I BRONZI DI RIACE SIANO GLI AMBASCIATORI DELLA CALABRIA

  • In mancanza d’altro si tenta di costruire il casus belli sulla richiesta di Silvio Berlusconi di esporre i bronzi di Riace, in occasione del G8, del prossimo luglio, a La Maddalena , in Sardegna. E’ la solita storia, come sempre ci si aggrappa, come i naufraghi, a qualunque pretesto per uscire dall’isolamento politico in cui ci si trova, e si parte, per la contesa, sfornando, a raffica, comunicati stampa. In prima fila CGIL, PD , novelli esperti e “tecnici della Soprintendenza calabrese”. Ma non sarebbe ora di finirla con le chiusure precostituite, le approssimazioni sulle presunte fragilità delle statue, lo sfoggio di tecnicismo senza basi scientifiche e l’alimentazione della ridicola paura di uno scippo?

    Le statue sono patrimonio dell’umanità, e in quanto rinvenute nei nostri mari sono sotto la giurisdizione dello Stato italiano, e perché rinvenute nel mare jonico della Calabria affidate, per legge, al Museo Nazionale di Reggio Calabria. Che significa quindi diffondere preoccupazioni e paure e tuonare come fa il Segretario Provinciale delle CGIL contro la proposta dicendo che si tratta di un “attacco a Reggio Calabria e, udite, udite, di trame sotterranee contro la città messi in atto direttamente dal Governo Berlusconi?”. E quale sarebbe il motivo? Perché il Cavaliere Berlusconi dovrebbe penalizzare la città di Reggio Calabria? Che motivi avrebbe per punire una città che tanto sostegno ha tributato, e altrettanto ne continuerà a tributare, nel prossimo futuro, al fronte moderato raccolto attorno al PdL?

    La si smetta di far ridere mezza Italia dando l’impressione di una Calabria simile ad una riserva indiana che ‘difende un proprio totem’ opponendosi anche ad un semplice spostamento, dei Bronzi di Riace, tra l’altro, in un periodo di chiusura del Museo per lavori di restauro, che gli sono stati affidati dopo averli restaurati, e dopo una straordinaria esposizione, nei saloni del Quirinale, che ne ha decretato un strepitoso successo, che va, però, alimentato continuamente.

    Vittorio Sgarbi , critico d’arte senza eguali, ha già espresso la propria idea ridicolizzando la ‘balla’ della fragilità delle opere; ha, a muso duro, catalogato come ‘imbecilli e falsari’ quei ‘tecnici’ che mantengono l’accento su questa ‘baggianata’; ha criticato, senza peli sulla lingua, la CGIL che con la ‘trama sotterranea’ ha teso a lanciare ‘una vera e propria intimidazione senza logica e senza fondamento, tipica della retorica della falsa conservazione e di una sterile ideologia mista a una forma patologica di campanilismo’; e, dinanzi ad affermazioni come: ‘è una vera follia lo spostamento. Il Sindaco ha il dovere, senza ‘se’ e senza ‘ma’ di non spostarli’, espressa dal neo Segretario provinciale del PD, lo ha fortemente attaccato con: ‘Tra le forme di cultura del piagnisteo che dominano in Italia ci sono quelle dei conservatori dei musei che tengono le opere come se fossero proprietà privata’.

    L’invito che Sgarbi ha rivolto al Presidente del Consiglio ed al Ministro dei Beni Culturali a non farsi intimidire, mi sento di rivolgerlo anche al Sindaco di Reggio che ha raggiunto il consenso bulgaro del 72% per le sue grandi doti di ‘governo’ della cosa pubblica e non perché si sia fatto condizionare dalle pulsioni conservatrici o semplicemente provinciali della parte meno acculturata della gente che amministra, né dalla minaccia di sfracelli popolari che la sinistra minaccia ad ogni piè sospinto.

    Lo si è visto per opere importanti, osteggiate, come sempre dalla casta del NO, e realizzate per la capacità decisionista del Sindaco Scopelliti . Avanti, quindi, Sindaco, senza tentennamenti: i bronzi possono e debbono diventare gli ‘ambasciatori’ della nostra amata terra.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, 15.2.2009

  • TAR, SCELTA OBBLIGATA PER LA CENTRALE A CARBONE DI SALINE

  • La scelta della SEI (Società svizzera proponente l’insediamento di una centrale a carbone in Calabria) di rivolgersi al TAR per sbloccare l’impasse che si è determinato sulla vicenda, può sembrare una forzatura nei confronti della Regione Calabria, di alcuni Comuni schierati contro e nei confronti dell’intera casta dei NO che tanti ritardi e danni ha provocato, in tutti questi anni, nell’intero Paese in riferimento a indispensabili opere pubbliche, a più che urgenti ammodernamenti infrastrutturali, a necessari raddoppi delle più importanti vie di comunicazione ed alla diversificazione e all’ampliamento delle fonti energetiche.

    Al contrario di quanto si possa pensare la scelta della SEI, salutata positivamente da quanti vedono nell’insediamento energetico di Saline Joniche una occasione da non perdere per lo sviluppo dell’area interessata e per rendere il Paese meno esposto ai ricatti del mercato, è la logica conseguenza dell’atteggiamento pregiudiziale della Regione Calabria che denota un’avversione ideologica all’insediamento tanto da decidere negativamente senza attendere le conclusioni di tecnici ed esperti della materia. E’, quindi, chiaramente solo una chiusura aprioristica il non voler tenere in alcun conto le procedure previste dalla legge e il non voler attendere la conclusione della VIA (Valutazione Impatto Ambientale). Forse c’è paura e preoccupazione che i luoghi comuni sull’inquinamento vengano liquidati come allarmismi e basta?

    La Regione, per il ruolo che dovrebbe esprimere, non può, nel sostenere le proprie tesi, trincerarsi dietro la decisione, operata dal proprio Consiglio, di vietare l’uso del carbone su tutto il territorio regionale. Detta decisione è assolutamente assurda anche perché se dovesse passasse l’idea che l’opposizione delle autonomie regionali sia sufficiente a bloccare insediamenti energetici ci si potrebbe trovare, teoricamente, a non poter soddisfare le esigenze dell’intero Paese: ogni Regione, infatti, potrebbe dire di NO e l’Italia dovrebbe continuare a comprare l’energia dai Paesi confinanti come avviene oggi con Francia, Austria e Slovenia. Si ripresenterebbe, per l’energia, lo stesso scenario vissuto per i termovalorizzatori, assurti alla notorietà nazionale dopo le vicende campane che hanno messo in luce che per smaltire i rifiuti bisognava spedirli in Germania con enorme aggravio economico.

    Per fortuna il Governo Berlusconi è stato capace non solo di ripulire le strade di Napoli, ma anche di decidere per l’apertura di discariche provvisorie e per l’avvio della realizzazione dei termovalorizzatori necessari in Campania e nel resto del Paese. Non si chiede un’azione di forza simile, anche in Calabria, sui problemi dell’energia, ma essendo il ricorso al Tar un percorso che coinvolge l’interesse nazionale, non sarebbe opportuno la costituzione in giudizio anche del Governo italiano? Noi crediamo di si, perché dinanzi ad una classe dirigente calabrese chiusa nel proprio orticello e poco sensibile alle necessità più generali del Paese, è necessario riuscire a correggere le distorsioni inserite nelle ‘scelte’ del Consiglio. Scelte inserite al solo fine di ‘accontentare’ soggetti della maggioranza che hanno la loro ragion d’essere solo nel rifiuto pregiudiziale ad ogni insediamento.

    Sarebbe augurabile, però, che ci fosse un ripensamento della Regione per evitare non solo il rischio di ‘subire’ l’insediamento con una sentenza del Tar, ma soprattutto per evitare di bruciare l’occasione di una reale e corposa trattativa a favore dell’intera area grecanica che deve trarre dall’insediamento energetico vere e concrete ricadute per un diverso e reale sviluppo socio-economico. Un investimento di 1 miliardo e 300 milioni di euro non può liquidarsi con estrema noncuranza.

    C’è chi, responsabilmente, ha cominciato a riflettere e a correggere le proprie estemporanee posizioni subordinandole, ovviamente, a stringenti confronti con la Sei, a certezze ambientali e ad assicurazioni sulla non incompatibilità dell’insediamento con le vocazioni turistiche dell’area interessata. C’è chi, come l’on. Giovanni Nucera, partendo da dette considerazioni dichiara che per l’ambiente ‘non esistono politiche ecologiche del no e basta, ma è possibile attuare politiche attive di salvaguardia e di sviluppo privilegiando il ruolo dell’uomo’ e in riferimento alla centrale di Saline Joniche ‘… non ci è sembrato di cogliere elementi di tranquillità nelle risposte finora fornite dalla società interessata all’investimento’. Posizioni intelligenti ed aperte al confronto, al dialogo ed all’accordo sulle ricadute economiche e sociali sul territorio.

    Sarà difficile un ripensamento anche da parte della Regione? Speriamo di no, augurandoci una reale folgorazione sulla via di Damasco.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 10.2.2009

  • ENERGIA, OCCASIONE ANCHE CONTRO LA RECESSIONE

    Le misure assunte dal Governo Berlusconi per contrastare la recessione, con il varo del pacchetto investimenti (16,6 miliardi per opere infrastrutturali) , e con l’approvazione della legge anticrisi, sono tra le più azzeccate e politicamente più lungimiranti com’è stato riconosciuto da tutta la Comunità occidentale. Da una parte infatti tendono ad offrire uno sbocco a quanti perderanno il posto di lavoro e saranno costretti ad ingrossare le fila dei disoccupati, ma dall’altra aiuteranno a far crescere realmente l’intero Paese.

    Non si tratta di investimenti tesi a far scavare buche ad alcuni e a farle riempire ad altri, ma di investimenti tesi a rammodernare effettivamente il paese come sono le opere pubbliche e quelle infrastrutturali. Eppure c’è stato chi ha storto il naso e ha dichiarato forte il suo NO. Per i tempi che si stanno vivendo non è una normale prassi tra maggioranza e opposizione. Oh Dio, non che ci si scandalizzi più di tanto per questa ennesima dimostrazione di cecità a fronte della crisi che stiamo attraversando, ma non sarebbe stato un errore l’evitare il ripetersi dello medesimo ritornello.

    Un ritornello che abbiamo purtroppo avuto modo di ascoltare anche in Calabria, dove è sconcertante che si rifiuti un investimento PRIVATO di 1 miliardo e 300 milioni di euro per la costruzione di una Centrale a carbone in quel di Saline Joniche. Tale rifiuto non è espresso solo dalle normali e tradizionali vestali del NO (associazioni verdi, partiti di estrema sinistra, santoni di ogni risma, predicatori ecologici, ecc.) che, a prescindere, sono sempre contro, ma esso è espresso dalla Giunta regionale Loiero che così facendo condanna una delle zone più degradate della Calabria a mantenere il proprio sottosviluppo e continuare con la propria endemica miseria.

    E’ comunque opportuno ricordare:
    • che l’investimento servirebbe a lenire la forte disoccupazione esistente nella zona;
    • che esso si inquadrerebbe nell’azione dei governi occidentali per fronteggiare la gravissima recessione esistente;
    • che servirebbe a ridurre in modo consistente l’importazione di energia dai paesi confinanti (conseguenza questa da addebitare alla casta del NO che bloccò, a suo tempo, le avviate costruzioni di alcune centrali nucleari);
    • che esso aprirebbe, finalmente, le porte ad uno sviluppo economico e sociale nell’intera zona grecanica ch’è la più derelitta dell’intera Calabria.

    Nessuno comunque, vuol imporre insediamenti che non garantiscano la salute dei cittadini e la salvaguardia del territorio ospitante. A tal fine vanno rivendicate ed ottenute tutte le nuove ed ultime tecnologie che riducono a zero l’impatto ambientale. Si tratta di utilizzare il modernissimo sistema produttivo dell’energia dal carbone che viene impiegato in Giappone.

    Il resto è una conseguenza logica, per cui non vale la pena accapigliarsi su cosa sia necessario ‘avere’ prima, se l’uovo oppure la gallina. E’ chiaro infatti che l’investimento di 1 miliardo e 300 milioni di euro ‘trascina’ altri investimenti a partire dall’attivazione del porto, dal suo mantenimento in efficienza e dal suo uso non esclusivo per il carbone, e continuando con le necessarie infrastrutture di collegamento con il resto della provincia e con lo stesso Paese, arrivando fino ad ‘aiutare’ lo sviluppo turistico d’accoglienza usando anche l’incentivo energetico.

    Una Calabria non chiusa agli investimenti cosiddetti ‘scomodi’, spesso fatti apparire tali solo con la vergognosa propaganda ‘verdastra’, avrà tutte le carte in regola per ‘pretendere’ un’attenzione diversa da parte del potere centrale. Illudersi che la manna possa autonomamente cadere dal cielo è una pia illusione come i lustri che ci stanno alle spalle hanno dimostrato ampiamente. Non esistono, infatti, altre strade per il decollo economico e sociale di questa martoriata terra. Chi sostiene il contrario è solo un ciarlatano, portatore non sano dell’ennesimo imbroglio politico culturale a danno dei calabresi. La Regione eviti d’apparire tale e coordini con sapienza e pazienza gli Enti locali interessati. L’occasione che si offre, nell’interesse della Calabria e dell’intero Paese, non va sprecata ancora una volta.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, 21.1.2009

    ENERGIA, GLI SPECCHIETTI PER LE ALLODOLE DI LOIERO

    Che la Calabria fosse in mano ad un gruppo di incompetenti è una verità ormai più che acquisita. Che questa incompetenza arrivasse al punto di rifiutare investimenti privati consistenti, nell’ordine di 1 miliardo e 200 milioni di euro, per la costruzione di una centrale a carbone in grado di produrre 10 terawatt pari ad un quinto dell’energia che l’Italia importa dai Paesi limitrofi, ha dell’incredibile ed è veramente difficile da digerire.

    Il Governatore Loiero ha approfittato della presenza del Commissario europeo alle politiche regionali, signora Danuta Hubner, per ribadire il proprio NO alla Centrale a carbone e per tirar fuori dal cilindro un bel coniglio pensando che le popolazioni della fascia grecanica della Provincia di Reggio Calabria non aspettassero altro. Il tutto condito con il miraggio di 1000 nuovi posti di lavoro. Ma da quel che ha detto si capisce che non sa di quel che parla.

    Non solo, ma lo fa all’indomani di una inchiesta pubblicata dal noto settimanale PANORAMA, che punta il dito sulla CASTA DEI NO che è costata al nostro Paese fior di quattrini ritardando l’ammodernamento del Paese (Tav, Mose, Ponte sullo Stretto, ecc.); lo fa all’indomani dell’inaugurazione della Centrale a carbone di Civitavecchia messa in piedi con moderne misure di tutela ambientale; e soprattutto all’indomani delle grandi misure per combattere la recessione che sta mettendo in crisi il mondo occidentale, che vanno dal piano straordinario di Obama per un massiccio investimento infrastrutturale, alle iniziative europea tese verso lo stesso obiettivo, fino ai piani approntati del Governo Berlusconi e che saranno resi noti a giorni.

    La verità sta nel fatto che al Governatore non interessa il futuro della Calabria ed il suo sviluppo, ma interessa semplicemente tener buone le forze che sostengono la sua Giunta, alcune delle quali hanno costruito la loro ragion d’essere proprio sui NO ad ogni iniziativa produttiva. Piegare alle proprie esigenze e alle proprie necessità politiche (ma non è questo un conflitto d’interessi?) le scelte di prospettiva è semplicemente delittuoso.

    Ed allora, il Governatore calabrese (a dimostrazione che non sa quel che dice) parla del sito dell’ex Liquichimica e dimentica che è proprietà privata; parla di centrale fotovoltaica e dimentica che anche trasformando tutto il terreno libero in un grande specchio riflettente si realizzerebbe, si e no, una modestissima produzione di 20 megawatt (un semplice topolino) a fronte delle enormi esigenze che ha l’Italia; parla di indotto per 1000 posti di lavoro ma non indica come e dove. Forse, ma a Loiero non l’hanno detto, si tratta di una fabbrica per la produzione di pannelli fotovoltaici che potrebbe essere impiantata da API-Energia, e che non entra per nulla in conflitto con la Centrale a carbone il cui progetto è stato presentato da una società svizzera.

    Dire No ad un investimento certo, da realizzare comunque dopo la Valutazione dell’Impatto Ambientale, e attaccarsi a fantomatici investimenti che reggono la scena solo per qualche mese, è assurdo, indecente, inutile e dannoso. Si rischia di bruciare un’occasione irripetibile per la zona jonica meridionale della Calabria buttando a mare, con essa, ogni vera ipotesi ‘indotta’: parliamo, per l’arrivo delle navi col carbone, della riattivazione del porto, del suo mantenimento efficiente, e della prospettiva di stabili collegamenti con aliscafi veloci per e da Catania, Taormina ed Isole Eolie, oltre alla riapertura di una darsena per piccolo e medio cabotaggio.

    Perché, quindi, rinunciare ad un percorso simile, che offre la certezza di occupazione stabile e sviluppo socio-economico, piegandosi a considerare l’investimento proposto come alternativo ad altro? Se lo sventolare il miraggio di 1000 posti di lavoro ‘indotto’ non è, nelle intenzioni del Governatore Loiero, uno specchietto per le allodole, perché non costruire un tavolo di confronto tra Regione, Enti Locali interessati, Api-Energia e Sei?
    Giovanni ALVARO
    Coordinatore Regionale Segreteria Nuovo PSI
    Reggio Calabria 15.12.2008

    STUDENTI INDISPENSABILI CONTRO BARONIE E PRIVILEGI

    Gira e rigira, come sempre avviene, le menzogne, non solo quelle più grossolane, vengono sempre al pettine, e la verità emerge con forza perché nessuno è in condizione di poterla fermare. Emerge, si fa strada e spazza via la nebbia con la quale si tentava di confondere gli studenti per strumentalizzarli sfruttando la loro grande disponibilità alla lotta.

    La verità ha già vinto, per cui non c’è bisogno di cimentarsi nella guerra dei numeri in riferimento alla manifestazione degli studenti del 14 novembre scorso (duecentomila per gli organizzatori, centomila per i partiti e i giornali sostenitori dell’iniziativa e la CGIL, appena trentamila per la Prefettura di Roma). La manifestazione ha già detto parecchio presentandosi come il canto del cigno di un movimento pro domo d’altri, la fine di un’avventura che per avere futuro deve abbandonare la strada retrò della conservazione ed imboccare quella del rinnovamento e della riforma.

    E proprio ora bisogna aiutare gli studenti a liberarsi dei cappelli che prepotentemente gli si volevano metter sopra, e indicar loro gli obiettivi riformisti da perseguire e che loro percepiscono meglio d’altri: il rilancio di una istruzione degna di un paese dell’Occidente democratico e l’avvio di una riforma dell’istruzione universitaria capace di rinverdire i fasti del passato mettendo al primo posto capacità, intelligenza, studio e ricerca. Proprio ora è necessario indicare agli studenti la strada maestra del futuro perché sarebbe un grave errore gioire della loro sconfitta ed isolarli nel loro sterile ribellismo. La loro disponibilità alla lotta nasce proprio dalla percezione più che epidermica che è ora di voltar pagina.

    A che servono 5500 corsi di laurea? A che servono corsi di laurea frequentati da un solo studente? A che serve lo sperpero di denaro pubblico, sottratto alla ricerca, ma utilizzato per rafforzare le baronie universitarie, se nelle classifiche mondiali si registra la sola Università di Bologna nei primi 150 posti? In questo scontro contro baronie e privilegi, il protagonismo giovanile sarà indispensabile, vuoi per isolare frange di violenti o ideologizzati, ma anche per rendere vincenti le scelte di rinnovamento che si intendono perseguire.

    La Gelmini, aldilà di alcuni cori imbecilli e aldilà degli attacchi della pseudo sinistra, è stata veramente brava dimostrando tenacia, perseveranza e soprattutto coraggio nel non lasciarsi intimorire. Essa continuando a tendere la mano agli studenti e chieder confronto e dialogo ha dimostrato una levatura eccezionale che ne può fare il Ministro della Pubblica Istruzione che da decenni l’Italia attende. Essa ha voluto iniziare il percorso dalla scuola primaria, non tanto per reintrodurre i grembiulini, quanto per dare il segnale di un reale cambio di fase.

    E che cambio di fase! Non più scuola ‘usata’ come semplice occasione di lavoro e occupazione (il cosiddetto postificio) ma scuola da riportare allo scopo principale del suo essere: strumento di maturazione reale della nostra gioventù. Essa ha voluto, assieme al Governo Berlusconi che l’ha aiutata ed al Parlamento che l’ha sostenuta, liquidare la tanto sbandierata ‘conquista’ (sic!) del sindacalismo di bottega, rappresentata da quell’affollamento di insegnanti che servivano solo per aumentare l’influenza organizzativa dei sindacati, ma non per accrescere il livello di educazione e conoscenza dei nostri bimbi. Senza voler generalizzare ma i temi proposti sulla Gelmini, a bimbi di meno di 10 anni in una scuola milanese, la dicono lunga sul livello qualitativo delle nostre insegnanti elementari.

    Avanti, quindi, Ministro Gelmini. Avanti tutta. Conquìstati però il sostegno della parte più viva della scuola, gli studenti, sottraendoli all’influenza nefasta della cosiddetta sinistra
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 17.11.2008

    GLI STUDENTI E IL SOGNO DEL SESSANTOTTO

    I soggetti che hanno dato vita alle iniziative contro la Gelmini avevano tutti una motivazione, anche se non direttamente legata al merito della riforma, tranne gli studenti la cui protesta si è dimostrata fine a se stessa e, parafrasando il signor Tonino, vien da chiedersi cosa ci ‘azzeccavano’ col resto dei protagonisti?

    Fra i più interessati alle iniziative di piazza c’era la sinistra (sic.!) che, alla spasmodica ricerca di un pretesto per invertire la direzione in cui continua a soffiare il vento, si è distinta a pestare l’acqua nel mortaio addolcendola con le falsità più macroscopiche. In assenza di una bussola ci si aggrappa, ormai, a qualsiasi possibilità di protagonismo che la vicenda politica italiana offre, anche per non lasciare che il solo regista degli shows fosse Antonio Di Pietro il quale, figuriamoci se poteva mancare, è stato un vero animatore proteso ormai all’inseguimento ed al consolidamento del suo 4% il cui mantenimento lo può rendere autonomo dalla pretesa egemonica post-comunista. La presenza di Di Pietro, in ogni occasione, è diventata così ossessiva che non solo gli permette di occupare stabilmente le scene, ma anche di trascinarsi dietro il Don Chisciotte, Walter Veltroni, che avrebbe dovuto tenerlo al guinzaglio ma che deve accontentarsi di un ormai consolidato rapporto capovolto.

    C’erano anche i Sindacati che, al rimorchio della CGIL e dei suoi tatticismi di sostegno alle scelte del PD, hanno teso a cavalcare il reale malessere esistente nel corpo docente, per gli inadeguati livelli retributivi e per il totale annullamento meritocratico subìto in tutti questi anni, tentando di non farsi scavalcare dal loro Di Pietro, cioè dal Sindacalismo autonomo, tradizionale nemico delle Confederazioni. Ed infine c’erano i docenti sia quelli ideologizzati e speranzosi di poter invertire la tendenza dell’opinione pubblica ormai lontana dalle sirene della sinistra, che quelli impegnati a difendere rendite di posizione soprattutto nelle Università . La presenza di questi ultimi era, come dire, preventiva. Hanno tentato di bloccare un processo che, si capiva, andrà avanti lo stesso, per arrivare fino ai paradisi dei ‘baroni universitari’. E la Gelmini li ha accontentati subito annunciando che la prossima settimana presenterà il piano che li interesserà.

    Ma gli studenti che ci facevano in questo movimento? Che ci azzeccavano con i baroni universitari? Sognavano forse un 68 come quello vissuto dai propri nonni? Sogni legittimi certo, ma lontani dalla realtà. I giovani per loro stessa natura sono ‘rivoluzionari’, sono innovativi, fantasiosi, vogliono cambiare il mondo e non conservarlo, e vogliono tentare di plasmarlo a loro misura. Questo è stato il vero 68, un movimento per ‘abbattere’ il sistema, a differenza dei sogni odierni costruiti sulla conservazione, sullo status quo, sul mantenimento dell’esistente. E’ mancata, nella odierna protesta, la loro creatività per cui è stato facile relegarli a semplici oggetti di un movimento nato asfittico perchè teso alla difesa di privilegi altrui. Impossibile per loro diventare soggetti principali di un nuovo corso.

    Ad essi è stato offerto, e acriticamente purtroppo l’hanno accettato, un piatto precotto. Peccato veramente perché hanno bruciato un’opportunità positiva che non nasce mai dal ribellismo fine a se stesso, ma è sempre frutto di ragionamento, critica, e capacità propositiva. Anche gli slogans denunciavano l’assenza della fresca fantasia giovanile perché costruiti su elementari rime baciate (Gelmini-bambini) o scopiazzature dal maggio francese come il famoso e non ripetibile “non è che l’inizio” anche perché è stato tutto inizio e fine. L’innovazione non alberga nelle segrete stanze degli stregoni di sinistra, ma è saldamente presente negli obiettivi del Governo Berlusconi che si dimostra il più innovativo e “rivoluzionario” che si potesse sperare.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 31.10.2008

    LA DERIVA DI WALTER CONTRO I MULINI A VENTO

    L’abbuffata di iniziative, manifestazioni e scioperi in questo mese di ottobre 2008 è la cartina di tornasole della incapacità della sinistra italiana d’essere all’altezza del confronto e dello scontro con il Governo Berlusconi ed il suo Popolo delle Libertà a cui i cittadini hanno dato l’incarico di guidare questo Paese.

    Si ha l’impressione che si ‘spari’ con le armi più disparate ma solo per far rumore, sperando che con esso si inneschi una paura capace di liberare il campo dalla presenza nemica, ma anche per evitare sia lo scavalcamento da parte di quel Tonino Di Pietro che, costruito in provetta dagli strateghi della sinistra, è letteralmente sfuggito di mano ai suoi manipolatori; sia pure per non aiutare lo sviluppo delle grandi manovre del suo eterno concorrente, Massimo D’Alema, che solo ‘per ora’ non pone il problema della leadership nel PD.

    In questa lotta tutta interna all’aggregazione di sinistra (si fa per dire) a subirne le conseguenze negative è soprattutto il Paese che viene sottoposto ad una serie di iniziative certo legittime ma chiaramente inopportune; certo possibili ma nettamente provocatorie; certamente legali ma costruite senza alcun ritegno col falso più vergognoso.

    Nella prima categoria vi è la manifestazione del 25 ottobre, tanto criticata da personaggi importanti dello stesso partito organizzatore che hanno dichiarato di non parteciparvi, ma altrettanto pervicacemente perseguita dal nostro Walter che in barba alla delicata situazione economica mondiale che lui stesso riconosce e che coinvolge anche l’Italia, continua il suo percorso senza batter ciglio. Nella seconda vi è il tentativo di imporre al Parlamento quell’Orlando furioso, sostenuto dall’altrettanto furioso Di Pietro a cui Walter non sa o non può dire di no, messo scandalosamente sullo stesso piano del prof. Gaetano Pecorella. Il braccio di ferro sulle due scadenze ha determinato gli appelli di Giorgio Napolitano alla ragionevolezza e l’ennesimo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a cui piace camminare sul ciglio di un burrone rischiando sempre in prima persona.

    Nella terza c’è la vergogna dello sciopero contro la riforma Gelmini. Sciopero indubbiamente legale, dato che il contestare ciò che non si condivide è un diritto costituzionale, anche se viene costruito su falsità più che macroscopiche, e coinvolgendo nella vicenda l’innocenza dei bambini portati a spasso da mammine moderne ma senza zucca. Quando si contesta una riforma, una legge o un decreto bisogna farlo con dati di fatto reali e con proposte alternative. Usare il falso anziché la verità, e dire solo no senza avanzare un solo straccio di proposta, dimostra il vuoto che alimenta gli organizzatori e la strumentalità della stessa iniziativa. Le prove generali sono state affidate ai Cobas, Venerdì passato, e adesso via verso lo sciopero del 30 ottobre.

    Gli studenti ci sono (ci sono sempre stati anche non sapendo i motivi di uno sciopero a cui partecipano), i sindacati pure (sorprende la ritrovata unità tra CGIL, CISL e UIL), gli insegnanti ideologizzati anche (si sentono rinati nel poter lottare contro il nemico Berlusconi inseguendo sogni di gloria), la copertura politica altrettanto (viene garantita dalla deriva di Walter-Don Chisciotte), manca però, si manca, e non è cosa di poco conto, il sostegno dell’opinione pubblica, sempre più affascinata dalle capacità realizzatrici del Governo, e sempre meno propensa a seguire le falsità della ricostituita armata Brancaleone. Si capisce chiaramente che si contesta solo per tentare di creare le condizioni che possano incrinare l’appeal di Berlusconi, del suo Governo, dei suoi Ministri e del PdL, ma si capisce pure che la contestazione è solo contro i mulini a vento: lascia il tempo che trova, altro che nuovo sessantotto.

    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 20.10.2008

    MALGRADO I PROCLAMI, SONO SEMPRE GLI STESSI

    La vicenda Alitalia è emblematica del modo d’essere dei cosiddetti ex o post comunisti. E ciò indipendentemente se a rappresentarli c’è un signore che si chiama Veltroni, o se invece ci fosse un tale chiamato D’Alema o anche un certo Pincopallino. Cambia tutt’al più il tono della voce che può essere suadente, sprezzante o semplicemente incolore, ma il percorso sarà sempre lo stesso. Si spara a zero, si creano mille problemi, si cerca di non farsi scavalcare a sinistra neanche da Di Pietro, ma quando ci si accorge che le cose, malgrado loro e le loro strategie, vanno avanti positivamente e l’opinione pubblica ne è contenta, scatta il famoso arboriano.. indietro tutta.

    Alitalia atto primo. Il governo Prodi (specialista in materia) tenta la carta della svendita della compagnia di bandiera all’Air France, ma l’operazione non va in porto per l’opposizione dei Sindacati che, in assenza della tenacia di un Gianni Letta, hanno partita vinta. L’Air France si tira indietro pensando che avrebbe potuto avere maggiori chances dopo le elezioni. Chiunque avesse vinto, infatti, essendo con l’acqua alla gola, doveva presentarsi col cappello in mano a pietire un intervento di semplice assorbimento.

    L’atto secondo vede il Governo Berlusconi difendere l’italianità della compagnia di bandiera impegnandosi, in piena campagna elettorale, a promuovere una cordata di imprenditori capace di salvare la Compagnia dal fallimento e in grado di rilanciarla sul mercato. Ricorderanno tutti i frizzi e i lazzi sulla cordata: fuori i nomi; si tratta di sicuro dei suoi figli; è il classico gioco delle tre carte; un imbroglio destinato a sciogliersi come neve al sole dopo le elezioni; se ha fallito Prodi con Air France dove vuole andare il megalomane?; e via di questo passo. A dar manforte a lor signori, come sempre, la grande stampa italiana e, perché no?, anche quella straniera.

    Il terzo atto comincia con la vittoria di Berlusconi. Mentre il premier affronta le emergenze più impellenti come quella dei rifiuti a Napoli, viene tartassato di sollecitazioni a fare i nomi della cordata e il suo silenzio viene propagandato come l’ammissione del bluff elettorale. Superate le emergenze ed affrontati alcuni nodi importanti come la sicurezza dei cittadini, l’immigrazione clandestina, l’abolizione dell’ICI e tutto ciò che si è saputo fare nei primi 100 giorni, Berlusconi affronta il problema Alitalia. La cordata c’è, ne fanno parte fior di imprenditori italiani, e il Presidente è tale Colaninno (padre del giovane imbarcato sul jet di Veltroni, il PD).

    E’ il quarto atto che disvela pienamente l’ipocrisia dei comunisti. Nella cordata, la CAI, non ci sono i figli di Berlusconi, la cordata è abbastanza solida e si lavora anche per avere tra i soci (ma solo di minoranza) una grossa compagnia straniera andando anche aldilà dell’orizzonte francese. Mancano, e questo è drammatico per la sinistra, elementi per poterla attaccare frontalmente e farla fallire sul nascere (che importa per le migliaia di dipendenti senza lavoro?). Ma è un lavoro sporco e si delega a farlo un killer di professione: il Sindacato, e per essere sicuri del risultato si lascia libero il campo andandosene negli States.

    Al ritorno, sul campo di macerie, si potrà dar vita al solito show fatto di attacchi, lamenti, accuse: chissà forse si riuscirà a far cambiare il vento. Ma al ritorno il nostro Walter trova la sinistra isolata, il sindacato alle corde, Berlusconi e il suo Governo alle stelle nei sondaggi, e una opinione pubblica inferocita contro la sinistra e i sindacati, e fortemente favorevole all’accordo pro Alitalia. E allora: indietro tutta. Basta una letterina per dire il merito è mio, soltanto mio. Ma a chi lo dice? Chiaramente solo a se stesso perché neanche i suoi gli possono credere. Figuriamoci il solito Di Pietro che imperterrito continua a cavalcare l’opposizione a prescindere.

    Anche per questo i socialisti del Nuovo PSI di Stefano Caldoro hanno scelto di stare nel Popolo delle Libertà. La doppiezza, l’ipocrisia e la menzogna sono nemici giurati dei riformisti.
    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria 28.09.2008

    I CENTO GIORNI CHE HANNO SCONVOLTO LA… SINISTRA

    Quando Newsweek ha elogiato il ‘miracolo Berlusconi’ per i suoi primi cento giorni di governo, con giudizi lusinghieri e inaspettati, anche perché eravamo abituati a ben altra sgradevole musica, abbiamo capito che veramente si era imboccata la strada giusta. Sapevamo che si era partiti col botto, ma temevano che la nostra condizione di alleati convinti poteva condizionare il nostro giudizio. In pratica avevamo paura di esprimere solo un giudizio di parte.

    Quando poi, con una furia degna del proprio nome, l’ex Direttore dell’Unità Furio Colombo, ha teso a spostare l’attenzione dal merito dell’articolo alla costruzione di un’ipotesi di giornalista inesistente che, guarda caso, avrebbe libero accesso alle colonne del giornale, ci siamo convinti definitivamente che la strada imboccata è quella giusta, che Berlusconi è un leader più che capace, che l’aggregazione moderata che ha saputo mettere assieme è una maggioranza di governo e non solo elettorale cosa che gli italiani avevano capito perfettamente decidendo di chiudere l’infausta stagione prodiana degli annunci, delle paralisi programmatiche e delle tasse facili e perpetue.

    Il successo dei primi cento giorni, il mantenimento della luna di miele col Governo Berlusconi, e la differenza palpabile, con Romano Prodi, del modo di governare fanno allontanare inesorabilmente la possibilità di un recupero degli antagonisti rendendo super nervosa la sinistra, quella uterina dei grilli, dei travagli, dei colombi fino ad arrivare alla non-sinistra dipietresca, e rende ondivaga, confusa, incapace e senza bussola quella che vorrebbe essere, ma non ci riesce, una sinistra affidabile a cui manca, tra l’altro, anche il senso dello stato.

    I primi cento giorni fanno paura. Tutti gli allarmismi usati contro Berlusconi e la sua aggregazione moderata sono caduti nel vuoto. Gli italiani non credono più al grido continuo e inesorabile di ‘al lupo, al lupo’. Gli italiani hanno apprezzato la soluzione dell’emergenza spazzatura a Napoli (avuta in eredità da Prodi e &), hanno salutato con gioia la stretta di vite sull’immigrazione clandestina e per la sicurezza dei cittadini, non si sono fatti fuorviare sulla raccolta delle impronte digitali dei rom, né hanno storto il naso per l’uso dei soldati in alcune città, hanno gioito per le decisioni sull’ICI e sulla regolamentazione degli straordinari, per la lotta contro i ‘fannulloni’ e l’avvio di processi premiali per i meritevoli, non si sono scatenati per la legge sulle Alte Cariche dello Stato ma l’hanno accettata perché segna la fine di una assurda ed ingloriosa telenovela che durava ormai da oltre quindici anni, e rischiava di paralizzare l’attività di governo.

    Si, i primi cento giorni fanno paura. Essi sono la cartina di tornasole del forte rapporto con i cittadini e del fallimento di una opposizione ottusa e nichilista. Fanno paura perché ai primi cento giorni ne seguiranno altri cento, e si andrà avanti senza alcun tentennamento anche perché incoraggiati e sostenuti da un’opinione pubblica consenziente ai provvedimenti governativi. Avanti tutta quindi con il federalismo fiscale solidale,con la riforma vera della magistratura, con il rilancio delle infrastrutture e delle grandi opere, con la ripresa della costruzione delle centrali nucleari, con la riforma delle istituzioni liquidando gli Enti ‘doppioni’ e inutili, con la lotta al carovita, e con l’avvio di un alleggerimento fiscale.

    Su queste cose e su questo programma è schierato il Nuovo PSI di Stefano Caldoro, e viene semplicemente da ridere quando si continua a ripetere, ossessivamente, che una forza socialista deve stare sempre e comunque a sinistra. A fare che? Giocare con gli apprendisti stregoni a sgovernare l’Italia? No grazie, preferiamo stare con chi è capace di riformare il nostro Paese.

    Giovanni ALVARO
    Reggio Calabria 27.8.2008