è servito dire che neanche l’IDV poteva sperare di vincere, anche perché a Di Pietro non interessa vincere ma interessa consolidare il suo 4% che è la sua vera ed unica àncora di salvezza. Dopo, comunque, le schermaglie iniziali ha provveduto lo stesso Veltroni a smorzare gli entusiasmi e a bloccare i brindisi già avviati dai vari Nencini, Giordano, Diliberto, Ferrero e Pecoraro Scanio che continueranno ad essere personaggi in cerca d’autore.

    Da una parte Veltroni ha ricordato ch’egli non ha detto nulla di nuovo sul suo rapporto con Di Pietro, dall’altra, onde evitare ulteriori equivoci, ha ribadito la scelta del PD di sostenere a Presidente della Commissione Vigilanza Rai quell’Orlando Cascio dell’IDV a cui però, per i suoi trascorsi, il PdL non può né intende affidagli un ruolo di super partes. Poteva bastare questo per respingere l’accusa di ‘vigliacci’ che gli è stata rivolta da Di Pietro ma ha voluto rincarare la dose, con la sua collaudata faccia di bronzo, tentando un ritorno positivo dalla vicenda. Ha quindi invitato Berlusconi e la maggioranza a fare come hanno fatto loro: “noi vi abbiamo votato il candidato alla Corte Costituzionale, ora voi dovete votarci il nostro candidato alla Vigilanza ch’è Cascio Orlando Leoluca da Palermo”.
    Ma che, fa lo gnorri? Pensa che gli altri siano degli imbecilli? Dimentica cosa è avvenuto? Bisogna ricordargli allora che il candidato alla Consulta era il prof. Gaetano Pecorella e che solo il senso di responsabilità dello stesso e dell’intero PdL ha determinato il ritiro della proposta e, conseguentemente, l’elezione dell’avv.to Giuseppe Frigo. Dimostri Orlando e lo stesso PD eguale senso di responsabilità avanzando una seconda proposta e stiano certi che la vicenda si sbloccherà immediatamente. Ma Veltroni non ha il coraggio di farlo malgrado la presunta rottura dell’alleanza (sic.!). Di Pietro lo fulminerebbe letteralmente e, chissà perché, egli ne è terrorizzato.

    Ce n’è abbastanza per permettere al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la individuazione delle responsabilità del mancato scioglimento del cosiddetto ‘nodo dell’asino’ , quel nodo che più lo tiri più si serra. Abbastanza a ché lo stesso Marco Pannella, che ha forzato la mano, con i suoi scioperi, riconosca di chi è la colpa dell’inconcepibile muro di tracotanza eretto dal duo Valter-Tonino. Abbastanza anche per l’Italia ch’era così frastornata e non capiva bene il perché del braccio di ferro, ma a cui, ora, tutto è chiaro.

    Parliamo di quella ‘Italia migliore della destra che la governa’ ma anche, e non ci voleva molto, aggiungiamo noi, “migliore della sinistra a cui ha rifiutato il sostegno inviandola all’opposizione”. E’ proprio questa sua condizione che la eleva a garante della sua stessa democrazia, e ne fa un corpo impenetrabile alle sceneggiate, alle falsità ed alle bufale messe in campo da vecchi e nuovi arnesi della politica italiana. Ne tengano conto Veltroni e Di Pietro.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 26.10.2008

    LA DERIVA DI WALTER CONTRO I MULINI A VENTO

    L’abbuffata di iniziative, manifestazioni e scioperi in questo mese di ottobre 2008 è la cartina di tornasole della incapacità della sinistra italiana d’essere all’altezza del confronto e dello scontro con il Governo Berlusconi ed il suo Popolo delle Libertà a cui i cittadini hanno dato l’incarico di guidare questo Paese.

    Si ha l’impressione che si ‘spari’ con le armi più disparate ma solo per far rumore, sperando che con esso si inneschi una paura capace di liberare il campo dalla presenza nemica, ma anche per evitare sia lo scavalcamento da parte di quel Tonino Di Pietro che, costruito in provetta dagli strateghi della sinistra, è letteralmente sfuggito di mano ai suoi manipolatori; sia pure per non aiutare lo sviluppo delle grandi manovre del suo eterno concorrente, Massimo D’Alema, che solo ‘per ora’ non pone il problema della leadership nel PD.

    In questa lotta tutta interna all’aggregazione di sinistra (si fa per dire) a subirne le conseguenze negative è soprattutto il Paese che viene sottoposto ad una serie di iniziative certo legittime ma chiaramente inopportune; certo possibili ma nettamente provocatorie; certamente legali ma costruite senza alcun ritegno col falso più vergognoso.

    Nella prima categoria vi è la manifestazione del 25 ottobre, tanto criticata da personaggi importanti dello stesso partito organizzatore che hanno dichiarato di non parteciparvi, ma altrettanto pervicacemente perseguita dal nostro Walter che in barba alla delicata situazione economica mondiale che lui stesso riconosce e che coinvolge anche l’Italia, continua il suo percorso senza batter ciglio. Nella seconda vi è il tentativo di imporre al Parlamento quell’Orlando furioso, sostenuto dall’altrettanto furioso Di Pietro a cui Walter non sa o non può dire di no, messo scandalosamente sullo stesso piano del prof. Gaetano Pecorella. Il braccio di ferro sulle due scadenze ha determinato gli appelli di Giorgio Napolitano alla ragionevolezza e l’ennesimo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a cui piace camminare sul ciglio di un burrone rischiando sempre in prima persona.

    Nella terza c’è la vergogna dello sciopero contro la riforma Gelmini. Sciopero indubbiamente legale, dato che il contestare ciò che non si condivide è un diritto costituzionale, anche se viene costruito su falsità più che macroscopiche, e coinvolgendo nella vicenda l’innocenza dei bambini portati a spasso da mammine moderne ma senza zucca. Quando si contesta una riforma, una legge o un decreto bisogna farlo con dati di fatto reali e con proposte alternative. Usare il falso anziché la verità, e dire solo no senza avanzare un solo straccio di proposta, dimostra il vuoto che alimenta gli organizzatori e la strumentalità della stessa iniziativa. Le prove generali sono state affidate ai Cobas, Venerdì passato, e adesso via verso lo sciopero del 30 ottobre.

    Gli studenti ci sono (ci sono sempre stati anche non sapendo i motivi di uno sciopero a cui partecipano), i sindacati pure (sorprende la ritrovata unità tra CGIL, CISL e UIL), gli insegnanti ideologizzati anche (si sentono rinati nel poter lottare contro il nemico Berlusconi inseguendo sogni di gloria), la copertura politica altrettanto (viene garantita dalla deriva di Walter-Don Chisciotte), manca però, si manca, e non è cosa di poco conto, il sostegno dell’opinione pubblica, sempre più affascinata dalle capacità realizzatrici del Governo, e sempre meno propensa a seguire le falsità della ricostituita armata Brancaleone. Si capisce chiaramente che si contesta solo per tentare di creare le condizioni che possano incrinare l’appeal di Berlusconi, del suo Governo, dei suoi Ministri e del PdL, ma si capisce pure che la contestazione è solo contro i mulini a vento: lascia il tempo che trova, altro che nuovo sessantotto.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 20.10.2008

    IL DI PIETRO SCATENATO CONTRO UNA SINISTRA SENZA BUSSOLA

    Girotondini, saltimbanco, grilli, grillini, e quant’altro di coreografico spuntava, sistematicamente, in questo nostro Paese, veniva o riassorbito e incanalato nel mare magnum della sinistra (c’era sempre un posto a tavola), oppure veniva semplicemente usato come fiore all’occhiello col compito di certificare la vastità dell’universo contestatore e la sintonia che si aveva con esso. E’ stata un’operazione realizzata infinite volte, ma infinite volte la bacchetta del direttore d’orchestra rimaneva sempre saldamente in mano ai comunisti, post o ex che dir si voglia..

    I danni prodotti alla sinistra, da questi personaggi, sono sempre stati di lieve entità perché nel saldo del dare e dell’avere le perdite non hanno mai raggiunto livelli preoccupanti, anzi a volte la sinistra ci ha pure guadagnato perché l’operazione gli permetteva di mantenere legami con settori difficilmente addomesticabili.

    Oggi l’operazione ‘controllo’, omologazione e assoggettamento, non gli è riuscita per nulla, anzi tutta l’operazione IDV con Di Pietro si sta rivelando, più che una spina, addirittura, una acuminata spada nel fianco, tanto che molti compagni parlano ormai apertamente di “uno spettro che si aggirerebbe nella politica” e che starebbe seminando panico e distruzione. Di Pietro dopo aver incassato l’alleanza con Veltroni che lo ha messo al sicuro dal rischio sbarramento al 4% che praticamente era impossibile raggiungere da soli (vedere cosa è successo alla sinistra rossa porpora, ai socialisti, ai verdi) ha deciso, ma solo dopo le elezioni, di vivere di luce propria rifiutando la direzione unica della musica.

    Niente gruppo unico, niente linea politica ‘concordata’, niente inciucio con il PD, ma percorso autonomo e concorrenziale. E ogni giorno che passa, l’ex Magistrato è sempre più distinto e distante da Veltroni e D’Alema. Perché? Perché il furbetto capisce che deve affrancarsi definitivamente da essi, conquistandosi quel 4% che gli potrà permettere di mantenersi in vita anche senza aggregazione elettorale. Ma essendo un 4% che può essere rosicchiato solo a sinistra, lo spinge ad una presenza su ogni argomento, attento a distinguersi e differenziarsi dai vecchi alleati e, addirittura, pronto a sostituirli, con un megafono in mano, come capopopolo.

    Lo ha fatto sull’Alitalia diventando l’idolo di diverse hostess. Ha continuato a farlo su ogni argomento interessante la sua ‘famiglia’ d’origine, ripresentandosi come il solo sensibile alla difesa della Magistratura; ha chiesto e imposto il proprio candidato alla Vigilanza Rai; ha pontificato anche contro il Presidente della Repubblica ; e lo sta facendo oggi sul ‘lodo Alfano’ promuovendo un referendum e avviando la relativa raccolta di firme necessarie allo scopo. A lui non interessa come il referendum andrà a finire, gli interessa annodare rapporti, svegliare l’animo giustizialista che alberga in settori della nostra opinione pubblica, accreditarsi come l’unico non condizionato da alchimie di palazzo. Questo nel peggiore dei casi, ma nel migliore intravede anche in lontananza il costo zero dell’operazione, con il cospicuo rimborso elettorale che ne seguirà.

    Dinanzi ad uno scenario simile si rimane letteralmente basiti per l’atteggiamento del PD che, invece di segnare nettamente le distanze da Antonio Di Pietro, tentando di prosciugargli l’acqua nella quale vive, tenta invece di inseguirlo sul suo stesso terreno, determinando, involontariamente certo, una legittimazione delle sue assurde posizioni e un aiuto a concretizzare i suoi sogni. Se questa è la classe dirigente della sinistra, Silvio Berlusconi potrà dormire sonni tranquilli, e con lui tutti noi. Peccato che le conseguenze possano essere gravi per il Paese, ma non si può far nulla dato che il senso dello Stato non abita più da quelle parti. Si può solo sperare in un ravvedimento.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 13.10.2008