Dalla parte di Berlusconi

Il dibattito politico in Italia, dopo l’approvazione della finanziaria da parte del Senato, non poteva che diventare rovente sia su un fronte che sull’altro sulla prospettiva di vita del governo e sui posizionamenti che ogni partito – sia di maggioranza che di opposizione – sta costruendo.
Intanto va riconosciuto al Presidente Berlusconi un dato di fatto incontrovertibile: grazie alla sua tenacia e alla battaglia quasi solitaria con la quale ha, in maniera asfissiante, tallonato la maggioranza, l’Unione si sfalda, approva la finanziaria e decreta essa stessa la fine del Governo Prodi, cosi come dalle dichiarazioni del Senatore Dini. L’azione incisiva del leader di Forza Italia in tutti questi mesi ha fatto emergere in maniera chiara le contraddizioni, le beghe, le lotte e, soprattutto, le distanze politiche tra i vari partiti che compongono l’Unione.
A fronte di questa battaglia sostanzialmente vinta, il giorno dopo l’approvazione della finanziaria alcuni esponenti della Casa delle Libertà, pensando in prospettiva al loro avvenire personale nel panorama politico, hanno incominciato a fare i distinguo e a far emergere le differenziazioni, che pure ci sono e, a parer mio ci debbono essere, fra alleati diversi, ma lo hanno fatto in maniera maldestra in questa fase ed hanno finito per dare la sensazione che da una vittoria si sia passati ad una sconfitta.
Le dichiarazioni di alcuni leader dell’Unione uscita malconcia dal dibattito parlamentare, hanno da subito cercato di far prevalere questa linea, tentando di isolare il Presidente Berlusconi come se il fatto stesso che la maggioranza avesse finito per approvare al Senato la finanziaria fosse quasi colpa di Berlusconi. Il Presidente Berlusconi ha invece dimostrato ancora una volta, annunciando la nascita del nuovo soggetto politico, di poter catalizzare su di sé non solo l’attenzione dei media e della classe politica, ma anche dei cittadini.
Noi socialisti del Nuovo P.S.I., che in tempi lontani avevamo stretto un patto con la stessa CdL ed il suo leader – oggi ribadito e riconfermato dal nostro Congresso che ha visto l’elezione di un giovane alla guida del nostro partito, come l’ On. Caldoro – non abbiamo alcun tentennamento in questa fase, quando si gioca una battaglia vitale per il futuro del nostro Paese, a schierarci in maniera chiara senza se e senza ma al fianco del Presidente Berlusconi con la nostra identità per affrontare assieme questa durissima battaglia per il futuro democratico dell’Italia.
Responsabile associazioni
Segreteria Nazionale Nuovo P.S.I.

FERMARSI PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

                        La fine della partita giocata al Senato della Repubblica, anche se a Prodi si è concesso il piacere dell’approvazione della legge finanziaria in prima lettura, e la speranza di continuare a vivacchiare alla guida del Governo, ha sancito in modo plateale (i giudizi espressi da Dini sono veramente tranchant) la fine della maggioranza che finora ha sorretto Prodi. Parecchi si domandano perché Dini ha voluto salvare il Governo, votando la finanziaria) e immediatamente dopo annunciarne la sua irreversibile ed imminente morte.

                        Si può non essere d’accordo, ma negli atteggiamenti di Dini, dal suo punto di vista, non c’è alcuna contraddizione. Egli ha voluto scindere il momento della dotazione al Paese della legge finanziaria per l’anno che viene, dal giudizio politico severo sul Governo e sul suo esaurito corso. O più semplicemente ha voluto mettere in evidenza che il Governo non va a casa per un’imboscata sulla legge finanziaria, ma ci va per la decisione netta, chiara e precisa assunta da chi, con il suo atto, tronca il ‘tirare a campare’ dell’allegra compagnia meglio conosciuta come ‘armata Brancaleone’, o perché non ne poteva più del tira e molla della sinistra antagonista, radicale e parolaia. Sapere se la motivazione vera sia questa,credo che debba interessare poco. 

                        Quel che deve interessare è, da una parte, il fatto che si chiuda una fase, densa di guasti per il Paese, e può e deve aprirsene un’altra; e dall’altra una rivisitazione dello stato della coalizione. E’ assurdo, infatti, che dinanzi ad uno scenario nuovo, determinato da quello che può definirsi la punta dell’iceberg, si avvii (sembra la legge del contrappeso) un processo di distinguo, fughe in avanti, ricerche di iniziative solitarie e giochi individuali da parte dei singoli alleati della CdL che, oggettivamente, diventano le ciambelle di salvataggio di un centrosinistra oramai a pezzi.

                        Perché questa corsa al masochismo? Perché non fermarsi e riflettere? E’ urgente e vitale per l’intera alleanza, farlo. La fase che si apre, infatti, è aperta ad ogni sviluppo: dipende anche da noi la sua evoluzione o la sua involuzione.

                        E’ necessario quindi, in primis, smetterla di fare come quegli eredi che, a babbo ancora vivo, si accapigliano attorno al letto del presunto moribondo per accaparrarsi l’eredità. Per questo non c’è notaio che tenga, né possono esistere investiture da delfino. Il leader che potrà aspirare a sostituire Berlusconi, quando sarà, deve anzitutto diventare punto di riferimento, per capacità, carisma e atteggiamento unitario, dell’intera coalizione o almeno della sua grande parte.

                        Secondo: bisogna passare da subito a dare corpo alle scelte politiche delle settimane passate, realizzando la Federazione dei partiti moderati, senza farsi condizionare dagli sbocchi di appartenenza europea. Siamo in Italia, e in Italia quel che importa, in questo momento, è la costruzione di un unico centro decisionale, e aprire nuove prospettive alle forze moderate.

                        Terzo: contribuire a modificare la legge elettorale esistente (il porcellum) inserendo due necessarie correzioni. Le preferenze nella scelta dei candidati, liquidando la vergogna che tutto sia deciso razionalmente dai partiti, ed inserendo il premio di maggioranza anche al Senato da conteggiare nazionalmente. Questa seconda scelta può non risolvere il problema delle differenti maggioranze nei due rami del Parlamento, e quando ciò dovesse verificarsi, si può individuare la maggioranza che deve governare il Paese con la somma dei voti di Camera e Senato.

                        Ma, per carità, fermiamoci, prima che sia troppo tardi.

           

                                                                                                       Giovanni ALVARO

                                                                                              Direzione Nazionale Nuovo PSI

Reggio Calabria, 18.11.2007

LETTERA APERTA A FILIPPO FACCI

Caro Filippo,
pur non conoscendoti personalmente sento il bisogno di esprimerti tutta la mia solidarietà per ‘l’editto romano’ che ti riguarda, e che indirettamente, ma non tanto, riguarda tutti noi. Ho avuto modo di apprezzarti, conoscendoti giornalisticamente, quando hai messo a nudo l’ex figlio di Bettino, che cercava di vendere per oro colato uno strapuntino che lor signori gli avevano riservato sulla corriera dell’Unione dopo che Zavettieri, vero detentore di un congruo pacchetto di voti, aveva ‘regalato’ una vittoria insperata al signor Prodi.

Perché ti dico che ‘l’editto romano’ ci riguarda, e non è una faccenda personale tra te e il signor Cappon? Perché, purtroppo, è il sintomo di uno strisciante regime che va costruendosi giorno dopo giorno, e di cui preoccuparsi sinceramente. E’ uno scenario, quello italiano, che si modifica continuamente e adotta metri di valutazione chiaramente influenzati da quella che può essere vista come la famosa ‘egemonia’ gramsciana.

Prodi viene iscritto nel registro degli indagati? Non succede nulla, ti ricordi invece quando ad essere iscritto era Berlusconi? D’Alema è indagato assieme a Fassino? Niente male, non fanno parte della banda nera, sono di altro colore. Emerge da indagini dei Ros qualche ombra su Minniti? Il silenzio è d’ordinanza. Enzo Biagi, amaramente, ed in ritardo, si accorge d’essere stato utilizzato strumentalmente dalla sinistra, e lo scrive in un libro che vedrà la luce prossimamente? Non c’è problema: viene letteralmente ignorato. Ed a ignorarlo ci sono i soliti familiari. E’ un film già abbondantemente visto con Falcone, e poi con Borsellino, e poi con altri (Parigi val bene una messa).

Ma dov’è la stampa libera? Latita per non disturbare il manovratore? E la TV, non si vergogna di mandare in onda una trasmissione sulle epurazioni, epurando, con atteggiamento più santoriano di Santoro, chi sicuramente non avrebbe cantato nel coro? Basta. E’ ora di chiudere una parentesi che rischia di diventare tragica. Bisogna accelerare i tempi e far sciogliere il Parlamento, prima che sia troppo tardi.

Perdonami, Filippo, se ti ho tediato più di tanto, ma intendevo esprimerti la mia più schietta solidarietà e assicurarti che terremo gli occhi ben aperti per far passare ‘a nuttata’.

Giovanni ALVARO
Direzione Nazionale Nuovo PSI

Reggio Calabria, 10.11.2007

INTERESSA SOLO L’APPARIRE

 

Le due vicende, purtroppo dolorose, che hanno catalizzato l’attenzione nazionale e quella calabrese sono la cartina di tornasole sulla capacità di governo di Prodi e di Loiero. Il massacro della povera signora Giovanna a Tor di Quinto a Roma e la morte assurda, per malasanità, del dodicenne Flavio a Reggio Calabria, hanno segnato negativamente, ma come se fossero in replica, le azioni espresse dai due governi per tentare di contrastare le dure e legittime critiche dell’opinione pubblica.

 

Messa a nudo la politica della libera immigrazione nel paese dei balocchi, così come viene visto dai disperati che scelgono di entrare in Italia, e denudata la sanità regionale che viene vista come mera occasione di occupazione, senza alcuna remora, di ogni posto di sottogoverno che essa offre, il duo Prodi-Loiero si è lanciato in iniziative (comunque tardive)  e proclami (comunque solo verbali) che hanno il sapore del mettere la coscienza in pace e nascondere ad una opinione pubblica frastornata, ‘incazzata’ e pronta ad esplodere, l’inconsistenza di chi ha in mano le redini nazionali e regionale.

 

Prodi ha cincischiato per settimane su un pacchetto sicurezza che, per mettere d’accordo tutte le componenti della propria ‘armata Brancaleone’, si era ridotto ad un disegno di legge che avrebbe navigato per mesi nel Parlamento e, nel migliore dei casi, avrebbe visto la luce almeno due anni dopo (sempre se l’attuale legislatura continuasse il proprio cammino). Dinanzi allo shock causato dal massacro di una inerme cittadina per mano di un criminale ‘comunitario’, è maturata la scelta del decreto legge, su suggerimento di Veltroni che tenta, così, di occultare le responsabilità nel proprio ruolo di  sindaco che ‘ignorava le favelas’ ai margini della città o lungo il Tevere.

 

Loiero, indaffarato solo a misurarsi col signor Minniti, nella creazione del PD, annuncia, urbi et orbi,  che cadranno delle teste per la morte del dodicenne. Non coglie la palla al balzo dimettendosi con la sua Giunta, né decide di licenziare, su due piedi, l’ex Magistrato, ‘prestato alla politica’,
la Doris Lo Moro, per acclarata e palese incapacità a gestire
la Sanità calabrese, ma pensa solo a colpire chi avrebbe ritardato la pratica delle assunzioni di autisti di autoambulanza.

 

L’uno e l’altro, Prodi e Loiero, sanno che devono superare il momento critico dell’attenzione dell’opinione pubblica, per cui puntano ad apparire quelli che non sono, ben sapendo di non essere.

 

La vicenda di Roma può innescare un mai sopito razzismo con azioni squadristiche contro cittadini rumeni che nulla hanno a che fare con l’ignobile vicenda di Tor di Quinto (e in questa direzione va fortemente criticata

la Magistrata Matone che, perennemente ‘ospite’ di trasmissioni tv, ha buttato benzina sul fuoco con le sue personali statistiche divulgate senza alcuna cautela).

 

La vicenda invece deve essere assunta come occasione per affrontare e definire l’atteggiamento italiano nei confronti della immigrazione comunitaria o meno. Il Nuovo Psi deve battersi per ottenere che la permanenza sul nostro territorio, in alloggi adeguati messi a disposizione dai poteri locali, non deve superare i tre mesi entro i quali l’immigrato deve trovare lavoro pena la sua espulsione reale. E qualora venga effettuato il reingresso usare la mano forte con il reale espletamento delle sanzioni anche restrittive. L’obiettivo è quello di evitare una permanenza in condizioni disumane che favorisce il degrado fisico e morale, per selezionare chi può vivere perché trova lavoro da chi magari vuol vivere di espedienti, elemosine, furti e quant’altro.

 

La vicenda della Calabria può essere assunta per realizzare quel salto di qualità nella sanità per evitare, da una parte, il mantenimento di livelli qualitativi veramente bassi,  e dall’altra, la fuga dei nostri medici che affollano gli Ospedali di ogni città del Nord. Per questo obiettivo però non bastano i proclami, c’è da voltare veramente pagina. Sarebbe ora, carissimo Loiero, di sgombrare il campo,
la Calabria, ne stia certo non avrebbe alcun rimpianto.

 

                                                                                       (Giovanni Alvaro)

                                                           Segretario Provinciale e membro della Direzione Nazionale

Reggio Calabria 04.11.2007

SCONFITTO IL NICHILISMO PRODIANO

Giovanni AlvaroIl giacobinismo distruttivo e la furia nichilista su tutto ciò che era stato prodotto dal passato Governo, stava costando 500 milioni (diconsi 500 milioni) di euro, pari a 1000 miliardi di vecchie lire, all’intera collettività per lo scioglimento della Spa Stretto di Messina e di conseguenza con il ‘de profundis’ al Ponte sullo Stretto.
Per fortuna il Senato ha respinto un assurda e vergognosa posizione del Governo Prodi che, per mantenere in piedi l’allegra ‘armata Brancaleone’, ha subito le scelte ideologiche dell’estrema sinistra, dei post comunisti e dei verdi rossastri capeggiati da quel esemplare di ‘pasionario’ che risponde al nome di Bianchi, da quel pericoloso nichilista di un Pecoraio Scanio, e dai vari abbaiatori alla luna quali Diliberto e Giordano.
E’ sperabile che anche per la TAV, il Mose e le varie opere pubbliche, cantierate o prossime all’appalto, dal governo moderato della passata legislatura, si abbia un sussulto di vergogna, e Udeur e Costituenti Socialisti abbiano il coraggio di bloccare l’opera distruttiva del Governo delle tasse e del NO a tutto. L’Italia non può subire continuamente un meccanismo simile alla tela di Penelope.
Nel merito del Ponte va detto subito che è falso l’assunto che sarà un’opera inutile e non produrrà niente di indotto. Al contrario sarà un’opera che intanto unirà, anche fisicamente le due sponde, con tutto ciò che questo comporta per superare l’isolamento, abbattere i tempi di percorrenza tra continente e isola, e avviare nel contempo il processo di avvicinamento dell’Italia ai paesi rivieraschi dell’Africa. Anche sul piano turistico il Ponte sarà un vero traino per determinare reali correnti turistiche adeguate ai bisogni di sviluppo economico che l’Area dello Stretto attende da tanto tempo.
Le forze favorevoli all’infrastruttura, testè salvata dalla distruzione, debbono avere adesso la forza e il coraggio di non mollare la presa non facendosi condizionare dai soliti luoghi comuni sul Ponte che interessa la mafia. Perché se passasse questa filosofia in Calabria ed in Sicilia non si potrebbe costruire neanche una casa perché quel lavoro pubblico può accendere gli appetiti mafiosi. Lo Stato ha i mezzi e la forza per vigilare e difendere le proprie scelte. Un’operazione inversa, come quella di regalare 500 milioni di euro al cartello delle imprese aggiudicatarie dell’appalto che senza aver assunto un solo manovale potevano portare a casa fior di quattrini, diventa una ignobile operazione di foraggiamento della mala politica. Bisogna sapersi attestare sulla sponda del positivo.
(Giovanni Alvaro)
Reggio Calabria 26.10.2007

Riva (FVG): Prodi a casa ma sia il Parlamento a deciderlo

Benvenuto al Compagno Saglibene,
ed al figlio Vincenzo con il quale ho avuto alcuni scambi epistolari, tempo addietro, sul forum del Nuovo PSI, che oggi non si sa ancora a chi appartiene.

Al Segretario Nazionale, Compagno Stefano Caldoro,
dico che è sbagliato pensare e tentare di mandare a casa Prodi con una manifestazione di piazza, per quanto numerosa essa sia.

La manifestazione deve eventualmente servire perché il presidente della repubblica senta la necessità di chiudere la legislatura dopo un voto di sfiducia che compete esclusivamente ai parlamentari.

È il parlamento che deve sfiduciare Prodi.
Le scorciatoie alla fine sono pericolose per non dire anti-democratiche.
Una classe politica deve avere al suo interno le risorse per fare il bene del Paese.

Altrimenti riproporremmo lo stesso cliché degli anni ’20; e sappiamo com’è finita.

Un caro saluto al Compagno Franco Spedale che sabato 20 cm. ho potuto conoscere ed apprezzare a Pordenone nell’incontro avuto con la federazione regionale del Nuovo PSI.

Mandi, Renzo Riva

Prodi ed il suo Governo: l’isola che non c’è!

L’isola che non c’è.

Così Bennato intitolava una sua canzone, anni fa; così mi pare sia l’illusione di Prodi, che nonostante tutto e contro tutti, continua a dire che il suo Governo è saldo, coeso, presente.

Il corteo rosso, che i giornali, riportano come una manifestazione anni 70, mostrano lo scollamento tra le due linee del centro sinistra; da una parte il PD, che deve tentare di Governare secondo le necessità oggettive, e la COSA ROSSA, che invece si ancora al più antico e drammatico tradizionalismo, superato dai tempi e dalla storia.

È evidente, e non dico una cosa nuova, che ormai la frattura tra le due componenti del centro sinistra è arrivata a limiti che difficilmente si placheranno,

Tutti tirano la giacca di Prodi: Giordano, Salvi, Mussi, Pecoraro richiamano Prodi ad una maggiore attenzione a quello che il mondo della sinistra radicale vuole; dall’altra l’inquietante “questione” Mastella, e la moderazione dei Diniani obbligano invece Prodi a cercare una mediazione.

Ma la cosa più inquietante è il nostro Presidente del Consiglio, che senza dignità, senza orgoglio, senza alcuna attenzione del futuro del nostro Paese è lì a studiare le mosse per non cadere.

E continua affannosamente a ricercare quell’isola che non c’è!

Si affanna, s’adopera, mostra sicumera e poi si rivolge all’amico Bazoli, azionista del Corriere della Sera, affinché la linea editoriale torni ad essere un po’ meno oggettiva ed un po’ più filogovernativa.

Nel frattempo la finanziaria viene bocciata a livello europeo perché non risana i conti, in Europa ci tolgono 8 seggi dal Parlamento Europeo, poi al termine di una grande mediazione, uno ci viene rassegnato, ma lo scarso ruolo dell’Italia viene evidenziato quando Gran Bretagna, Germania e Francia fanno uscire un documento nel quale, al di là dei contenuti, mostrano che loro hanno potere decisionale sul futuro dell’ Europa.

Guarda caso tre paesi che hanno in comune il fatto di svolgere una politica riformista, sia di destra che di sinistra.

In un caso addirittura, quello della Germania, si è preferito fare una grane coalizione con gli avversari piuttosto che affidarsi alla sinistra Radicale.

Un grande atto di dignità sarebbe gradito a noi del Nuovo PSI che non condividiamo nulla del Governo Prodi, ma ancora di più sarebbe gradito a tutti gli italiani, che il “professore” faccia davvero gli interessi del Paese e si dimetta.

Non sono tra coloro che ritiene necessario ritornare alle urne subito; probabilmente questa è la soluzione migliore; di sicuro il peggio che possiamo avere noi italiani, e che non meritiamo, è vedere questa lenta agonia di un presidente del Consiglio, che vivendo sulla luna, non si accorge che il tempo è passato, che lui ha finito il suo show e che solo per soddisfare il suo orgoglio l’Italia sta sprofondando sempre di più.

Professore visto che non lo vuol fare per gli Italiani lo faccia almeno per lei: se ne vada.

Dimostrerebbe di essere davvero un Presidente del Consiglio di un grande Paese; diversamente continuerà ad essere quello che è uno che con la Politica non ha proprio niente a che fare.

Franco Spedale  

Le primarie del PD ed il nuovo PSI

Finalmente siamo arrivati al 14 Ottobre; una data che per la politica Italiana può rappresentare un punto di novità.

Credo che un momento di così profonda crisi politico-istituzionale non sia mai capitato nel nostro paese dal dopoguerra ad oggi.

Nemmeno il colpo di Stato di Tangentopoli aveva mostrato i limiti di una classe politica che non si mostra degna di tale nome.

Un Governo, quello di Prodi, che fa rimpiangere i Governi Balneari della Prima Repubblica, che cerca di sopravvivere senza alcuna dignità e senza orgoglio, provocando la lenta agonia di un Paese che già deve affrontare numerose difficoltà.

Si parla di un’imminente caduta del Governo, di una Finanziaria che non sarà approvata, e quindi di un “commisariamento” dello Stato con l’esercizio provvisorio.

Non credo che ciò avverrà così presto, vero è tuttavia che soprattutto nel centrosinistra ogni giorno si vive un imbarazzo crescente.

Le sparate di TPS, i malumori della FIOM, i malesseri della sinistra Radicale che minaccia la rottura sul welfare, Dini che minaccia la sinistra Radicale.

Per non parlare di Mastella, che subisce un attacco mediatico vergognoso, che al di là delle possibili e corrette osservazioni, sembra più una forma di pressione ricattatoria al fine di obbligarlo a votare questo Governo; un tipico atteggiamento integralista del tipo “ o ti adegui o ti massacro”.

Ecco perché, indipendentemente dall’esito, in sé già scontato, e dal numero dei partecipanti, problema interno alle guerre del nuovo soggetto politico, quello delle primarie del PD è un fatto nuovo.

In primo luogo lo è perché è un passo verso la semplificazione del sistema politico verso uno schema bipartitico oltre che bipolare; in secondo luogo perché esso obbliga i protagonisti della nuova formazione politica a trovare una piattaforma programmatica e ad un modo necessariamente nuovo di procedere al confronto sia con gli alleati che con gli avversari.

È auspicabile che il Partito Democratico sia un partito, così come esiste in tutte le civiltà democratiche europee e mondiali, così come lo erano i partiti nella Prima Repubblica in Italia, che abbia una leadership una classe dirigente, che abbia un programma.

Questo non solo gioverebbe alla coalizione di Governo, poiché servirebbe ad evitare equilibrismi e tatticismi inutili e dannosi, ma diventa necessario anche per la CDL che così finalmente si troverebbe obbligata ad un confronto programmatico e culturale rispetto al quale potrebbe far emergere quegli elementi di novità che lo caratterizzano.

E la forte presenza del Partito Democratico ha ovviamente una fondamentale ripercussione sull’area Socialista ed in particolar modo sul futuro del Nuovo PSI.

La collocazione che in qualche maniera cercherà anche di occupare il PD sarà presumibilmente anche quella della storica collocazione dei Socialisti.

Qui per noi si apre uno spazio enorme che se saremo capaci di occupare ci potrà far tornare protagonisti della Politica Italiana.

Finita la fase dell’ambiguità Politica della collocazione e da alcuni giorni conclusosi anche l’imbarazzo della titolarità del nome e del simbolo, i Socialisti del Nuovo PSI devono saper trovare il loro percorso di crescita.

Da socialisti, riformisti, liberali, dobbiamo saper trovare le risposte ai bisogni che avanzano, costruendo un progetto che non sia mirato solo al tamponamento dell’emergente ma che viceversa preveda l’evoluzione della società e ne prevenga i possibili guasti.

Credo che un elemento fondamentale sia quello di ridare autorevolezza alle Istituzioni; tutto passa da lì.

Non vi può essere nessun provvedimento che riguardi la sicurezza se non vi è contemporaneamente autorevolezza dello Stato; uno Stato che troppo spesso viviamo come lontano da noi e come il nostro principale nemico.

Non vi può essere nessun provvedimento che riguardi la rimessa in ordine dei conti dello stato se non vi è un sentimento di uno Stato che tuteli i propri cittadini.

Nella visione dello Stato consiste la grande differenza oggi tra noi e loro.

Noi siamo per uno Stato moderno, agevole, snello, che garantisca i più meritevoli, che protegga i più deboli; ma non siamo per uno Stato ancorato alle vecchie logiche del passato, che non segue la modernità, che non sa prendere atto del progressivo ed inesorabile allungamento della vita e delle problematiche connesse.

Noi siamo perché la Politica abbia un ruolo centrale e non crediamo che screditandola, la vita quotidiana di ognuno di noi migliori; noi siamo per sgomberare le ipocrisie, siamo contro gli opportunismi, siamo per un Paese civile moderno.

Speriamo che Veltroni dia una svolta a questo stallo politico, perché senza confronto serio tutti noi siamo indeboliti.

Speriamo che Veltroni raggiunga quei consensi popolari tali per cui si senta autorizzato a far cadere il Governo, e che si giunga presto ad una nuova consultazione Popolare, pur sapendo che in questo momento la sconfitta per loro sarebbe quasi certa.

Sarebbe un modo nuovo per fare Politica, sarebbe il ritorno degli interessi del cittadino rispetto a quelli personali di un gruppo di persone autoreferenziate e nulla di più.

 

Franco Spedale

 

 

Nuovo PSI LECCO: No “Costituente Comunista”

 

Il 4/ottobre, il Consiglio Nazionale del “Nuovo P.S.I”,conferma coerente la posizione Politica di sostegno alla C.D.L.,ed ha aderito alla federazione di forze politiche che si richiamano agli ideali di democrazia e libertà.

Dal Nuovo P.S.I.,sono usciti alcuni compagni che fanno capo a Gianni De Michelis,ed hanno scelto di confluire nella cosiddetta“costituente socialista”di  Angius e Boselli.

Di fatto,rimarranno in campo due organizzazioni di tradizione socialista:una,dogmatica e conservatrice collocata nell’Unione di Prodi,D’alema,Fassino,Bertinotti,Caruso ed altri; l’altra il “Nuovo P.S.I”.,moderata e riformista che ha avviato il processo di federazione,confermando la scelta di campo all’interno della C.D.L.

Due diverse e legittime posizioni che avranno,anche nella simbologia,diverse espressioni.

Enrico Borselli,con quanti lo hanno seguito e con la rosa del socialismo europeo,rimane ancorato nell’unione di Prodi in compagnia della sinistra massimalista;il “Nuovo P.S.I”.,con il garofano rosso,conferma la posizione con coerenza ed in autonomia ,all’interno della coalizione composta di forze politiche liberal democratiche.

Ormai è chiaro lo scenario Politico,dopo le elezioni al Parlamento Europeo, il N.P.S.I.con alla guida del partito Gianni De Michelis,ha vissuto nel limbo e con l’elezione a Seg. Nazionale di Stefano Caldoro;al Midas di Roma il 23/24 giugno U.S.,è emerso come la contrapposizione non è tra destra e sinistra  ma tra,laici,moderati e riformisti e dogmatici,conservatori ed integralisti.

Il partito di Boselli,scegliendo di confluire a nozze con Gavino Angius,e fare alleanze di coalizione insieme a chi orgogliosamente si ritiene ancora comunista,ha fatto una scelta chiara,facendo emergere quanto poco veritiera sia la motivazione della  riunificazione dei socialisti.

Una costituente seria non può prescindere da quello che è avvenuto negli anni novanta ad opera di coloro i quali sconfitti dalla storia non hanno esitato alla distruzione del glorioso P.S.I.e del suo ultimo segretario Bettino Craxi uno dei più grandi statisti in europa e nel mondo che il nostro paese abbia mai avuto, morto esule in terra straniera.

Il “Nuovo P.S.I.,guidato da Stefano Caldoro ha messo in evidenza l’imbroglio che si cerca di nascondere dietro la pseudo costituente. Enrico Boselli,dica chiaramente che questo è un modo per alzare la voce e chiedere dopo le primarie del Partito Democratico,un ministero al tandem Prodi/Veltroni.

Sulla coerente scelta Politica del Consiglio Nazionale,L’esecutivo provinciale del “Nuovo P.S.I.”ha deciso di programmare una serie di iniziative volte a rilanciare l’azione politica dei socialisti:

 

La prima di queste riguarda il tesseramento 2007 allo scopo di ristrutturare l’organizzazione dei socialisti di Lecco e provincia.

La seconda la convocazione di riunioni informative,organizzative ed operative del “Nuovo P.S.I.”di Lecco.Grazie e cordiali saluti

                                                                                     L’esecutivo della

                                                                                     Federazione Lecco:

                                                                                     Gianmarco Beccalli

                                                                                      Angelo Panzeri

                                                                                      Luigi Monolo

                                                                                      Valentino Mandelli

                                                                                      Lino Guglielmo

 

SOCIALISTI: CALDORO, ROSA CON UNIONE E GAROFANO CON CDL

(ANSA) – ROMA, 6 OTT – ‘Dopo la riunione della Costituente, con la definizione del nuovo nome e del simbolo, si fa piu’ chiaro lo scenario delle forze socialiste’. Lo dichiara Stefano Caldoro, segretario Nazionale del nuovo psi.
‘Due diverse e legittime posizioni politiche che sottolinea – avranno, anche nella simbologia, diverse espressioni. Enrico Boselli, con quanti lo hanno seguito e con la rosa del socialismo europeo, rimane ancorato nell’Unione di Prodi in compagnia della sinistra massimalista. Il
nuovo psi, con il garofano rosso, conferma conclude Caldoro – la opzione riformista della Casa delle Liberta’ con Silvio Berlusconi‘. (ANSA).

Panorama spiega come le coop cercarono di fermare l’esselunga

Alla fine di maggio dell’anno scorso, Bernardo Caprotti, il fondatore dell’Esselunga, mi fece sapere che avrebbe voluto conoscermi. Fu Carlo Rossella a preannunciarmi la telefonata dell’imprenditore che giusto 50 anni fa, con Nelson Rockefeller, portò in Italia i supermarket. «Potremmo vederci a colazione il 14 giugno?». Andai. Il giorno prima era diventato nonno per la quarta volta. Marina, l’ultima dei suoi tre figli, aveva messo al mondo Sofia.

Pranzammo nella mensa aziendale di Limito (Milano), dove ogni giorno Caprotti prende un vassoio e si mette in fila con operai, autisti, impiegati e dirigenti. Jamón iberico («Pata negra, senta che prosciutto»), pizza margherita, pennette pomodoro e basilico, «niente di diverso da quello che mangiano i nostri clienti, qui fuori abbiamo la più grande cucina per piatti pronti del continente, 28 mila metri quadrati». Disse proprio del continente, non d’Europa. Magari in Inghilterra ce n’è una più grande, chissà.

Dopo il caffè, Caprotti mi portò nella Sala della notifica, con tanto di targa ovale d’ottone all’ingresso, «così detta perché è qui che notifico i licenziamenti». Scherzava, ma io allora non potevo saperlo, anzi mi sembrò un’eccentricità congeniale al personaggio, da tutti descritto come burbero, in realtà un gran borghese di 82 anni dal tratto aristocratico, che non dà interviste (tranne quella concessa a Panorama nel marzo 2005, ndr) e ha smesso di partecipare alle assemblee dell’Assolombarda per non farsi fotografare, capace d’irruenza abrasiva solo se gli toccano la sua creatura, Esselunga. Più avanti avrei scoperto che la stanza si chiama in quel modo perché l’ha abbellita con mobili settecenteschi e vedute veneziane di Bernardo Bellotto e Michele Marieschi, scuola del Canaletto, tutte opere d’arte notificate dal ministero dei Beni culturali.

Trasse da una cartella un malloppo di fogli dattiloscritti. Allegato c’era un faldone di rogiti, planimetrie, delibere comunali, lettere, foto, ritagli di giornale. «Mi farebbe piacere se lei ci potesse dare una scorsa. Non ho fretta». Cominciai a leggere. Non credevo ai miei occhi: con prosa nervosa, in bilico fra Ottocento e Duemila, i verbi coniugati alla maniera di Ippolito Nievo e Carlo Emilio Gadda («ebbimo», «fecimo», «diedimo») e lo slang di chi ha imparato il mestiere fra Texas, Maine e Massachusetts, si dipanava un j’accuse implacabile, supportato da documenti inoppugnabili. In un paese normale avrebbe ingolosito anche il più scettico cronista di giudiziaria. Se non altro per la mole dell’imputata: la Lega delle cooperative. Una galassia da 50 miliardi di euro, che vale il 3 per cento del pil nazionale.

C’era il ministero dei Beni culturali, affidato alla diessina Giovanna Melandri, che impedisce l’apertura di un’Esselunga a Bologna, causa ritrovamento di ruderi etruschi durante i lavori di scavo delle fondamenta, mandando all’aria un investimento da 20 milioni, salvo stabilire, sei mesi dopo, che i reperti vanno trasferiti altrove e lì si può tirar su un supermercato Coop.

C’era Mario Zucchelli, il presidente della Coop Estense allargatosi da Ferrara fino alla Puglia, che attraverso una società di comodo strappa un terreno di 192 mila metri quadrati a una gentildonna milanese sopravvissuta alla Shoah, la quale lo aveva ricevuto in donazione nel 1942, dodicenne, prima d’essere deportata ad Auschwitz col padre e con i nonni. E per quest’area di edificabilità commerciale alla periferia di Modena, quindi di valore infinitamente più elevato del produttivo o del residenziale, indispensabile per la costruzione della Coop Grand’Emilia, paga alla signora ebrea appena 1,1 miliardi di lire quando per un pezzo di terra adiacente, due volte e mezzo meno esteso, è costretto a versare all’amministrazione comunale, seppure «amica», la bellezza di 10 miliardi. L’809 per cento in più.

C’era Turiddo Campaini, ascetico ex funzionario del Pci, presidente della Unicoop Firenze fin dai tempi in cui al Cremlino sedeva Leonid Breznev, che in tre anni riesce a fare ciò che l’Esselunga non era riuscita a fare in nove: aprire un supermercato dove prima sorgeva lo stabilimento Superpila, scucendo per la nuda area una cifra impossibile, 29 miliardi di lire. Oltre il triplo dei valori di mercato.

C’era, messa nero su bianco con il puntiglio calvinista di chi in vita sua non ha mai pagato tangenti, una cronistoria emblematica. Le insistenze di Carlo Olmini, dirigente comunista assurto ai vertici della Legacoop, affinché l’Esselunga facesse pubblicità sull’Unità. Gli scioperi a orologeria proclamati dalla Cgil nell’imminenza di Pasqua o di Natale. I picchetti, le occupazioni, i sabotaggi organizzati contro l’unica azienda della grande distribuzione che aveva concesso il lavoro a turni e accordato la riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 40 ore a 37,5 a parità di retribuzione. Gli scontri fisici con i facinorosi «capeggiati da un certo Bulgari, un facchino che lavorava nel magazzino dei formaggi, il quale urlava come un ossesso: “Libertà è aderire alla maggioranza”». I micidiali chiodi tricuspidi, saldati in modo tale che almeno una delle punte rimanesse sempre rivolta verso l’alto, gettati per strada davanti al magazzino di Firenze per squarciare le gomme degli autotreni gialli con la «S» rossa dipinta sulla fiancata, che mandarono a schiantarsi contro il guardrail un camionista. L’aggressione al direttore dell’Argingrosso, sempre in Toscana, Gianfranco Vannini, circondato da un gruppo di sette sindacalisti scalmanati, spintonato, insultato, stramazzato a terra, colto da ictus e rovinato per il resto della vita.

La vicenda dei reperti etruschi spiegava meglio di cento esempi il modus operandi delle Coop in perfetta sincronia ieri con Pci e Pds, oggi con i Ds, «e domani col Pd» non si fa illusioni Caprotti «giacché sono tante le parrocchie, ma una sola è la chiesa, e una sola la cassa». Il 16 novembre 1999 il direttore generale del dicastero retto dalla Melandri appone il vincolo alle «fondazioni di un complesso rustico di età etrusca» venute alla luce nel cantiere aperto dall’Esselunga in via Costa a Bologna. Trattandosi della superficie un tempo occupata dalla premiata ditta Hatù, la parola d’ordine non può che essere una sola: preservare. Quindi divieto di collocare le vestigia in altro luogo protetto. Impossibilità di scavare i garage interrati. Obbligo di rendere visibili al pubblico i reperti archeologici mediante pavimenti di cristallo.

Dopo otto mesi di inutili trattative, nel febbraio 2000 lo stremato Caprotti getta la spugna. Passano appena 60 giorni e il 20 aprile l’area viene rilevata dalla Coop Adriatica presieduta da Pierluigi Stefanini, che di lì a sei anni, fallita la scalata a Bnl, prenderà il posto di Giovanni Consorte al vertice dell’Unipol. Passano altri 15 giorni e il 5 maggio accade un miracolo: il soprintendente ai beni archeologici dell’Emilia-Romagna comunica parere favorevole al «recupero, restauro, trasferimento e valorizzazione dei resti antichi in altra area». Oggi in via Costa a Bologna è operante un supermercato della Coop Adriatica, con i suoi parcheggi interrati e senza pavimenti di cristallo.

«In una gelida mattina di gennaio, sabato 21 per l’esattezza, sono andato di persona alla ricerca dei miei preziosissimi reperti etruschi» mi raccontò Caprotti. «Li ho trovati abbandonati in periferia, vicino al cimitero della Certosa. Dentro un recinto con la base in cemento, sovrastato da una squallida griglia zincata, stavano valorizzati, e coperti da una plastica nera in gran parte nascosta dalle erbacce, i segni di una perduta civiltà».

Sono infinite le astuzie messe in atto da almeno un trentennio pur di sbarrare il passo alla catena di 128 superstore che vanta le vendite più elevate per metro quadrato nell’area dell’euro, pur d’impedire a quel padrone delle ferriere che non le ha mai mandate a dire, che ha sempre difeso le proprie ragioni rivolgendosi direttamente alla clientela con inserzioni sui giornali, di penetrare con i suoi supermarket nelle regioni dove storicamente domina la sinistra. Bruno Cordazzo, presidente della Coop Liguria e consigliere d’amministrazione della Holmo (holding finanziaria guidata dall’onnipresente Zucchelli e posseduta al 100 per cento da 43 cooperative che, tramite la Finsoe, controllano l’Unipol), non si fa scrupolo di rivendicare l’abnorme privativa: «Quando si va in casa di altri, si deve chiedere permesso».

Una perentoria ingiunzione a bussare col cappello in mano. «Tanto, loro la porta non te la aprono» chiosò Caprotti. «Tanto, a pagare il conto sono i consumatori». E mi mostrò le tabelle con i prezzi rilevati da Panel international alla Coop Rivarolo e all’Ipercoop Aquilone di Genova, alla Coop di Sanremo e alla Coop di La Spezia, dove per fare la spesa i liguri devono sborsare fino al 14,9 per cento in più rispetto ai lombardi che si servono all’Esselunga di Milano e addirittura fino al 20,2 per cento in più rispetto ai toscani che si servono all’Esselunga di Firenze.

«Capisce bene che qui non si tratta più soltanto di una distorsione del mercato, bensì del territorio, e permanente» interruppe la mia lettura il presidente dell’Esselunga. «Ma io non sono che un droghiere. Lei, che è giornalista e scrittore, se la sentirebbe di denunciare questo scandalo in un libro? Le metto a disposizione le mie note».

Rifiutai. Ma fui lusingato per la fiducia. Proveniva da un droghiere che mi parlava della synopsis come tecnica irrinunciabile per un saggio del genere, «se vogliamo che anche il tassista capisca, non si può presentare questa roba come se fosse Guerra e pace, che ho letto solo due volte, purtroppo non in russo, perché il russo non lo so»; da un monsieur con i suoi ottant’anni di francese, settanta d’inglese, otto di latino e cinque di greco, abituato a gustarsi il Macbeth, Mark Twain, P.G. Wodehouse, Molière, Stendhal e Maupassant nelle lingue originali. A distanza di 15 mesi, Caprotti ricorda che quel 14 giugno gli dissi: «Questo è un libro che può scrivere soltanto lei, in prima persona. Dall’alto della sua età, del suo silenzio, e dei suoi soldi. Al massimo io riesco a trovarle un editore e un titolo».

È uscito. Falce e carrello, 192 pagine, 56 tavole fuori testo, 12,50 euro. Sottotitolo: Le mani sulla spesa degli italiani. Prefazione di Geminello Alvi. Gliel’ha pubblicato Marsilio. Ma se l’è fatto tutto da solo. Compresa la foto di copertina, che ha voluto realizzare in proprio riempiendo un carrello della spesa con mazzette nei sette diversi tagli dell’euro. «Un piccolo campione del “prestito sociale” delle Coop. Circa 12 miliardi di euro ovvero 24 mila miliardi di lire. Quattrini che le cooperative raccolgono dai soci consumatori, come fossero banche, applicando però sugli interessi la ritenuta di legge riservata ai titoli di Stato, il 12,5 per cento, anziché il 27 dei conti correnti. Una cassa enorme, liberamente spendibile». Con la quale è impossibile competere anche per un imprenditore che conta 4 milioni di clienti fidelizzati, dà lavoro a 17 mila dipendenti, fattura 5 miliardi l’anno e nel 2006 ha incrementato l’utile netto del 67,4 per cento.

Ad Aldo Soldi, presidente dell’Associazione nazionale cooperative di consumatori, Caprotti l’aveva cavallerescamente giurata nel 2006, esasperato dai continui attacchi delle Coop, come sempre rintuzzati a mezzo stampa con dispendiose campagne a pagamento. La lettera era datata 1º dicembre: «La verità è che due anni di indecente gazzarra da lei montata – a fini che a me son ben chiari – sulla nostra azienda e sul suo buon nome, hanno messo in allarme ministri, professori, presidenti… e anche Vecchioni (Federico Vecchioni, presidente nazionale della Confagricoltura, ndr). E noi abbiamo dovuto rispondere. La vostra capacità di mentire e di ribaltare la realtà è illimitata. A me spiace, mi spiace veramente che lei mi costringa a fare qualcosa che non avrei mai immaginato. Rivelerò a molti ingenui, a tante persone in buona fede, chi veramente siete. Lei, Soldi, mi ci avrà costretto.

«Questa è la ragione del mio scritto, questa è stata la mia promessa». Ha mantenuto la parola. Falce e carrello non serve solo a rimarcare come in Italia, a parità di utile lordo, la pressione fiscale sulle cooperative sia del 17 per cento contro il 43 delle società commerciali («Addirittura fino al 2001 questi signori pagavano appena il 10 per cento di tasse. Non è possibile una concorrenza leale in simili condizioni»). Serve anche a far comprendere come l’attacco concentrico contro l’Esselunga, scatenato mentre un Caprotti malato ingaggiava la più dura delle sue battaglie, quella per la sopravvivenza, abbia un regista occulto d’eccezione: Romano Prodi. «Un vecchio che deve lasciare, un seguito, si pensa, che non c’è: quale più facile preda? Ed ecco Prodi che inopinatamente, il 7 febbraio 2006, durante una puntata di Porta a porta, non richiesto enuncia in campagna elettorale l’obbligo per il governo di “mettere insieme” la Coop e l’Esselunga. In qualche modo: quale, non si sa. Disse così: “Abbiamo le Coop, c’è ancora l’Esselunga”. E, incalzato da Bruno Vespa, spiegò: il governo “le può mettere assieme, può aiutarle a fare una politica perché stiano assieme”. Parlava già da presidente del Consiglio. E si capiva già da che parte tirasse».

Uno dei casi denunciati nel libro, quello di Vignola e Spilamberto, località confinanti in provincia di Modena, è assai istruttivo su come si fa il business nelle regioni rosse. L’Esselunga chiede d’insediarsi in una zona prevista dal consiglio comunale di Vignola come «area con destinazione commerciale» e in cambio mette sul tavolo 2,5 milioni di euro per la costruzione di una scuola. Il 31 marzo 2005 la giunta approva l’offerta. «Tempo una settimana» specifica Caprotti «ed ecco che il 7 aprile la Coop Estense, a firma del solito Zucchelli, invia al sindaco di Vignola una lettera con cui lamenta l’insufficienza del locale supermercato Coop e dichiara la propria disponibilità a contribuire a iniziative di pubblica utilità. In particolare, guarda caso, alla realizzazione di un edificio scolastico. Il 7 aprile Zucchelli scrive. Il 7 aprile il sindaco riceve. E, prontissimo, si attiva».

L’8 aprile, con impressionante contestualità, accadono tre fatti. «Alle 17 la giunta di Vignola delibera di conferire mandato al sindaco di valutare l’intervenuta proposta della Coop Estense. Alle 20.30 il consiglio comunale rinvia ogni decisione sull’Esselunga a un’altra seduta fissata per l’11 aprile. Sempre alle 20.30 il consiglio di Spilamberto, senza indugi, adotta una variante al piano regolatore generale che consente alla Coop Estense di realizzare un nuovo supermercato».

Si arriva così all’11 aprile, quando il consiglio di Vignola, ritenuto che la proposta avanzata dalla Coop Estense rappresentasse «un fatto nuovo rispetto alla situazione che s’era sviluppata inizialmente», azzera senza alcuna motivazione l’accordo con Caprotti. «Fra l’ipotizzato insediamento dell’Esselunga a Vignola e la Coop a Spilamberto sono tre minuti d’auto. Il supermercato di Zucchelli avrebbe avuto vita dura con un nostro superstore tanto vicino».

Ma l’epilogo era di là da venire. «Stoppare l’iniziativa altrui non basta. Il 12 gennaio 2007 il “nostro” terreno di Vignola è stato venduto alla Monte Paschi Fiduciaria spa, con sede legale a Siena, società del Monte dei Paschi di Siena, la banca più democratica d’Italia. Consiglieri d’amministrazione della medesima sono Turiddo Campaini, presidente della Unicoop Firenze, e Pierluigi Stefanini, presidente dell’Unipol. Chi ci sia dietro questa fiduciaria è cosa che a noi non è dato sapere. Se ci sarà un magistrato che avrà voglia d’approfondire, forse ce lo dirà». E così, per la prima volta in Italia, un libro presentato alla stampa la mattina viene trasformato dall’autore in esposto e consegnato nel pomeriggio alla magistratura affinché indaghi.

È uscito, ma non doveva neppure uscire, Falce e carrello. Il proprietario dell’Esselunga ci ha lavorato esattamente un anno. Il tempo che la nipote Sofia spegnesse a Londra, lo scorso 13 giugno, la sua prima candelina sulla torta, con una cara amica dei genitori, Madonna, che le cantava Happy birthday tenendo per mano i propri figli. A me, che ho avuto il privilegio di leggere il testo in anteprima, cinque giorni dopo Caprotti ha scritto: «Mi creda, mi sono cimentato. Ero pronto a tutte le correzioni lessicali e grammaticali possibili. E anche a qualcuna di merito. Io firmo, firmavo. Ma io non sono e non voglio fare il giornalista. Basta. Torniamo con i piedi per terra. Anche se il signor Rovagnati, quello del prosciutto Gran Biscotto, l’altro giorno mi ha detto: “Sa, Caprotti, dobbiamo destreggiarci, Parmacotto, Ferrarini, io e gli altri, con quel che rimane del mercato”. Cosa?, ho replicato io, e perché? “Perché tutto il resto è in mano alle Coop”. Come? E non fate niente! E lei, Lorenzetto, che è giovane? Ma forse un foglio su cui scrivere, nel tempo, ancora lo troverà. Sennò le rimarrà sempre il Canton Ticino. Bellinzona è una bellissima città. Io ho chiuso. La prego caldamente di rimandarmi il materiale, scritti e fotografie. È roba mia, non deve rimanere in giro un rigo. Vedrò io se sbattere tutto nella pattumiera o tenere qualcosa in un cassetto, a futura memoria».

Caprotti che si rassegna a vivere in un paese avviato verso il monopolio del prosciutto? Gli ho risposto: «Un libro, quando è scritto, è scritto. Non può in alcun modo essere ricacciato dentro l’anima, né rinchiuso in un cassetto. Va lasciato libero di andare. Sta commettendo uno degli errori più grandi che un uomo della sua età e della sua esperienza possa fare: abbandona il campo. Non è da lei».

Non l’ha abbandonato.

Il perchè il nuovo PSI sta nella cdl

 

 sottoponiamo a tutti i frequentatori del blog l’editorile di Ernesto Galli della Loggia; ne condividiamo il contenuto

 

 

L’eterno mito della diversità

Questione morale e identità della sinistra

di

Ernesto Galli della Loggia

 

 

Non è solo questione di antipolitica. Si ha l’impressione, infatti, che quello che sta accadendo in queste settimane, e che ha avuto un momento esemplare nella seduta di giovedì al Senato, sia qualcosa di più profondo, che viene da lontano. E cioè sia l’ultimo atto di quella disintegrazione del quadro politico e degli attori della prima Repubblica di cui fu un simbolo quindici anni fa Mani pulite. Allora, nel ’92-’93, il terremoto risparmiò per varie ragioni la sinistra di tradizione comunista. Tra queste c’era principalmente il fatto oggettivo che essa aveva avuto responsabilità certo minori nella gestione, e dunque nella degenerazione affaristica, del potere. Aveva anch’essa una grossa colpa, ma di ordine tutto politico: con il suo radicalismo aveva mantenuto il sistema bloccato, privo di alternative. La storia le concesse quindi, benignamente, una inaspettata occasione: le «abbuonò» il radicalismo che ancora la pervadeva concedendole di arrivare a quel governo a cui, con il Caf in piedi, non sarebbe certo mai arrivata. Oggi possiamo dire che quell’occasione la sinistra ex Pci l’ha clamorosamente sprecata. Essa non capì allora, e non ha capito per tutti questi anni, che, in quanto promossa dalla storia a sinistra riformista di governo senza esserlo, il suo primo compito e il suo primo interesse dovevano essere quelli di diventarlo davvero. E cioè di condurre una grande battaglia di rottura culturale rispetto al proprio stesso passato per cancellare dal suo popolo la mentalità radicale, e dunque potenzialmente sempre incline al massimalismo di vario tipo, che fin lì l’aveva caratterizzata.

Mentalità fatta da un conglomerato di idee, di sentimenti, di pulsioni diverse. Per esempio che il governo diverso dal nostro non può che fare leggi orribili le quali vanno subito cancellate; che la richiesta di galera per i delinquenti e di vie silenziose di notte è «di destra»; che l’avversario politico ha una qualità morale differente e in ogni caso neppure comparabile con la nostra; che ogni modifica alla legislazione del lavoro che non ha il placet sindacale è per ciò stesso un attentato alla libertà; che le tasse colpiscono i ricchi e, dunque, «facendoli piangere» non sono mai troppe; che nei confronti degli immigrati clandestini o dei giovani dei centri sociali la legge e l’ordine sono una semplice option, e via di seguito. Invece con questo ammasso di idee, di sentimenti e di pulsioni, radicate da decenni nel popolo di sinistra, nel loro stesso popolo e in qualche misura anche in loro stessi, nella loro identità politica, i dirigenti della sinistra che pure si diceva riformista i conti, in questi quindici anni, hanno accuratamente evitato di farli. Sono rimasti prigionieri di quella che è stata la vera, paralizzante maledizione della cultura di tradizione comunista: il continuismo. Bisognava mantenere la finzione del cammino ininterrotto e soprattutto coerente da Gramsci a Romano Prodi, che tra vini vecchi e otri nuovi, o viceversa, non ci fosse alcuna incompatibilità. Quindi al massimo «svolte», ma mai l’idea che fosse necessario affrontare a muso duro il passato dicendo, anzi gridando, chessò: «Nel ’48 De Gasperi ha salvato la libertà del Paese», ovvero «era giusto, come voleva Craxi, mettere i missili a Comiso » ovvero ancora «la questione morale di Berlinguer era una strada che politicamente non portava da nessuna parte»; e magari aggiungere: «Guardate, cari amici e compagni, ammazzare o essere complici degli assassini forse è peggio che rubare». Invece nulla. A loro parziale attenuante i dirigenti della sinistra ex Pci possono peraltro osservare, e ben a ragione, che né i cattolici democratici né la sinistra non ex Pci, entrambi loro alleati, non li hanno mai incalzati in questa direzione.

Anzi: i primi sono arrivati spesso a scavalcarli strizzando l’occhio a estremismi e estremisti vari (vedi Prodi con Rifondazione), e la seconda ha sempre e solo badato a cercare di egemonizzarli intellettualmente facendosi ogni volta forte delle loro contraddizioni per impartirgli le lezioncine del caso nei suoi sussiegosi articoli di fondo. Il moralismo intinto di demagogia con il quale il popolo di sinistra oggi si avventa feroce contro i Ds, contro il centrosinistra e il suo intero personale politico, è l’altra faccia del radicalismo lasciato così a lungo indisturbato a prosperare. In politica le cose si tengono sempre tutte. Il radicalismo ideologico, in quanto rifiuto del compromesso, della medietà, dell’idea che il mondo non è tutto nero o tutto bianco, essendo cioè rifiuto delle cose così come abitualmente sono (e non possono non essere), è fatto apposta per alimentare l’idea della obbligatoria «diversità» antropologico- morale. Che per essere di sinistra si debba essere «diversi» è l’altra faccia dell’idea che chi non è di sinistra è per ciò stesso moralmente dubbio. Alla «questione morale» si permette così di divenire la vera identità politica della sinistra, mentre la linea politica perennemente in agguato si riduce ad essere il moralismo dei demagoghi.

23 settembre 2007

Grillo e la Fiom: due modi diversi per dire che questa sinistra ha fallito

 

I contrasti all’interno della coalizione che dovrebbe Governare il nostro Paese diventano ogni giorno sempre più pesanti e sempre più insostenibili.

Il confronto all’interno della CGIL con la FIOM che rifiuta l’accordo sul lavoro e attacca Epifani, trovando incredibilmente, non il sostegno di una personalità qualsiasi, bensì direttamente del Presidente della Camera Bertinotti , che probabilmente per meri fini di conservazione dell’elettorato proprio, non esita a prendere le distanze dal Governo che i “suoi” dovrebbero sostenere, mostra la profonda crisi che il Governo attraversa.

Imbarazzante è poi la posizione del Sindaco Bolognese Cofferati, ex segretario CGIL, in cerca di un ruolo Nazionale e pronto a rilanciare la sua figura appannata di Sindaco in disgrazia, che si pone come garante della situazione, scavalcando di fatto il povero Epifani.

Questa vicenda da un lato mostra come il Sindacato debba saper ristrutturarsi nelle sue funzioni, perché da associazione che dovrebbe difendere e tutelare i lavoratori, rischia, avendo un approccio assolutamente integralista e conservatore, di essere invece la tomba del Lavoro e dello sviluppo del nostro Paese.

Credo e anzi sono sicuro che la CGIL saprà affrontare il contrasto interno in senso propositivo, ma ciò non può essere sufficiente se la stessa, ma anche le altre sigle Nazionali, non saprà trovare una proposta di rilancio e di prospettiva che la ponga come un interlocutore vero di qualsiasi Governo e non un manichino imbalsamato se al Governo vi è una parte che loro considerano più vicina.

Lo sviluppo del Paese non può né deve essere smorzato da interessi di parte; esso deve avere capacità di crescita e di equità che devono essere anche sostenute da un confronto proteso al miglioramento della situazione.

Dall’altro mostra come Bertinotti sia più preoccupato a consolidare il proprio elettorato, anche in virtù del prossimo scontro con il Partito Democratico, piuttosto che cercare di dare una prospettiva di successo al Governo che sostiene.

Che ragione vi sarebbe infatti di dare sponda alla FIOM, ramo dei metalmeccanici della CGIL, cui Bertinotti pensa di attingere gran parte dei suoi voti, se non quella di una preparazione ad una competizione elettorale, che evidentemente lo stesso vede prima della scadenza naturale, all’interno della quale la “cosa rossa” per giocare un ruolo il più possibile alla pari con il PD, suo vero antagonista, deve radicalizzare posizioni che oggi appaiono assolutamente anacronistiche.

E ancora con il ministro Ferrero che prende le distanze dal Governo, ma essendo come molti integralisti, poco consequenziale alle proprie decisioni, decide di non dimettersi ed incitare gli immigrati a scendere in piazza contro il Governo.

Vi è poi la strana posizione del “comico”, in tutti i sensi Grillo, che dapprima nell’indifferenza totale della classe politica, che non coglie così il senso di distacco che questo provoca, forse per un forte senso di viltà e inettitudine, crea una manifestazione antipolitica come il V-day, e poi viene invitato (!) alla festa dell’Unità di Milano, dove facendo il suo solito show, spesso di cattivo gusto, attacca tutti i dirigenti della sinistra e cosa incredibile riscuote ovazioni a senso unico.

Credo che questo sia il punto sul quale riflettere maggiormente; non è un problema che il “comico” Grillo dica le sue “grillate”, né tantomeno il modo più o meno educato di dirle; ognuno si esprime come sa e come può, quanto piuttosto la grande insofferenza che ormai tutto l’elettorato dell’attuale maggioranza mostra, essendo disposta a prendere esplicitamente le distanze dalla propria classe dirigente.

Questa credo sia la novità più interessante degli ultimi periodi; i malumori della FIOM, area che possiamo considerare “radicale” della coalizione di Governo, non sono minori dei malumori dei diessini, area da considerare più moderata del centro sinistra.

Entrambe le situazioni sono frutto di un fallimento che questo Governo ogni giorno manifesta sempre di più; un governo che non ha strategia che dà l’impressione di resistere solo per rendite di potere, che non dà l’impressione di avere ricette per sanare e far ripartire questo Paese.

Un Governo che probabilmente cadrà, ma non così presto come si crede, per conflittualità interne che anche l’ecumenico Prodi, non riuscirà più a sanare.

La CDL deve saper prendere la palla al balzo, seguire l’esempio meno recente di Blair e quello tamporalmente più vicino di Sarkozy per rilanciare con forza il progetto di Riforme che tanto serve a questo Paese e che non può più attendere

Sciogliere il Consiglio Regionale della Calabria?

  

In questi ultimi giorni si è sviluppata una iniziativa politica, fortemente evidenziata dal tam tam mediatico, per lo scioglimento anticipato del Consiglio Regionale della Calabria. La motivazione di base di detta iniziativa è il gran numero di indagati che esistono tra i 50 Consiglieri Regionali.

Sull’obiettivo dello scioglimento si può essere d’accordo (e diremo anche perché), ma la motivazione è debolissima e non ci convince per nulla. Sarebbe, infatti, la riproposizione in scala minore, del film già visto, nei primi anni novanta, quando la Magistratura “sciolse” il Parlamento italiano dopo averlo bersagliato di centinaia di avvisi di garanzia. Non a caso si parlò allora di falsa rivoluzione giudiziaria. Il tempo, anche se nel corso degli anni si sono registrati guasti, sconquassi, e decimazioni, metaforiche ed anche fisiche, dei gruppi dirigenti della nazione il più importante dei quali è stato Bettino Craxi, è stato galantuomo: la verità su quel periodo è venuta sempre più marcatamente alla luce.

Non ci interessa, quindi, risolvere i problemi politici della Regione Calabria  delegando alla bisogna la Magistratura calabrese. Non è nello stile dei riformisti un percorso di questo genere. A noi interessa far superare la vergogna di una Giunta, con le armi della politica, perché Loiero tutto sa fare fuorché governare adeguatamente. Del resto cosa ci si aspettava da una aggregazione tutta protesa nell’occupazione sistematica di ogni nicchia di potere, e sempre più impegnata a dipanare le forti tensioni interne alla coalizione che vedono periodicamente gli uni contro gli altri super armati? Finora si sono persi 30 mesi su 60 e si proceda a vista con boutade di ogni genere (in questo Loiero è super maestro, avendo imparato subito la politica degli annunci sperimentata dai DS a livello nazionale) ma senza una reale politica di sviluppo della nostra Regione..

Se da una parte i DS tramite il viceministro Minniti indicano la vecchia e logora strada del contenzioso con Roma e così facendo assolvono le loro sistematiche inettitudini; dall’altra Loiero si è lanciato, dopo il massacro avvenuto in Germania, nella boutade ad effetto qual è stata la richiesta dell’intervento dell’esercito in Calabria contro la mafia.

Nel primo caso vi è la vecchia prassi collaudata nell’allontanare da sè le responsabilità del malgoverno e contro la quale si scagliavano negli decenni passati i comunisti (Minniti dimostra un grande mestiere); dall’altra la ricerca dell’effetto mediatico con la richiesta assurda di intervento dell’esercito per fare cosa? Contro quali divisioni dovrebbe essere impiegato e quindi combattere? E così difficile capire che la mafia o la ‘ndrangheta o la camorra si combattono con lavori di intellingence, con il rafforzamento degli organici della polizia e dei carabinieri, con adeguati reparti di magistratura specializzata nei reati mafiosi, con l’applicazione delle leggi già esistenti, con la confisca dei patrimoni illecitamente realizzati? Suvvia signori non è compito vostro il governo di una Regione e sarebbe, quindi, opportuno che toglieste il disturbo evitando altri guai alla Calabria.

Se scioglimento dev’esserci che lo sia per palese e collaudata incapacità. Ma intanto la Casa delle Libertà avvii una netta riflessione sul suo esserci, prima che ad essere sciolta sia proprio essa. La Calabria ha bisogno di una vera iniziativa politica ed è solo su questo terreno che ci si può confrontare e scontrarsi con i Loiero o i Minniti di turno. Ma in Calabria c’è in piccolo quel che esiste a livello nazionale. Stesso discorso, stesse situazioni. Non governo o al massimo Governo delle tasse. Prodi, come Loiero, non è tempo di sloggiare?

                                                          

                                                                                   Adolfo COLLICE

                                                                  Vice Segretario Nazionale Nuovo PSI

Il buon governo catto-comunista

“ Sta continuando la telenovela, anche se sarebbe più giusto definirlo spettacolo drammatico, della sinistra neogiustizialista e sceriffa. Il fatto che non riescano a trovarsi d’accordo dimostra tutta la debolezza e l’incapacità non solo dell’Esecutivo ma degli stessi sindaci che sono costretti ad affidarsi a misure estemporanee, trovate pubblicitarie o veri e propri atti di forza, per recuperare l’immagine fallimentare dei loro capi-partito al governo. Manca un progetto quadro al proposito, ma ancor più una coesione identitaria sui provvedimenti da prendere. Per cui sono sempre più evidenti  l’inadeguatezza e l’incertezza di questa maggioranza, che  traveste da agnello il Presidente del Consiglio, per nascondere  il lupo marxista che coabita nella stessa casa. Ormai non vi è Comune  governato da qualche “neoilluminata”  giunta cattocomunista, che non si  inventi qualche misura per tamponare i danni creati dall’immobilismo del  Partito Democratico ( Prodi, D’Alema, Rutelli ) al potere.  Il Nuovo Psi che io rappresento in Veneto, è convinto del fatto che continuando a lasciar gestire l’Italia e le istituzioni da questa coalizione, ci si troverà ben presto  a dover affrontare  le sue contraddizioni in modo sempre più profondo e capillare.Oltre alla  giustizia, anche l’istruzione sta andando a rotoli. La scuola deve guardare avanti, non indietro.  Per cui non vanno confusi la disciplina e la cultura, con l’oscurantismo didattico !. L’insegnamento e lo studio, alla fine, devono fornire un utile sapere.  Come si può eludere dall’importanza dell’informatica, di Internet e dell’ Inglese ? Sulla famiglia ed ancor più il mondo giovanile vanno aggiornati i ruoli, rendendoli quanto mai organici  al mondo attuale. Al riguardo la politica, di casta e di censo, è anche oggi  in ritardo, non porta anche i bluejeans. Dovremo stabilire che oltre alle quote rosa dovranno realizzarsi anche le quote verdi, per obbligo istituzionale. Soprattutto verso le nuove generazioni dovremo realizzare, con coraggio, profondi cambiamenti. Una società che non riesce ad attuare  il suo primo articolo costituzionale, deve ricercare  provvedimenti riparatori, deve trovare percorsi che inseriscano tutti i diplomati e laureati nel mondo del lavoro in modo retribuito. Il praticantato ed il volontariato devono diventare  una scelta e non un obbligo. Nostra prima prerogativa sarà quella di batterci per dare alle nuove generazioni sicurezza e tranquillità, riaggiustando, a loro favore,  il costo  e l’età delle pensioni. Non vedo vivacità e sintomi in tale direzione da parte di Prodi e C., impegnati più che altro a svilire, in modo sprezzante,  una legge ( Biagi ) solo perché di non loro approntamento, invece che prenderne il buono che c’è ed eventualmente migliorarla col contributo di tutti i partiti. Sul Fisco, infine, il primo grande errore di questa maggioranza è stato affidarne la gestione ad un Ministro essenzialmente tecnico e poco indigeno. Padoa Schioppa, questo secchione dell’attivo in bilancio, contra ed erga omnes,  non ha ancora capito che se si vuole far girare l’economia e soprattutto le imprese, le tasse  devono calare e non aumentare spaventosamente. Provveda e legiferi, invece,  affinchè il primo indotto di un recupero di risorse siano la diminuzione dei costi  pubblici, il minor costo dell’apparato amministrativo, il miglior uso del patrimonio dello stato. Non si proclami la battaglia all’evasione con l’enfasi di un “wanted “ da Far West. Ma si avvii una riforma che riveda i parametri e le aliquote della tassazione diretta ed indiretta. Bisogna, in primis, convincere i cittadini che lo Stato non è il primo fuorilegge ! Ma non potrà essere questa maggioranza ad avviare un siffatto  processo di maturazione civile, e ristabilire la credibilità del Parlamento, perché limitata, direi quasi impedita, dalla sua stessa conformazione, che vede in essa alleate forze di opposta ispirazione: cattolica e comunista, entrambe da riformare, l’ultima da seppellire. Alla lunga questa coalizione centrifuga ed autodistruttiva non potrà che fare ulteriori  danni al Paese. Per il Nuovo Psi  tale pericolo va scongiurato al più presto, chiarendo a tutti i cittadini, con ogni modo possibile, l’inopportunità, la sconvenienza, dell’ulteriore durata di questo Governo e la necessità di una sua caduta repentina.La prima risposta efficace ed  il più celere rimedio sarà  quello di portare alla guida del Paese una coalizione liberalsocialista oggi rappresentata dalla Cdl.  L’omogeneità riconoscibile e l’ identità progettuale possono essere l’immediata garanzia dell’inversione di tendenza, della risalita dal baratro, dell’uscita dal Medioevo in cui ci hanno portato gli attuali leader  del Compromesso Storico al Governo. 

Angelino  MasinSegretario Regionale Veneto Nuovo Psi