SE SULLE LISTE SI ABDICA LA PARTITA E’ NETTAMENTE PERSA

No, non mi convince per nulla che il terreno di gioco debba essere scelto dagli altri, come purtroppo sta avvenendo con la nuova ‘moda’ del ‘bianco che più bianco non si può’, che, tra l’altro, è un film già visto che gli immemori debbono sforzarsi di ricordare prima di cavalcare le nuove mode che, tra le righe, nascondono propositi forcaioli.

Ai tempi di ‘mani pulite’ avvenne che per non essere accusati di ostacolare il cammino della giustizia-pulizia la classe politica (soprattutto quella che era nel mirino dei ‘falsi rivoluzionari’) depose le armi, senza alcun onore, e pavidamente si fece dettare le scelte che il Parlamento rese legali come l’abolizione dell’immunità parlamentare. E anche prima dell’avvio del tentativo di presa del Palazzo d’inverno, la stessa classe politica, che doveva essere collocata sulla pira ad ardere, scrisse sotto dettatura ‘l’amnistia’ del finanziamento illecito ai partiti fino al 1989, e l’introduzione di forti e illimitati poteri ai PM.

Sono i tre passaggi fondamentali della strategia ‘golpista’ dei comunisti di allora. Con l’amnistia si metteva il PCI al riparo da possibili incidenti di percorso (finanziamento estero, condivisione del ‘finanziamento interno’, e sistema delle coop); con la modifica del ruolo e dei poteri dei PM si promuoveva la generazione dei sessantottini approdati in Magistratura per poterli usare adeguatamente per la ‘via italiana al potere’; con la rinuncia all’immunità ci si presentava nudi dinanzi ai plotoni di esecuzione per essere definitivamente spazzati via.

Ed è ciò che avvenne. Anche oggi con la vicenda ‘liste pulite’ si rischia di fare ciò che altri vogliono. Da una parte spostare i centri decisionali, nella formazione delle liste, dai partiti ai PM; dall’altra indebolire il caposaldo dei garantisti rappresentato dalla presunzione di innocenza dell’accusato, prevista , tra l’altro, dalla stessa Costituzione italiana; dall’altro ancora ridurre il consenso liquidando i candidati più forti. E’ abbastanza chiaro che sulle questioni di principio cedere una volta significa aprire una breccia dalla quale passeranno richieste sempre più oltraggiose e forcaiole.

Giustificare il cedimento con l’esigenza di non perdere qualche frazione di punto di consenso, e con l’esigenza di bloccare la possibile crescente polemica sulla questione, è solo un gravissimo errore. E’ una pia illusione pensare che togliere chi è stato condannato, in via definitiva, dalle liste (cosa normale e giusta e che già era prassi costante) sarà sufficiente, perché si chiederà di togliere anche quelli condannati in prima istanza, e poi di liberarsi anche di quelli semplicemente rinviati a giudizio, e indi di quelli più semplicemente indagati e con avviso di garanzia, e poi quelli che hanno un parente che ha salutato un inquisito di mafia, e infine, quelli iscritti ai partiti moderati che, soltanto per questo, saranno di sicuro possibili malfattori.

E’ chiaro, quindi, che l’obiettivo è ‘scarnificare’ i partiti considerati ‘nemici’. Ma immolarsi per far felici Di Pietro, Franceschini, Donadi, Bindi, Bersani e quant’altri è gesto semplicemente gratuito. Togliere dalle liste i condannati va bene, ma togliere anche gli indagati significherebbe delegare ai De Magistris di turno la composizione delle liste, ben sapendo che i PM alla De Magistris inquisiscono il mondo intero ma, alla fine, delle loro inchieste resterà soltanto il fumo, il pettegolezzo da bar sport e il crucifige mediatico del malcapitato, con la vita sconvolta e la carriera politica stroncata, dato che tutte, sottolineo tutte, le loro inchieste hanno fatto e faranno solamente flop.

E’ sopra le righe, quindi, invitare la classe dirigente moderata a maggiore cautela sull’argomento, senza farsi tirare dalla giacchetta dalle Angele Napoli disseminate per il nostro Paese? Berlusconi, da par suo, lo ha capito perfettamente, dovrebbero, però, capirlo tutti gli altri.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 25.2.2010

MILLS, LE BOMBE AD OROLOGERIA FANNO SOLO RUMORE

Da quindici anni ormai funziona così. Le bombe usate per la lotta politica esplodono sempre in tempi preordinati, o dopo un flop magari trasformatosi in un vero e proprio boomerang, o alla vigilia di delicati appuntamenti elettorali, o addirittura in ambedue i casi. Nella fattispecie il flop dopo Noemi, e le prossime elezioni europee.

Sempre più incuranti del ridicolo e ben sapendo ch’esso non avrà concretamente alcun effetto pratico, lo schema viene riproposto e viene utilizzato. E, a conti fatti, non potrebbe essere altrimenti. L’assenza infatti di capacità aggregative, la mancanza di respiro politico, la caduta dell’appeal anche nel proprio elettorato, la ‘concorrenza irriconoscente’ del ‘trattorista’ molisano, la lotta interna per ‘gestire’ quel che resta del fu grande partito della sinistra parlamentare spinge, giocoforza, a riproporre schemi già sperimentati nella illusoria speranza che, prima o poi, possano produrre gli effetti desiderati.

Se non altro si riempiono così le loro misere cronache politiche, affidandole al gossip e ai triti e ritriti bollettini giudiziari, e si ha così l’illusione che possa essere ‘la volta buona’ per distruggere il nemico temporale quello che oggi la sinistra considera l’ostacolo alla ‘presa del potere’, e che viene individuato in Silvio Berlusconi. Ma anche su questo versante, pur sapendo che la storia si ripete solo in forma di farsa, i nemici della sinistra sono stati, di volta in volta, individuati in De Gasperi, Moro, Fanfani, Andreotti e Bettino Craxi, che poi vengono sistematicamente ‘riabilitati’ dopo la loro morte. Detto questo, però, la sentenza di Milano non può restare terreno di scorribande giustizialiste che puntano ad un uso distorto della stessa, ma deve necessariamente essere studiata per farne emergere le incongruenze che hanno spinto molti commentatori a parlare di sentenza scandalosa.

Il primo problema che emerge, in tutta la costruzione delle motivazioni, è rappresentato da fatto che non è stata provata la ‘dazione’ (brutto linguaggio dipietresco) dei 600 mila dollari all’avvocato Mills, e che, quindi, è assurda la condanna senza il ‘corpo del reato’, cioè senza la prova del misfatto che viene ricondotto al ‘convincimento’ dei giudici. Ma col convincimento si possono avviare indagini e forse decidere rinvii a giudizio, ma non si possono emettere sentenze di colpevolezza che necessitano sempre di prove certe e inoppugnabili.

Come secondo problema bisogna fare un passo indietro ricordando che l’accusa a Mills è di ‘aver detto il falso’ (per proteggere Berlusconi) in due procedimenti giudiziari (Guardia di Finanza 20.11.1997 e All Iberian 12.12.98 ), e aggiundendo che, per evitare la prescrizione il Pm De Pasquale riuscì a spostare la data del ‘reato’ al 28.2.2000, allungando il periodo di prescrizione di 1 anno e due mesi che, attualmente ha tenuto in piedi il procedimento, ma che sarà letteralmente insufficiente nel prosieguo del procedimento.

Ma allora, perché la sentenza contro Mills se è costruita su presupposti facilmente ribaltabili dai successivi gradi di giudizio? Perché questa voglia di arrivare ad una sentenza temporale destinata a sciogliersi come neve al sole? La verità, riallaciandosi a quanto detto all’inizio, è che si punta di più sull’effetto politico dell’annuncio di una condanna che sulla reale condanna degli eventuali rei. E sull’uso politico di una sentenza, anche se evanescente, l’armata Brancaleone ha una grande e collaudata esperienza.

Ma, per l’ennesima volta, va ricordato che non si costruisce un pensiero politico sui gossip e sulle sentenze di primo grado emesse tra l’altro da un giudice, la Gandus, ricusata da uno dei ‘rei’ per le simpatie a sinistra e le dichiarazioni contro il premier. Questo percorso avvantaggia, semmai, solo gli interpreti del sentimento da tricoteuses. Franceschini e & continuano a far scorrere l’acqua nel mulino di Di Pietro, mentre le bombe ad orologeria fanno solo rumore.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 20.5.2009

LA CORTA MEMORIA DI FRANCESCHINI SUI CLANDESTINI

“Deriva razzista”. “Scontro Italia-Onu”. “Tensione in aumento tra Onu e Governo italiano”. Sono tra i titoli più usati per ‘descrivere’ lo stato della vicenda sul respingimento (brutto termine) dei clandestini che intendono entrare nel nostro Paese. Il tutto è accompagnato, con le dichiarazioni sempre più apocalittiche di Franceschini e Livia Turco, ma anche con le prese di posizione di esponenti della Chiesa cattolica, come monsignor Marchetto; con quelle ‘personali’ del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Hammarberg; con la discesa in campo dell’Alto Commissariato per i rifugiati politici delle Nazioni Unite; e, addirittura, con l’appello del Segretario Generale dell’ONU, Ban-Ki-Moon.
Sembra un ‘dejà vu’, non tanto per la vicenda in se, quanto per gli apporti che alle vicende italiane vengono collezionati sul piano internazionale. Si ha l’impressione di una regia che ‘recluta’, i ‘pronunciamenti’ col fine di ‘isolare’ il Governo Berlusconi e metterlo in difficoltà. E’ prassi normale per la sinistra, specialista in queste operazioni, che spesso usa giornalisti amici, di testate straniere, per farsi aiutare. Ma non era mai successo che scendesse in campo il Segretario Generale della Nazioni Unite a perorare la soluzione di un problema che ha solo un risvolto di vergognosa polemica interna all’Italia.

Il primo Governo italiano che ha deciso il respingimento dei clandestini è stato il Governo Prodi che bloccò, nel 1997, nel Canale d’Otranto, l’afflusso degli albanesi, purtroppo, con un risvolto drammatico. Lo speronamento di una imbarcazione albanese si concluse con un centinaio di morti. E il tutto avvenne, allora, senza alcun rispetto per il tanto invocato, oggi, diritto d’asilo. Ma questo Franceschini non lo ricorda.

Dal 2005 al 2008 l’Unione Europea ha realizzato il respingimento di ben 150.000 migranti sia via mare che via terra e negli aeroporti. Nei mesi estivi del 2006 e poi nel 2007 (imperante Prodi) l’Italia assieme a Spagna, Malta, Francia, Belgio e Grecia, ma sotto l’egida dell’UE, ha bloccato, respinto e rimpatriato con la forza decine di migliaia di clandestini. Ma anche questo il nostro eroe Franceschini fa finta di non ricordarlo. La sua memoria è sempre più corta.

La novità odierna sta nel fatto che si è, finalmente, realizzato un accordo con la Libia che prevede l’accompagnamento dei barconi nei propri porti. Questo accordo fu sollecitato dagli organismi dell’EU perché la maggior parte dei disperati parte proprio dalle coste libiche, e Piero Fassino e Francesco Rutelli, lo hanno ricordano lealmente. Non altrettanto ha fatto lo smemorato Franceschini che pensa di frenare così lo sbriciolamento del suo partito ridotto ormai a fantasma. Per dimostrare, comunque, la falsità delle sue posizioni e l’imbroglio dei sostegni internazionali basta qualche considerazione.

E’ giusta la preoccupazione degli organismi europei e dell’ONU, al netto dell’atteggiamento antiberlusconiano, di individuare tra i clandestini (soccorsi, non lo si dimentichi, in acque internazionali) quelli che sono in fuga da regimi autoritari e spietati. Ma perché questa individuazione non la si può fare in Libia? E perché dopo l’individuazione deve farsi carico di questo problema solo l’Italia? E gli altri paesi dell’EU che fanno, stanno solo a guardare e a fare le pulci al nostro Paese? Su questo l’Italia non ci può più stare.

Raccogliere migranti in difficoltà in mare è un dovere umanitario indipendentemente dal successivo sbocco. Raccoglierli nelle acque territoriali di un Paese diventano un problema di quel paese. Ma raccoglierli in acque internazionali è un problema di tutta la comunità internazionale. Gli episodi che hanno fatto smuovere il Segretario Generale dell’ONU sono avvenuti in acque internazionali. Ecco perché le sue parole sono soltanto parole in libertà e sostanzialmente fuori luogo.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 13.5.2009

PATETICI E VOLGARI UTILIZZATORI DELLA ‘COMPAGNA VERONICA’

Se quanto sta avvenendo nei confronti di quello che fu, per trent’anni, suo marito, col gossip elevato ad arma di lotta politica, fa ‘star bene’ la signora Lario, vuol dire che è completamente andata o è, anche se inconsapevolmente, in intelligenza col nemico. Le due ipotesi, comunque, non sono in alternativa tra loro, ma possono tranquillamente coesistere. Puntare al declino di Silvio Berlusconi , padre dei suoi figli, per soddisfare il proprio orgoglio e sentirsi protagonista, con un quart’ora di
celebrità, oltre che inconcepibile dimostra la ristrettezza di vedute e di analisi di una donna che non vede aldilà del proprio io; ma farlo utilizzando, come sempre del resto, strumenti della feroce campagna contro il premier, com’è la Repubblica, dà la sgradevole sensazione di un percorso studiato a tavolino e chiaramente premeditato in ogni particolare. Non sarà così?, ma così appare.

E il PD, complotto o non complotto, si è voracemente buttato sul ghiotto boccone, inaspettatamente, messogli a disposizione. Ancora una volta emerge la pochezza del suo essere, ridotto ad inseguire, con furia, capitoli di vita privata che in un primo momento erano stati, con molto fair play, scartati con la franceschiniana frase del “fra moglie e marito…”, tanto da indurre il premier a dichiarare che, per la prima volta, era d’accordo col Dario ferroviere. Nella base invece è esploso l’amore per la signora Veronica (tradita, vilipesa e trascurata). Si illude però la signora se pensa ad un amore senza interessi. Dopo mesi di sconfitte, di declino inarrestabile, di concorrenza dipietresca tesa allo svuotamento del PD, ci si aggrappa, come i naufraghi, a quel che, illudendosi, si pensa possa essere, finalmente, la svolta, e si ‘ama’ chi, si pensa, possa determinarla.

Ciò ha indotto Marcelle Padovanì ad affermare che Veronica “era l’unica in grado di bloccare il fantastico consenso di Berlusconi colpendolo alle ginocchia”, tanto da meritarsi l’appellativo di “compagna Veronica” così come vorrebbe il “popolo della sinistra”. Ma c’è anche chi, come Mario Adinolfi (Direzione nazionale del PD), senza giri di parole, dice chiaramente di bandire l’ipocrisia e valutare il divorzio di Berlusconi per quel che è: “un’occasione per il Partito Democratico”. Su questo terreno i più scatenati sono gli ex democristiani che incuranti del ridicolo stanno trasformando, quel che molte donne ingenuamente hanno pensato di considerare un simbolo del riscatto femminile, in una occasione di rivincita politica.

A loro (Rosy Bindi, Castagnetti e Franceschini e &) non importa nulla della signora Lario, interessa solo strumentalizzarne la vicenda, ‘utilizzarla’ senza alcuna remora, farne un cavallo di battaglia capace di riempire i trenta giorni di campagna elettorale che ci stanno davanti. Poveretti, non hanno una politica, sono senza bussola, cambiano mediamente un Segretario ogni due anni, quando vincono in uno sperduto paesino dell’entroterra esultano come bimbi che hanno trovato una caramella, hanno realizzato “un amalgama mal riuscito” (D’Alema) e accolto nel letto un classico riccio (Di Pietro) che li sta letteralmente spolpando. Non c’è più partita, ma continuano ad illudere e a illudersi che il vento possa cambiare.

Hanno trovato sostegno nelle Concite di turno, mandate, magari, avanti per non segnare un’assoluta presa di distanza che poteva essere interpretata come sfiducia al Segretario, ma non l’hanno trovato nell’on. Umberto Ranieri che invitando ad astenersi da ‘sgradevoli dichiarazioni’ su ‘fatti privati’ raccomanda di ‘non coltivare l’illusione che Berlusconi lo si possa sconfiggere utilizzando storie del genere’. Storie che si trasformano sempre in veri e propri boomerang.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 6.5.2009