Per una fase Costituente. F.G.

 

E’ indubbio che la politica abbia in sé i tratti della passionalità, della ruvidezza e non di rado della rissosità. Il rapporto tra i due schieramenti, dentro e fuori le Aule parlamentari nell’ultimo decennio della vita politica del Paese, persino negli stessi partiti che ne costituiscono la dorsale, ne è del resto la riprova. Ciò avviene, ed è avvenuto, in molte democrazie contemporanee e nella gran parte delle organizzazioni politiche e degli interessi collettivi.
Laddove c’è confronto, contrasto di posizioni, talvolta conflitto di interessi, aspirazioni di governo o esigenza di rappresentanza, non mancano divisioni e fratture, talvolta separazioni. Queste fibrillazioni permeano il sistema politico e finiscono spesso per coinvolgere le stesse istituzioni, sì da provocare veri e propri strappi istituzionali. Non sempre si arriva alla rottura istituzionale, ma il deficit di funzionamento è tale da indebolirne fatalmente l’azione, la trasparenza e la fiducia.
Molto più frequentemente, certo, avviene all’interno dei partiti, nonostante le regole democratiche e in ogni caso entro certi limiti.
La politica guida e indirizza le istituzioni e, si dice, queste ultime sono le ombre allungate degli uomini. Se così è, non è poi così difficile trovare le ragioni per le quali le nostre istituzioni, nell’ultimo quindicennio, siano state così poco sensibili e instabili nel rappresentare al meglio l’interesse collettivo e generale del Paese.
C’è sempre una parte versus l’altra. Naturalmente il conflitto è parte integrante della democrazia, ne alimenta l’evoluzione e la direzione, spesso il ricambio della classe dirigente. Esso però deve essere metabolizzato, governato, mediato, e non lasciato a sé stesso.
Nei momenti difficili, allorquando il rischio è quello della deflagrazione, almeno nei sistemi politici consolidati e più stabili, più responsabili potremmo dire, si giunge alla frattura e alla separazione in seguito ad un contrasto strisciante, oppure al termine di una divaricazione incomponibile.
La storia dei socialisti in questo Paese, in particolare, ancor prima dell’odierno assetto bipolare -benché esistesse una divisione ben più netta quale quella di Yalta- è ormai nell’immaginario collettivo la storia di una coazione a ripetere.
Nel corso di questo lungo tratto di storia del paese il partito socialista, che più di altri ha promosso e sostenuto i valori ed i princìpi del riformismo socialista, è più volte inciampato in fratture interne, in lacerazioni e in scissioni. Più di una volta si è trovato scosso nelle fondamenta in presenza o a seguito di scelte importanti.
Eppure non sono mancati i momenti in cui, benché su posizioni diverse, nulla ha impedito il formarsi di maggioranze e legittime minoranze. Entrambe con la stessa dignità e il medesimo rispetto, ognuno con la propria responsabilità.
A differenza di ieri, tuttavia, esito evidente di una politica avvelenata dai semi della mutazione che ha permeato il sistema politico e della rappresentanza degli interessi negli ultimi quindici anni – e che si ritrova evidentemente in molte altri soggetti politici –oggi, laddove c’è il dissenso sembra quasi naturale e legittimo che dietro l’angolo vi sia già pronta la trama della delegittimazione, quando non l’agguato politico.
Avviene nella famiglia socialista, ma anche altrove le cose non vanno certo meglio.
Un autorevole Ministro della Repubblica ammette che non parteciperà ai lavori congressuali del proprio partito perchè il confronto interno è ormai diventato una ‘conta tra bande’. La stessa costruzione del PD, che pure dovrebbe essere il contenitore e la piattaforma del ‘nuovo’ soggetto riformista-liberale-democratico del paese appare sempre più un lungo e contradittorio negoziato di elìte.
Vi è dunque una questione di carattere più generale, che riguarda sì i socialisti ma che finisce per coinvolgere in realtà il sistema dei partiti in quanto tali. Quando i socialisti parlarono di Grande Riforma intendevano anche questo.
Più di una volta i socialisti sono stati dilaniati per eterodirezione, e sull’argomento c’è da porsi forse oggi una domanda: sono stati bravi gli ispiratori nei loro progetti di frantumazione del PSI, o sono stati viceversa incapaci i socialisti di difendersi, di difendere sé stessi, la propria identità e autonomia da queste scorrerie esterne?
E’ forse una questione antropologica, fine a sé stessa, o la risposta non va forse rintracciata nel fatto che in questo lungo percorso il riformismo socialista, quello che fa riferimento da sempre al socialismo europeo -il quale ancora oggi rappresenta una delle esperienze politiche più feconde e originali della vecchia Europa – al di là delle percentuali elettorali, è una fattispecie da controllare e manomettere perché rappresenta un dinamismo culturale e politico tanto fecondo da rappresentare un insidia per il confronto politico?
La bagarre del Consiglio Nazionale del Nuovo PSI rappresenta bene, purtroppo, un metodo ed un costume della politica che si è andato via via dilagando e che sembra ormai completamente sfuggire alla responsabilità alla quale sarebbe in realtà chiamata la politica, alla sua stessa ragion d’essere.
Vi è un debordamento fuori controllo, una fragilità, un deragliamento dalle regole di autogoverno responsabile che non corrisponde più alla politica che dovrebbe interpretare, mediare, portare a sintesi i contrasti e le contraddizioni di una realtà contemporanea sempre più complessa, e guidare poi le istituzioni con i propri uomini. A larga parte della politica sembra ormai interessi più che l’esercizio della rappresentanza la ricerca di ‘zone franche’, di extraterritorialità di giudizio e di verifica.
Il nesso causale tra instabilità istituzionale, sfaldamento del sistema politico e la diffusa insofferenza e indifferenza dei cittadini nei confronti della politica è da rintracciare in questo metodo, in questa sindrome; vale a dire in una politica che sembra ormai completamente avvitata su sé stessa in un percorso di autoreferenzialità, scollata da una società reale che va avanti nonostante la politica.
Nella comunità del Nuovo PSI, per tornare al Consiglio Nazionale di pochi giorni fa, la responsabilità di quel che è avvenuto è da ascrivere non tanto ai casseur che si sono prestati all’opera, quanto agli ispiratori che ne hanno guidato e preparato l’azione.
Quel che appare paradossale è il fatto che proprio nell’istante in cui, in seguito al lungo logoramento della Seconda Repubblica, riemerge con forza –per un insieme di ragioni- la ‘questione’ socialista (al pari della questione di quale democrazia dell’alternanza) e dunque l’opportunità di riavviare le condizioni per la ricostruzione una grande, ampia forza socialista e riformista quale esiste in tutti i paesi europei, in grado di riportare la politica e le istituzioni nel suo binario più corretto, siano proprio i socialisti a non essere all’altezza della sfida.
Di fronte a un sistema politico che ormai sbanda quotidianamente, ed a un sistema istituzionale che dovrebbe ritrovare maggior equilibrio, c’è oggi l’opportunità di rilanciare un’azione che, messa in campo sin dal Congresso di Bari del 1991, non ha potuto dispiegarsi perché bruscamente interrotta.
E’ giunto il tempo di rimettere in piedi e insieme la famiglia socialista, nell’alveo del PSE, al pari delle altre grandi esperienze socialiste, socialdemocratiche e laburiste europee. Sia con coloro i quali vengono da quella tradizione e da quella esperienza- e che oggi da dirigenti, semplici militanti o elettori aderiscono a varie formazioni politiche – sia con la ricomposizione della diaspora, sia infine con tutti coloro i quali non condividono il percorso e il progetto indistinto e a fusione fredda del Partito Democratico.
La Costituente Socialista è e può essere il cantiere attraverso il quale rimettere in moto un processo che guardi al futuro del Paese, non al suo passato.
E’ il cantiere dal quale tracciare un’azione forte per il ritorno della Politica alla sua vera ragion d’essere, per rilanciare una sfida per la modernizzazione del paese, per interpretare le nuove domande di cambiamento che vengono dalla società civile, per promuovere e sostenere delle risposte alle tante questioni economiche, sociali e civili ancora aperte; per contribuire a rimodellare il quadro politico intorno ad un assetto più omogeneo e meno conflittuale, e rivisitare il sistema istituzionale intorno ad un progetto di riforma credibile e autorevole.
Il Nuovo PSI di certo non può attardarsi. Dopo il CN, privo di una votazione certificata, vi è in primo luogo l’esigenza e l’urgenza di un ripristino delle regole del gioco; il ritorno ad un autogoverno responsabile che non significa unanimismo di maniera ma confronto aperto, netto, anche aspro se necessario. Non una conta tribale, ma la legittimità a confrontarsi su posizioni di maggioranza o minoranza, legittimamente validate, qualora non vi siano le condizioni per convergenze consensuali.
Da tempo si è impressa una netta distanza e distinzione da quella che era la Casa delle Libertà, che persino per Buttiglione e Casini non esiste ormai più.
Coloro i quali ‘senza sè e senza ma’ ritenessero, anacronisticamente, che quella ‘transitoria alleanza’ debba avere ancora un seguito, lo dicano apertamente, senza infingimenti né manovre sotto il tavolo. Deve essere altrettanto chiaro che non c’è e non ci sarà alcuno spazio per un’altra aggressione di casseur volta alla delegittimazione del Nuovo PSI e del suo segretario.
Se il Partito deciderà quanto prima di aderire alla fase della Costituente socialista in funzione della ricostituzione di una larga e ampia forza politica socialista e riformista, naturalmente all’interno del PSE – come penso siano convinti la gran parte dei suoi dirigenti ed elettori- questo potrà avvenire consensualmente, se il dibattito interno lo consentirà nonostante le indebite interferenze esterne – o a maggioranza.
La minoranza, legittimamente, potrà dissentire, non aderire, scegliere un’altra strada, ma in ogni caso non potrà pretendere di impantanare o impedire questo percorso di riaggregazione intorno ad un progetto autenticamente riformista, né troverà terreno fertile per impossessarsi di un identità indivisibile che appartiene solo ed esclusivamente alla storia politica del Paese.

F. G.

Pubblicato da

Franco Spedale

Franco Spedale - Medico Vice Segretario Nazionale del Nuovo PSI

2 commenti su “Per una fase Costituente. F.G.”

  1. Che dire il ragionamento di Fabrizo Grauso non lascia adito a dubbi…loro sono pronti a stare con questa sinistra, noi invece ribadiamo che se non vi è un mutamento delle condizioni politiche non v’è ragione per non riconfermare l’alleanza con la CDL

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