IL PONTE E’ STRATEGICO PER L’ITALIA E PER IL MEDITERRANEO

C’è sempre un problema da sbandierare per tentare di bloccare la costruzione del Ponte sullo Stretto, sopratutto quando le leve del potere decisionale sono in mano diverse da quelle del signor Prodi che, non andando tanto per il sottile, ha bloccato, senza alcun ritegno, una gara già vinta facendo perdere, circa tre anni, al processo realizzativo.

Oggi, fuori dal Governo, le tentano tutte giovando spregiudicatamente sulle disgrazie della povera gente. Dopo il terremoto dell’Abruzzo, infatti, hanno gridato ai quattro venti che mancando i soldi per la ricostruzione era necessario rinviare di qualche anno le opere infrastrutturali di grande peso; poi dopo la tragedia dell’alluvione a Messina si sono battuti il petto alzando alti lai per richiedere che invece di opere faraoniche (!) si pensasse, prioritariamente, alla difesa del territorio. Ed anche Loiero, pur non avendo una sciagura che lo interessasse direttamente, ha chiesto, al posto del Ponte, la difesa del suolo per evitare quel che è successo a Messina.

Parafrasando Manzoni sembrano i ‘bravi’ di don Rodrigo con il loro minaccioso ‘questo Ponte non sa da fare’, non comprendendo che dall’altra parte non c’è un don Abbondio, ma un Governo ed una maggioranza che hanno deciso di sbloccare tutte le grandi opere che sono chiaramente indispensabili per la crescita e lo sviluppo del Paese e altrettanto utili per combattere la recessione. Nel caso del Ponte poi, o sono incapaci o sono in malafede: il Ponte, infatti, non è un’opera di regime, ma un’opera strategica per lo sviluppo del Mezzogiorno.

L’aver poi saputo affrontare, da parte del Governo Berlusconi, con determinazione e visibili risultati, sia il dramma dell’Abruzzo che la tragedia di Giampilieri, ha dimostrato che non c’è contrasto tra gli interventi di emergenza e la realizzazione di opere strategiche per il Paese. L’Italia non è poi così disastrata da finire in ginocchio per un terremoto, pur severo, come quello dell’Aquila; né viene distrutto per le disgrazie alluvionali, e quindi non è obbligato a scegliere le priorità da affrontare. Se così non fosse, di sicuro, non saremmo la settima potenza industriale del mondo, e non guarderemmo sempre avanti. E con il Ponte continuiamo a farlo.

Il primo meeting delle città del Mediterraneo, tenutosi a Reggio Calabria, lo ha confermato. L’interesse dell’uditorio e delle delegazioni presenti per il travolgente intervento del Commissario Straordinario per il Ponte, Pietro Ciucci, ne è stata una conferma, come conferma è l’assedio subito da Ciucci da parte della stampa. A nessuno, infatti, può sfuggire, se non è annebbiato da una persistente retorica negativa, l’indispensabilità dell’opera che ha spinto il governo a riprendere e accelerare l’iter del Ponte che va letto per quello che effettivamente è: il non voler rinunciare ad una scelta strategica che può determinare una grande inversione di tendenza per l’intero Mezzogiorno.

Smettiamola dice Pietro Ciucci con la mistificazione e gli imbrogli “quello del 23 dicembre è un appuntamento reale e importante, e si tratta davvero della posa della prima pietra del Ponte sullo Stretto”. Duro, quindi, nella polemica e in difesa dell’opera che non serve solo a unire le aree limitrofe di Reggio e Messina, e che sarà anche una grande attrattiva turistica. Il Ponte come rileva Zamberletti, Presidente del CdA Stretto di Messina Spa, ”è particolarmente strategico per il Sud perché, con il completamento del programma di alta velocità, il Mezzogiorno sarà collegato con il sistema ferroviario europeo rappresentando così un importante fattore di sviluppo per tutte le regioni meridionali”. La vera novità del Ponte, rileva ancora Zamberletti, ”è che si tratta di un ponte ferroviario, e non solo stradale, che permetterà ai porti siciliani di diventare porti europei strategici con un grande vantaggio per quanto riguarda i costi di trasporto delle merci. Le merci in partenza dalla Germania e dirette verso l’Oriente, ad esempio, guadagnerebbero cinque-sei giorni di navigazione se dopo un transito in treno venissero imbarcati in Sicilia”.
Nel Mediterraneo oggi transita il 30% del commercio mondiale dal Nord Europa al Medio e Estremo Oriente, e viceversa, per cui da subito bisogna rendere efficiente il corridoio 1, deciso dall’UE, e di cui il Ponte è parte integrante. Col Ponte, quindi, si darebbe l’avvio a grandi opere di infrastrutturazione a monte e a valle, e con esso sarà indispensabile collegare Calabria e Sicilia all’Alta velocità rendendo appetibile il corridoio Berlino-Palermo, e togliendo le regioni periferiche del Paese dal perenne isolamento in cui si trovano.

Chi grida contro il Ponte, anche con la diffusione di paure per le infiltrazioni mafiose che uno Stato forte può e deve saper controllare, è un nemico vero, giurato e in malafede. E’ chiaramente un nemico della Calabria, del Mezzogiorno e dell’Italia. Che lo siano i Verdi passi, ma che lo diventi anche Loiero è veramente il colmo.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 21.10.2009

NON RIESCONO A GUARDARE OLTRE IL PROPRIO NASO

Da quello che si capisce erano andati (la sinistra e i suoi giornali) a suonare e sono stati suonati. Credevano di distruggere il premier con il colpo finale della bocciatura del Lodo Alfano (con relativi sogni fatti di processi, condanne ed arresti) e si trovano ad aver regalato allo stesso premier un percorso che lo porta dritto dritto alla prescrizione dei reati, quelli che si continua a volergli cucire addosso con la speranza, però ormai in soffitta, di liquidare il ‘nemico’ per via giudiziaria. Credono che ciò basti a cambiare la testa degli italiani che non vogliono sentir parlare di ‘sinistra’ comunque mimetizzata. La verità è che non riescono a guardare al di là del proprio naso.

E’ successo come per gli ultimi referendum, quelli elettorali, che, alla fine, gli stessi organizzatori (Di Pietro e &), dopo aver raccolto centinaia di migliaia di firme, hanno scelto di boicottare. Si son resi conto in ritardo, ma la colpa è di madre natura, che con l’approvazione di quei referendum regalavano la maggioranza assoluta all’odiato Berlusconi. Ricordiamo tutti che uno dei quesiti prevedeva la concessione del premio di maggioranza non alla coalizione ma al partito che avrebbe preso più voti e cioè al PdL.

Stesso film anche oggi, con la differenza che ieri ci fu la ciambella di salvataggio di un referendum fallito, mentre oggi il pronunciamento della Consulta non può più essere modificato e le conseguenze, dal loro punto di vista, saranno disastrose. Con il Lodo Alfano, Berlusconi e le altre alte cariche dello Stato non potevano essere processati nel periodo di assolvimento del loro incarico, e in quel periodo il decorrere del tempo sarebbe stato bloccato. Era un meccanismo che permetteva la guida del paese senza scossoni, garantiva tranquillità nel ruolo istituzionale e consentiva, successivamente, lo svolgimento dei processi senza ledere anche la garanzia della difesa. Processi e riavvio del tempo, infatti, sarebbero stati ripresi solo alla fine del mandato istituzionale.

Con l’abolizione del Lodo lo scenario è totalmente cambiato e con esso la stessa sorte del Cavaliere (o meglio la sorte del poter governare tranquillamente) per cui si acquietino gli assetati di sangue, e si tranquillizzino i preoccupati. Il perché è presto detto, dato che è la stessa Consulta che, forse, preoccupata dal gran ‘casino’ determinatosi, sembra voglia indicare la via d’uscita rappresentata da quanto scritto nella sentenza Previti. La Corte Costituzionale, infatti, aveva scritto che, nel caso un imputato sia anche componente di un ramo del Parlamento, il giudice ha “l’ònere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari“.

Muovendo dalla sentenza di quattro anni fa – secondo quanto trapelato da ambienti vicini alla Corte, che affronterà l’argomento nel motivare la bocciatura del lodo Alfano – il conflitto tra esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello Stato potrebbe essere risolto senza violare il principio di uguaglianza: i processi a Berlusconi, ad esempio, andrebbero avanti, ma i giudici avrebbero l’obbligo di fissare, d’intesa con il premier, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del Presidente del Consiglio, in modo da evitare coincidenze e non compromettere il diritto di difesa.

Ora, non sfugge a nessuno che l’agenda degli impegni istituzionali del premier è così piena che il Presidente, a volte, è costretto a scegliere tra sedute del Parlamento (Camera e Senato), Consigli dei Ministri, riunioni internazionali (Onu e UE), incontri bilaterali, visite a stati esteri, interventi nelle zone in ‘emergenza’ (Abruzzo e Messina), rapporti con le forze sociali e iniziative varie. Il tempo volerà e con la prescrizione gli assetati di sangue resteranno a bocca asciutta.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 17.10.2009

VICENDA LODO: TERTIUM NON DATUR

A caldo sembra che tutto possa essere ricondotto a due ipotesi: o la capacità della ‘moral suasion’ del Presidente Napolitano è pari a zero, oppure ha bluffato platealmente ‘prendendo in giro’ il Presidente Berlusconi come lui stesso ha declamato ai quattro venti. Nel primo caso si tratterebbe, evidentemente, di pura e semplice incapacità, mentre nel secondo può intravedersi una furbizia non cònsona, però, al ruolo ricoperto.

Tertium non datur. Non esistono, infatti, altre ipotesi credibili come quella di una semplice ingenuità di Napolitano e di una sua sconsiderata fiducia verso il proprio staff organizzativo e politico. Egli è troppo intelligente per ‘fidarsi’ e non controllare di persona l’iter di problemi delicati che interessano il Paese. E’ un politico di lungo corso e non uno sprovveduto che, per caso, è diventato Presidente della Repubblica. E chiaro, quindi, che viene a cadere, senza possibilità d’appello, l’ipotesi della sua incapacità.

Resta l’altra ipotesi, quella d’aver voluto tenere buono il Cavaliere, ben sapendo, a priori, come sarebbe andata a finire. Del resto, basta un pizzico d’analisi per rendersi conto che stavolta sembra esserci stato il richiamo della foresta, con l’obiettivo errato, di buttare, in pasto alle belve, un Presidente del Consiglio che l’Italia ama, apprezza e sostiene per le indubbie capacità operative, il movimentismo costruttivo e il saper realizzare. L’immondizia di Napoli e il terremoto dell’Abruzzo sono le cartine di tornasole delle sue capacità. Ha solo il difetto (!) di non aver voluto sottostare ai voleri dei poteri forti che in Italia continuano a dettar legge.

Ma andiamo oltre l’epidermide. Il voto sul lodo Alfano è stato di 9 a 6, per cui con lo spostamento di due voti si ribaltava la decisione. Il responso finale sarebbe stato: 7 a 8. Tralascio i membri della Consulta dichiaratamente talebani per i propri trascorsi politici, caratterizzati non solo da militanza di sinistra ma anche da attività antiberlusconiana, e mi soffermo solo su due membri della Corte che meritano una riflessione: Francesco Amirante e Paolo Grossi.

Il primo, Francesco Amirante, è nella Corte dal 2001 e proviene dalla Cassazione. Fu relatore nel 2004 del lodo Schifani che fu bocciato non con la motivazione ch’era legge ordinaria e non legge costituzionale, ma con rilievi che il Parlamento ha accolto in toto determinando la firma di promulga di Napolitano che con un ‘accompagno’ metteva in rilievo questa circostanza. L’aver cambiato oggi il proprio orientamento suona come conseguenza di una ‘moral suasion’ all’incontrario.

Il secondo, Paolo Grossi, nella Consulta dal febbraio 2009 per nomina di Giorgio Napolitano è il caso più eclatante. Egli non è stato nominato molti anni fa, per cui, di sicuro, era fuori dalla sindrome di appartenenza per motivi di riconoscenza, ma è stato nominato solo da pochi mesi. Sembra paradossale il suo atteggiamento che chiaramente ha contribuito a colpire prima di Berlusconi lo stesso Presidente della Repubblica che è sembrato essere stato sbeffeggiato dal pronunciamento della Corte. Le conseguenze del quale sono, nell’immediato, la tensione determinatasi tra Palazzo Chigi e Colle che addirittura ha portato, si dice, il Presidente della Repubblica a disertare il funerale di Messina per non incontrare il premier.

Successivamente, però, quello di sottrarre tempo al governo del Paese per permettere a Berlusconi di potersi difendere, da subito, dagli assalti giacobini. Permettere questa difesa fuori dagli impegni di governo, fra qualche anno, è stato presentato come uno scandalo! Ma a loro che importa del Paese? Sono beati e contenti, da Di Pietro, a Franceschini, a Bersani, a Santoro e compagnia cantando. Si, sono contenti che il buon governo debba essere limitato.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 10.10.2009

BAFFINO PENSA CHE IL POPOLO SIA BUE

No, non c’è speranza che la sinistra possa emendarsi dai suoi errori. Aver per lungo tempo teorizzato la propria superiorità l’ha spinta a considerarsi l’unica detentrice della verità, mentre gli altri erano e, per loro, continuano ad essere, solo un sottoprodotto da non degnare di alcuna considerazione. E non ci si riferisce solo allo sprezzante giudizio che la sinistra, comunque rappresentata, esprime nei confronti degli avversari, ma anche a quello che viene espresso nei confronti degli elettori quando non rispondono alle sirene sinistrorse.
C’è chi, senza nascondersi dietro al dito, esprime disprezzo verso chi non la pensa nel suo stesso modo, e chi invece, nascondendosi dietro a pseudo ragionamenti politici, usa più cautela, ma denuncia un truffaldino tentativo di una inutile “captatio benevolentie”.

Gli esempi più palesi di chi si trova nel primo gruppo non è rappresentato da quel talebano di un Michele Santoro che ha un pedigree chiaro e netto come il piazzista Beppe Grillo o la pasionaria Sabrina Guzzanti, ma da personaggi vestiti da aureole di grandi giornalisti o di grandi intellettuali come il guru Giorgio Bocca o l’architetto Fuksas. Il primo riferendosi ai cittadini italiani, quando impazzavano i referendum che lui non condivideva sentenziava, senza possibilità d’appello, che “non si affidano le sorti del Paese a trenta milioni di analfabeti di ritorno”, e in questi giorni ha risentenziato, ad Annozero, che in Italia ci si trova dinanzi ad una massa di incoscienti contagiati dal berlusconismo e che votano centrodestra solo perché inseguono il vergognoso modello del signore di Arcore. E Fuksas, prima di lui, aveva calcato la mano chiamando gli italiani, sol perché avevano fatto vincere Berlusconi, beceri e ignoranti. I due pensano che basti il loro ruolo di intellettuali per far digerire agli italiani ogni offesa e ogni doppiopesismo come quando si afferma che il popolo, per esempio, è mafioso se a Palermo o a Reggio Calabria vota PdL, diventa progressista se vota a sinistra.

Tra quelli, invece, che appartengono al secondo gruppo c’è la schiera di coloro che pensano d’essere politici fini e che nascondendosi dietro un dito siano capaci di aprire varchi nel fronte avversario. Il massimo di questa categoria è proprio un Massimo di solo nome, quel D’Alema che per anni ha dileggiato, attaccato e martirizzato il popolo socialista e che, oggi, afferma urbi et orbi di ‘non essere comunista ma socialista’ e di aver sempre considerato Craxi come un possibile e necessario alleato.

Il signore di Gallipoli fa finta di dimenticare che il suo odio contro i socialisti è così profondo da fargli scartare, in Italia, la stessa parola socialista dal nome del proprio partito o del proprio raggruppamento elettorale (Pci, Pds, Ds e Pd oltre a Progressisti, Ulivo e quant’altro), e d’aver sempre osteggiato la politica di Bettino Craxi, dal taglio dei 4 punti di scala mobile che ha contribuito a bloccare l’inflazione a due cifre che imperversava nel nostro Paese, alla scelta di dislocare i missili Cruise a Comiso che hanno fatto smantellare gli SS20 schierati dall’Urss contro le capitali europee.

Il lider maximo, meritandosi l’appellativo di smemorato di Gallipoli, rimuove la vicenda del via libera, richiesta a Craxi, per il proprio ingresso nel PSE, e cancella la sua inattività, come Presidente del Consiglio, per salvare l’uomo che oggi, da morto, dichiara che avrebbe voluto alleato. Egli così facendo offende Bettino, offende quei dirigenti che a lui si sentono ancora legati, e offende in modo irrecuperabile quel popolo socialista che non è poi così ignorante, becero, troglodita, bue come, col suo vergognoso tentativo di “captatio benevolentiae”, immagina che sia. E’ un popolo che non si è per nulla impaurito dall’andare nell’area moderata capeggiata da Silvio Berlusconi che D’Alema considerò “sviluppo del craxismo e non semplice prosecuzione dello stesso. Intreccio tra affari e politica che è la versione plebiscitaria del craxismo”.
D’Alema dimostra d’essere peggio dei Bocca o dei Fuksas.

NESSUNA SPERANZA DI UN CONFRONTO CIVILE

No, l’Italia non è un Paese normale. Forse lo è stato, ma oggi non più, e non per responsabilità, ovviamente, della propria gente, ma per la chiusura mentale di un’opposizione senza alcuna capacità politica avendo scelto di cavalcare ogni bestialità pur di attaccare, vera e propria ossessione, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi o, più vergognosamente, avendo scelto di farsi dettare la linea da altri e farsi trainare nel ridicolo.

Nel mondo occidentale e in ogni paese democratico, c’è una maggioranza e c’è un’opposizione. E in ognuno, la prima governa, la seconda sviluppa il proprio ruolo negli spazi e nei modi che la democrazia gli riserva e, quindi, si oppone decisamente a provvedimenti della maggioranza che contrastino con le proprie scelte politiche, ideologiche, etiche e religiose; si batte per modificarne altri, migliorandoli dal proprio punto di vista; ma si associa, senza tentennamenti, a provvedimenti che non sono né di destra, né di sinistra, ma necessari e urgenti per zone del Paese o frange di popolazione, e quando questi diventano realtà partecipa ai conseguenti festeggiamenti considerandoli frutto anche del proprio impegno.

In Italia, invece, ci si oppone ferocemente a tutto, in particolare a quanto propone la maggioranza il cui leader è Berlusconi. E poi si attende, speranzosi, che tutto si riduca ad un colossale flop per poter scatenare il relativo putiferio. Ma se, casomai, il flop non c’è, allora si perde il lume della ragione e si tenta disperatamente di creare il ‘casus belli’, di sviare l’attenzione, di creare tensioni, costruire martiri, santificare vere e proprie nullità, e dare addosso, come si dice al mio paese, all’ortolano cioè al Presidente del Consiglio.

Non è vero? Guardiamo assieme le vicende del terremoto de l’Aquila. La sinistra ha sperato, disperatamente, che gli ‘impegni’ assunti dal premier fossero un grande bluff e attendeva speranzosa, sulla sponda del fiume, il passaggio del cadavere nemico. Ma quando la realtà della concretezza degli impegni ha lacerato le speranze ‘gufiste’, apriti cielo: tutti ad abbaiare alla luna, e anziché gioire per il nuovo giorno che si apriva sugli aquilani, che avevano patito lutti e disagi, si avviava un meccanismo da sindrome degli esclusi che fa pensare impossibile un ritorno alla ragione. No, non c’è speranza che ciò avvenga. Nessuna speranza di un confronto civile.

Floris grida che c’è un vero attentato all’informazione per lo spostamento del suo Ballarò di due giorni; Franceschini, prima con sarcasmo, considera gli aquilani ‘comparse’ di uno spettacolo solo mediatico, poi paragona l’Italia alla Romania di Ceausescu e, infine, decide di sottrarsi alla trasmissione ‘Porta a Porta’ dove rischiava d’essere stritolato dalla forza dei fatti; strepita Santoro offendendo ed aggredendo il premier; e si stanno preparando alla chiamata alle armi i soliti Fo, Bocca, Camilleri, Mauro, Travaglio e quant’altri che, bisogna capirli, sono stati spiazzati da un risultato inatteso. C’erano stati troppi esempi negativi dal Belice, all’Irpinia, alle Marche per scommettere in modo diverso.

E’ avvenuto come a Napoli con la spazzatura. Anche là per esempio il guru Santoro disse che l’operazione non era fattibile e che Berlusconi era un grande imbroglione. Ne era tanto convinto che disse addirittura che se il premier fosse riuscito nella quadratura del cerchio si sarebbe messo in mutande. Berlusconi con Bertolaso riuscì nell’operazione e Santoro ha dovuto difendersi con i si, però. Povera sinistra, ma soprattutto povera Italia alla ricerca di una normalità che difficilmente potrà ritrovare in tempi brevi.

Anche se l’appello alla fine dell’odio giunge dal Vescovo dell’Aquila con un netto: ‘gli abruzzesi sono stanchi delle chiacchiere sterili e della politica dell’odio’ c’è sempre una Pezzopane che non rinuncia a spargere il proprio veleno.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 16.9.2009

PER D’ALEMA LA LIBERTA’ E’ UN BAVAGLIO AGLI AVVERSARI

La cosiddetta sinistra, oggi democrat , continua imperterrita a mordersi la coda. Prima blatera sulla libertà d’informazione nel nostro Paese, e lo fa facendo scendere in campo tutti i propri pezzi da novanta (si fa per dire), parafrasando un vecchio detto che recita: “quando la lotta si fa dura, i duri scendono in campo”. Poi riapre l’armamentario anti Berlusconi senza alcun freno trovando ospitalità e risalto nella grande maggioranza dei media italiani.

Soprattutto questo trito e ritrito attacco al premier è la dimostrazione della falsità della mancanza di libertà d’informazione che è, semplicemente, una bufala anche se ad affermarla si è speso lui, il più duro di tutti, il leader maximo, il Massimo D’Alema che sa egregiamente mischiare gli ingredienti per usare, quel che esce, anche come pietanza nell’imminente Congresso nazionale del suo partito e a sostegno del proprio candidato, l’on. Pierluigi Bersani.

Sapendo perfettamente che quel che rimane delle truppe che, baldanzosamente, scorazzavano per l’Italia, ragiona soprattutto con la pancia, tira fuori tutto il suo armamentario velenoso, sarcastico ed aggressivo nei confronti del suo principale avversario-nemico. Lo fa per non farsi scavalcare a ‘sinistra’ né all’interno da Marino e dal novello profeta Franceschini, né all’esterno dal sanguisuga Antonio Di Pietro che infatti dichiara che ‘finalmente cominciano a rendersi conto (nel PD ndr) che Berlusconi è un male e va fermato, non con meno ma con più antiberlusconismo’. Quindi per problemi interni si cavalca l’antiberlusconismo.

Il leader maximo, il giorno prima aveva decisamente respinto (polemica con Napolitano?) l’invito ad abbassare i toni con la motivazione che se bisogna abbassare i toni “dovreste dirlo al Direttore del Giornale, al Direttore di Libero e soprattutto al mandante dell’uno e dell’altro” dimostrando, ancora una volta, la rozzezza del proprio linguaggio e la propria chiusura mentale. Quando si afferma, infatti, che Feltri e Belpietro hanno un mandante e scrivono sotto dettatura, indirettamente è come dire che gli altri giornali (Corriere, la Repubblica, Il Sole-24 ore, l’Unità, Avvenire, Stampa, per citarne alcuni) non hanno ‘mandanti’ e scrivono quel che vogliono confermando che in Italia non c’è il bavaglio dell’informazione.

Ma se così stanno le cose a chi la canta il terzo candidato alla Segreteria del PD, Ignazio Marino, quando afferma: “Se dovessimo oggi chiedere l’accesso all’Unione europea, siccome per accedere è necessario come requisito quello di una stampa libera, noi non avremmo quel requisito”. Per Marino, quindi, anche gli altri giornali (la maggioranza) scrivono sotto dettatura. Verrebbe voglia di dire: mettevi d’accordo, innanzitutto, tra di voi, ma poi ci sovviene che anche Marino è a caccia di voti congressuali e, quindi, è in gara a chi le spara più grosse.

La verità, aldilà delle tattiche, è che vi è un “imbarbarimento dell’intreccio politico-mediatico” e la “responsabilità – come dice l’Associazione di giornalisti Lettera 22 con 400 iscritti – è di chi, come ‘Repubblica’ e ‘Avvenire’, ha finora usato la stampa come strumento di parte anziché di informazione” (www.lettera22.info). Che il PD accetti e pratichi, qualunque sia la motivazione, l’aggressione al premier ha aggravato la situazione determinando una vergognosa deriva.

La querela di Berlusconi contro alcuni giornali e la campagna di Feltri sulla moralità di un direttore sono certamente criticabili dal punto di vista dello stile, ma, proprio per la libertà di stampa tanto sbandierata dai democrat, sono ultra legittimi. Esse fanno il paio con querele di altro colore (D’Alema-Forattini, Di Pietro contro tutti, ecc.), e con altre vicende anche se costruite sul nulla (Noemigate , la scossa D’Addario, ecc.). Si tenta, comunque, di mettere il bavaglio ai moderati.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 8.9.2009

LUNGA VITA A PATRIZIA D’ADDARIO, ULTIMA GOSSIPARA

Si, sembra la stessa musica, la stessa identica musica suonata ormai da molti anni e ripetuta, ultimamente, dalle colonne de ‘la Repubblica’ e sotto la guida del maestro Ezio Mauro. Stavolta, però, non mi sembra giusto chiudere subito la partita dicendo ‘dejà vu’, e affermando che essendo il solito stonato ritornello, formato da ‘spazzatura’, non potrà avere maggiore fortuna sol perché la musica la dirige il Corrierone e il suo Direttore Ferruccio De Bortoli. Se non altro perché questa puntata era stata preannunciata da Baffino D’Alema che, invitando la sinistra a tenersi pronta, annunciava possibili e probabili ‘scosse’ nel Governo.
Ora, però, leggendo l’intervista della Patrizia D’Addario (nuova pasionaria del gossip) non sembrano esserci elementi capaci di provocare ‘scosse’ nel Governo che sono sempre comunque susseguenti a quelle provocate nell’opinione pubblica che, attualmente, legge le notizie come l’ennesima vergogna messa in piedi da un’opposizione senza testa né coda, per cui sorge spontanea la domanda su cosa ci riserva il futuro, e cos’altro si sta preparando nella cucina complottarda?
Dev’essere, comunque, qualcosa di veramente grosso, vuoi perché si è scomodato ‘baffino’ con il proprio ‘allerta’, ma anche perché solo gli sciocchi possono pensare che la stessa musica può avere un successo maggiore di quello realizzato, anche, nel recente passato, e ‘baffino’ e & saranno presuntuosi, arroganti e mistificatori, ma non sono certamente degli sciocchi. Siamo comunque curiosi di conoscere il prosieguo della storia, quali e quanti nuovi capitoli verranno scritti, e qual’è, fra essi, quello che sarà in grado di determinare, nel Paese e nel Governo, ‘scosse’ più devastanti dello stesso terremoto dell’Abruzzo.
Certamente a subirne le conseguenze è comunque il Paese che, giocoforza, avrà un Governo il cui Premier sarà costretto a rallentare la propria azione per poter fronteggiare la nuova offensiva che si svilupperà in barba alla crisi economica, alle necessità e urgenze dell’Italia, alle attese dei cittadini, alle riforme che allungano il loro percorso. Ma a lor signori cosa interessa? Loro ‘debbono’ come imperativo categorico ‘ distruggere’ il nemico, massacrarlo, metterlo in condizione di ‘non nuocere’, riuscire a scalzarlo e sostituirlo, passando, per ottenere ciò anche sul cadavere della propria madre. Ma se questo è il calice da bere Silvio Berlusconi, forte di un consenso, storicamente, altissimo saprà berlo fino all’ultima goccia.
C’è, però, da augurarsi che l’ultima arrivata sul proscenio del gossip rimanga saldamente in vita, perché la sua ‘dipartita’ sarebbe veramente una ‘scossa’ terribile. Ci si immagina, infatti, cosa si scatenerebbe se la signorina Patrizia D’Addario dovesse passare a miglior vita anche per un semplice incidente d’auto? Chi verrebbe messo sul banco degli accusati? Chi sarebbero imputati dell’accaduto se non i servizi segreti, certamente deviati, ma pronti a servire il ‘criminale’ Berlusconi?
Lunga vita a Patrizia, quindi, non solo nel suo interesse, ma dell’intero Paese che ha ancora bisogno di Silvio Berlusconi, del suo carisma e della sua direzione politica.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 18.6.2009

LA JIHAD DI LOIERO SULLA SANITA’ CALABRESE

Agazio Loiero, come se fosse il Presidente della Repubblica… calabrese, a reti unificate, ha tenuto per ben 36 minuti il video, all’ora di pranzo, per chiamare alle ‘armi’ il popolo calabro contro l’Italia , il cui Governo, presieduto dal feroce Saladino Silvio Berlusconi coadiuvato dal terribile Maurizio Sacconi, vuole commissariare la sanità della regione che presenta, euro in più o euro in meno, un disavanzo spaventoso di 2,166 miliardi di euro.

Ha pronunciato parole di fuoco per concludere che “Ci difenderemo. Lo faremo anche questa volta”, senza però dire come e quando intende por mano ai gravi problemi della sanità calabrese che, per dirla con la Mercegaglia , “presenta l’assurdo di un costo letto in ospedale superiore a quello del Nord, ma con servizi e assistenza abbastanza inferiori”. Anche Sacconi, che ha aperto il contenzioso con la Giunta Loiero invitandola a predisporre un vero e credibile piano di rientro dal buco finanziario accumulato, in riferimento ad ospedali con 20 posti letto disseminati in tutta la regione, ha solo detto che “ride solo per non piangere”.

Nella chiamata alle armi Loiero ha indirettamente dato credito alle critiche affermando che i cittadini calabresi scelgono per interventi anche banali, ospedali fuori regione. Lo ha fatto col vergognoso tentativo di scaricare sui camici bianchi le responsabilità di una sanità allo sbando frutto di una visione del settore piegata alla ricerca della clientela. Inaccettabile questo atteggiamento che offende capacità e professionalità di livello.

Ma il top del proclama si è raggiunto con la giustificazione per la reintroduzione dei tichets sanitari. Nessun accenno al populismo che sovrintendeva la scelta imposta da alleati riottosi, ma l’indicazione che il primato della spesa farmaceutica era da addebitare, scatenando un’ilarità infinita, ai turisti che in estate invadono la Calabria. Essi, i turisti, approfittando dell’assenza dei tichets facevano, negli anni passati, la scorta dei medicinali per l’inverno.

Assieme a queste sciocchezze il Loiero-pensiero si è distinto per la chiamata di correità con la passata Giunta Chiaravalloti che aveva lasciato un buco da 800 milioni, mentre oggi quel buco è diventato il traforo del Monte Bianco. Loiero e la sua Giunta cosa hanno fatto in quattro anni di governo? Non si può continuare a dire che si è trovata una situazione catastrofica e, quindi, la colpa è degli altri. Il primo anno questo discorso è legittimo, ma per gli anni successivi diventa una foglia di fico usata solo nascondere le vergogne di una gestione a dir poco allegra.

La verità è una sola: la politica politicante ha messo sotto ‘controllo’ un settore che va invece restituito al suo ruolo che è quello di salvaguardare la salute dei cittadini. Le scelte dei primari non possono rispondere a logiche di appartenenza, ma solo a competenza professionale e capacità dirigenziale e organizzative. I primariati non possono essere decisi per ‘sistemare’ qualcuno, ma vanno istituiti se servono alla collettività, così come gli ospedali sotto casa, se non servono a niente, ma solo a mantenere ruoli e prebende, vanno immediatamente chiusi.

Loiero e &, che hanno ‘usato’ la sanità per costruire un sistema di potere, non sono in grado d’uscire dal vicolo cieco in cui si sono messi. Il commissariamento è, quindi, più che necessario. Lo chiedono a gran voce, attraverso le proprie organizzazioni sindacali, gli stessi camici bianchi che hanno, con quest’atto, dichiarata la propria renitenza alla leva voluta dal guerriero Loiero. Ad arruolarsi, nella Jihad loierana, sono rimasti solo i consiglieri del PD e gli ‘utilizzatori’ del sistema. Si parla comunque di addetti ai lavori, non di cittadini che aspirano ad un’organizzazione sanitaria capace di curare e di non far morire.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 5.6.2009

LA CORTA MEMORIA DI FRANCESCHINI SUI CLANDESTINI

“Deriva razzista”. “Scontro Italia-Onu”. “Tensione in aumento tra Onu e Governo italiano”. Sono tra i titoli più usati per ‘descrivere’ lo stato della vicenda sul respingimento (brutto termine) dei clandestini che intendono entrare nel nostro Paese. Il tutto è accompagnato, con le dichiarazioni sempre più apocalittiche di Franceschini e Livia Turco, ma anche con le prese di posizione di esponenti della Chiesa cattolica, come monsignor Marchetto; con quelle ‘personali’ del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Hammarberg; con la discesa in campo dell’Alto Commissariato per i rifugiati politici delle Nazioni Unite; e, addirittura, con l’appello del Segretario Generale dell’ONU, Ban-Ki-Moon.
Sembra un ‘dejà vu’, non tanto per la vicenda in se, quanto per gli apporti che alle vicende italiane vengono collezionati sul piano internazionale. Si ha l’impressione di una regia che ‘recluta’, i ‘pronunciamenti’ col fine di ‘isolare’ il Governo Berlusconi e metterlo in difficoltà. E’ prassi normale per la sinistra, specialista in queste operazioni, che spesso usa giornalisti amici, di testate straniere, per farsi aiutare. Ma non era mai successo che scendesse in campo il Segretario Generale della Nazioni Unite a perorare la soluzione di un problema che ha solo un risvolto di vergognosa polemica interna all’Italia.

Il primo Governo italiano che ha deciso il respingimento dei clandestini è stato il Governo Prodi che bloccò, nel 1997, nel Canale d’Otranto, l’afflusso degli albanesi, purtroppo, con un risvolto drammatico. Lo speronamento di una imbarcazione albanese si concluse con un centinaio di morti. E il tutto avvenne, allora, senza alcun rispetto per il tanto invocato, oggi, diritto d’asilo. Ma questo Franceschini non lo ricorda.

Dal 2005 al 2008 l’Unione Europea ha realizzato il respingimento di ben 150.000 migranti sia via mare che via terra e negli aeroporti. Nei mesi estivi del 2006 e poi nel 2007 (imperante Prodi) l’Italia assieme a Spagna, Malta, Francia, Belgio e Grecia, ma sotto l’egida dell’UE, ha bloccato, respinto e rimpatriato con la forza decine di migliaia di clandestini. Ma anche questo il nostro eroe Franceschini fa finta di non ricordarlo. La sua memoria è sempre più corta.

La novità odierna sta nel fatto che si è, finalmente, realizzato un accordo con la Libia che prevede l’accompagnamento dei barconi nei propri porti. Questo accordo fu sollecitato dagli organismi dell’EU perché la maggior parte dei disperati parte proprio dalle coste libiche, e Piero Fassino e Francesco Rutelli, lo hanno ricordano lealmente. Non altrettanto ha fatto lo smemorato Franceschini che pensa di frenare così lo sbriciolamento del suo partito ridotto ormai a fantasma. Per dimostrare, comunque, la falsità delle sue posizioni e l’imbroglio dei sostegni internazionali basta qualche considerazione.

E’ giusta la preoccupazione degli organismi europei e dell’ONU, al netto dell’atteggiamento antiberlusconiano, di individuare tra i clandestini (soccorsi, non lo si dimentichi, in acque internazionali) quelli che sono in fuga da regimi autoritari e spietati. Ma perché questa individuazione non la si può fare in Libia? E perché dopo l’individuazione deve farsi carico di questo problema solo l’Italia? E gli altri paesi dell’EU che fanno, stanno solo a guardare e a fare le pulci al nostro Paese? Su questo l’Italia non ci può più stare.

Raccogliere migranti in difficoltà in mare è un dovere umanitario indipendentemente dal successivo sbocco. Raccoglierli nelle acque territoriali di un Paese diventano un problema di quel paese. Ma raccoglierli in acque internazionali è un problema di tutta la comunità internazionale. Gli episodi che hanno fatto smuovere il Segretario Generale dell’ONU sono avvenuti in acque internazionali. Ecco perché le sue parole sono soltanto parole in libertà e sostanzialmente fuori luogo.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 13.5.2009

PATETICI E VOLGARI UTILIZZATORI DELLA ‘COMPAGNA VERONICA’

Se quanto sta avvenendo nei confronti di quello che fu, per trent’anni, suo marito, col gossip elevato ad arma di lotta politica, fa ‘star bene’ la signora Lario, vuol dire che è completamente andata o è, anche se inconsapevolmente, in intelligenza col nemico. Le due ipotesi, comunque, non sono in alternativa tra loro, ma possono tranquillamente coesistere. Puntare al declino di Silvio Berlusconi , padre dei suoi figli, per soddisfare il proprio orgoglio e sentirsi protagonista, con un quart’ora di
celebrità, oltre che inconcepibile dimostra la ristrettezza di vedute e di analisi di una donna che non vede aldilà del proprio io; ma farlo utilizzando, come sempre del resto, strumenti della feroce campagna contro il premier, com’è la Repubblica, dà la sgradevole sensazione di un percorso studiato a tavolino e chiaramente premeditato in ogni particolare. Non sarà così?, ma così appare.

E il PD, complotto o non complotto, si è voracemente buttato sul ghiotto boccone, inaspettatamente, messogli a disposizione. Ancora una volta emerge la pochezza del suo essere, ridotto ad inseguire, con furia, capitoli di vita privata che in un primo momento erano stati, con molto fair play, scartati con la franceschiniana frase del “fra moglie e marito…”, tanto da indurre il premier a dichiarare che, per la prima volta, era d’accordo col Dario ferroviere. Nella base invece è esploso l’amore per la signora Veronica (tradita, vilipesa e trascurata). Si illude però la signora se pensa ad un amore senza interessi. Dopo mesi di sconfitte, di declino inarrestabile, di concorrenza dipietresca tesa allo svuotamento del PD, ci si aggrappa, come i naufraghi, a quel che, illudendosi, si pensa possa essere, finalmente, la svolta, e si ‘ama’ chi, si pensa, possa determinarla.

Ciò ha indotto Marcelle Padovanì ad affermare che Veronica “era l’unica in grado di bloccare il fantastico consenso di Berlusconi colpendolo alle ginocchia”, tanto da meritarsi l’appellativo di “compagna Veronica” così come vorrebbe il “popolo della sinistra”. Ma c’è anche chi, come Mario Adinolfi (Direzione nazionale del PD), senza giri di parole, dice chiaramente di bandire l’ipocrisia e valutare il divorzio di Berlusconi per quel che è: “un’occasione per il Partito Democratico”. Su questo terreno i più scatenati sono gli ex democristiani che incuranti del ridicolo stanno trasformando, quel che molte donne ingenuamente hanno pensato di considerare un simbolo del riscatto femminile, in una occasione di rivincita politica.

A loro (Rosy Bindi, Castagnetti e Franceschini e &) non importa nulla della signora Lario, interessa solo strumentalizzarne la vicenda, ‘utilizzarla’ senza alcuna remora, farne un cavallo di battaglia capace di riempire i trenta giorni di campagna elettorale che ci stanno davanti. Poveretti, non hanno una politica, sono senza bussola, cambiano mediamente un Segretario ogni due anni, quando vincono in uno sperduto paesino dell’entroterra esultano come bimbi che hanno trovato una caramella, hanno realizzato “un amalgama mal riuscito” (D’Alema) e accolto nel letto un classico riccio (Di Pietro) che li sta letteralmente spolpando. Non c’è più partita, ma continuano ad illudere e a illudersi che il vento possa cambiare.

Hanno trovato sostegno nelle Concite di turno, mandate, magari, avanti per non segnare un’assoluta presa di distanza che poteva essere interpretata come sfiducia al Segretario, ma non l’hanno trovato nell’on. Umberto Ranieri che invitando ad astenersi da ‘sgradevoli dichiarazioni’ su ‘fatti privati’ raccomanda di ‘non coltivare l’illusione che Berlusconi lo si possa sconfiggere utilizzando storie del genere’. Storie che si trasformano sempre in veri e propri boomerang.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 6.5.2009

IL DITO TRA MOGLIE E MARITO, SE SI RISCHIA IL BASTONE TRA LE RUOTE

Un vecchio detto recita che non bisogna mai mettere il dito nelle vicende che si aprono tra due coniugi. Ed è un adagio, tutto sommato, positivo. Il tirarsi fuori dallo scontro (il non mettere dito) evita lo schierarsi che, il più delle volte, aggrava la tensione tra i due ‘contendenti’ e non aiuta la riconciliazione. Esso va rispettato fin quando lo ‘scontro’ ha conseguenze solo personali. Ma non può essere così se dallo scontro ci sono ricadute che coinvolgono altri interessi.

Oggi, senza alcun dubbio, ci si trova in questa seconda ipotesi. Basta vedere con quanta ‘voracità’ ci si è buttati sul boccone, veramente inaspettato, che la sinistra di questo Paese si è trovato di fronte. L’interessarsi del problema, quindi, nasce dal fatto che il Presidente del Consiglio che, viaggia con un consenso incredibile, rischia di vedere interrotta la propria lunga luna di miele con il popolo italiano con tutto quel che ne consegue in riferimento alle scelte riformiste, al rinnovamento dell’Italia, al rafforzamento dell’appeal internazionale del Premier.

Stando così le cose, nessuna giustificazione è accettabile, dall’attacco di gelosia, alla difesa dei figli, alla sindrome di moglie trascurata. Bisogna, invece, ricordarsi la sopportazione e la lungimiranza, di altre mogli che hanno totalmente ignorato quanto è avvenuto sotto un tavolo della Sala Ovale della Casa Bianca, o le scelte di altre che, troncando ogni rapporto, hanno lasciato l’Eliseo. Ma neanche può pensarsi ad uno scivolone imprevisto e non preventivato perché non è la prima volta che il Presidente vien messo alle corde dalla propria consorte, a cui vengono assicurate le prime pagine dei giornali, non certamente perché si chiama Veronica Lario, ma perché essendo la moglie di Silvio Berlusconi può venire usata, con sapiente stimolo del suo amor proprio, come grimaldello per rompere il fortilizio del forte consenso accumulato.

Le uscite della signora Veronica, tra l’altro, sono inversamente proporzionali ai picchi sempre più alti di questo consenso. Sono lontani i tempi del pacifico ed amorevole “credo di essere stata una moglie perfetta per Silvio, per l’uomo che è. Ha potuto concentrarsi su se stesso e il suo lavoro, avendo una moglie che non gli ha fatto pesare –racconta nel libro Tendenza Veronica- la sua assenza all’interno della famiglia, non ha creato rivalità e non gli ha mai fatto la guerra”. Ma poi si sono fatte sempre più stringenti le scudisciate. Dalla prima, giustificata dal “morso della gelosia”; all’articolo pubblicato su Micromega (nemico giurato di Berlusconi) pro pacifisti; fino alle dichiarazioni pro referendum sulla fecondazione assistita.

Ma il clou delle dichiarazioni-scudisciate avviene con l’articolo su Repubblica (altro storico giornale nemico) col quale la signora Veronica chiede, al marito, pubbliche scuse per una delle tante innocenti estemporanee battute fatte dal Premier nei confronti di una bellezza femminile. Berlusconi lo fa e il caso rientra. Ma più tardi fa anche di più: suona una serenata alla moglie quando Veltroni, dopo una serie di complimenti (personalità di primo piano e grande autonomia intellettuale) la invita ad iscriversi al PD. La moglie è lusingata della serenata e anche Berlusconi apprezza molto il netto rifiuto di Veronica alla sirena Veltroni.

Oggi la storia continua. Non sappiamo se forse ci ha preso gusto, e le piace occupare la scena, ma a che le serve mettere continuamente in difficoltà il marito? Perché invece di dire ciò che pensa, non pensa prima a ciò che deve dire? Non guasterebbe riflettere, e riflettere a lungo sulle conseguenze di quanto si dice. Questi scossoni non servono a Berlusconi ed al PdL, e non servono al Governo del Paese. E solo ‘ciarpame’ che non serve ai terremotati dell’Abruzzo, ai disoccupati del Paese, e alle popolazioni che vogliono continuare sulla strada del rinnovamento e delle riforme.

Certo non si vuol mettere alcun dito tra moglie e marito, ma si vuole evitare che si possano mettere i bastoni sul percorso del Governo.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 30.4.2009

CON GLI ‘ANNUNCI’ NON SI RIATTIVA IL PORTO DI SALINE

Un accorato appello, da parte della Società di acquacoltura “Orizon Group”, delle Cooperative di pesca “Stella Maris” e “ Nettuno”, e da parte dei pescatori dell’Area Grecanica, è stato di nuovo lanciato per risolvere il grave problema dell’insabbiamento del porto di Saline Joniche, in Calabria, che sta veramente mettendo in discussione un centinaio di posti di lavoro che, al contrario, potrebbero essere suscettibili di espansione.

La vicenda ha del grottesco. La Provincia dice d’aver fatto il proprio dovere scavando un varco momentaneo e permettendo l’uscita delle imbarcazioni e salvando, così, l’attività di molti operatori, ma adesso c’è necessità di un intervento più risolutivo per dare tranquillità a chi vive di pesca e permettere loro uno sviluppo delle proprie attività. Ma il problema sembra irrisolvibile. La Provincia non ha più soldi, e la Regione Calabria dorme sonni tranquilli impegnata, com’è, a tirare a campare, o ad elaborare la nuova legge elettorale.

E mentre i problemi languono, Loiero pensa di ‘tacitare’ le popolazioni interessate con ‘annunci’ di investimenti per impianti di produzione fotovoltaica, dopo un discusso protocollo d’intesa con l’API Energia , e facendo finta di dimenticare che l’investimento è sulla carta e che il finanziamento è ancora da definire. Ad applaudirlo non ci sono stati né i pescatori, né gli operatori delle Società e delle Cooperative del settore ittico, ma solo tre indomiti protagonisti: l’attuale sindaco di Montebello, Loris Nisi, l’on. Peppe Bova (nuovo guru della sinistra calabrese) e l’on. Liliana Frascà, tutte e tre impegnati, come non mai, a contrastare la costruzione della Centrale a carbone. Essi possono permetterselo perché non vivono di pesca, e possono accontentarsi degli annunci, ma i pescatori e gli operatori ittici non lo possono fare, perché hanno bisogno del porto subito e non in tempi biblici.

Ecco perché la vicenda ha del grottesco . Si rifiuta l’investimento CERTO di 1,2 miliardi di euro per costruire la Centrale, si rifiuta assieme a detto investimento la gestione del porto, certamente non in esclusiva, e la sua manutenzione da parte della Società svizzera Sei, si dice no alla messa in funzione di un pontile per il piccolo e medio cabotaggio, e no all’eventuale collegamento con le Eolie e la Sicilia.

Si rifiuta tutto questo, ma si fanno gli annunci e si imbroglia la gente parlando di inquinamento. Anche quà facendo finta di dimenticare che ogni centrale è obbligata, secondo quanto dichiarato dal Ministro Prestigiacomo, a dotarsi di un impianto di cattura delle emissioni di CO2; e facendo finta di non conoscere il grado di inquinamento del silicio, che si usa per i pannelli fotovoltaici e che è responsabile della silicosi contratta da molti nostri concittadini quando erano costretti a lavorare nelle miniere del Belgio.

Se si continua a rifiutare e a dire sempre NO, la Regione deve assumere direttamente la gestione del porto e la sua manutenzione, per non depauperare quel poco di occupazione esistente nel settore ittico. Almeno fino a quando questa classe dirigente non sgombrerà il campo.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 27.4.2009

PdL, L’EVOLUZIONE NECESSARIA DAL ‘CONTRO’ AL ‘PER’

Non c’è alcun dubbio che la falsa rivoluzione di ‘mani pulite’, liquidando gli stati maggiori dei partiti che avevano governato l’Italia dal dopoguerra agli anni novanta, aveva lasciato disorientata, smarrita e spaventata la maggioranza del popolo italiano. La paura della ’gioiosa macchina da guerra’, messa in piedi da Achille Occhetto, e pronta a cogliere, in modo indiscutibile, quel potere inseguito per oltre quarant’anni, stava giocando un brutto scherzo al popolo moderato, per la propria incontrollata dispersione.

L’avanzata, come carri armati, della supponenza, dell’arroganza e della presunzione degli ex (?) stava rischiando di diventare elemento di rottura degli equilibri democratici del Paese, perché aveva diffuso a iosa la paura dell’intolleranza prima, e della fine della democrazia subito dopo. L’affacciarsi sulla scena politica di un neofita, dopo il rifiuto di raccogliere il testimone da parte di alcuni superstiti dirigenti democristiani, ha offerto un rifugio a quanti non volevano sottostare a regimi autoritari che sono sempre lo sbocco obbligato di intolleranti e supponenti.

Forza Italia, messa in piedi in pochi mesi da Silvio Berlusconi, fu vista subito come l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi. E ad essa ci si è aggrappati facendo naufragare le speranze degli eredi di Stalin. Il blocco della macchina da guerra è stato realizzato su un chiaro terreno di opposizione. Forza Italia è nata per dire no ai comunisti, no al ‘golpe giudiziario’, no alla ghigliottina senza processo, no alla deriva autoritaria. Lo schierarsi in modo chiaro e netto contro tutto ciò ha fatto realizzare, insperabilmente, il primo grande successo, ma l’alleanza era ancora abbastanza indistinta e confusa.

Ma i successi costruiti sul terreno del ‘contro’ non hanno lunga vita. Per averla c’è bisogno soprattutto della politica del ‘per’ come quella fatta in tutti questi anni. Non si spiegherebbero altrimenti i successi che sono seguiti e il gradimento dell’attività governativa che continua ad incrementarsi ancora oggi a 10 mesi di distanza dall’insediamento del Governo Berlusconi, e a 15 anni dalla sua ‘discesa in campo’. Si è fatta una politica ‘per’ con un programma chiaro, con obiettivi condivisi e con realizzazioni ‘frenate’ solo dagli ostruzionismi dell’opposizione e da un Parlamento stretto da lacci e laccioli di regolamenti obsoleti. L’abbaiare alla luna, sport preferito dal PD, sia quand’era diretto da Veltroni che oggi quand’è diretto da Franceschini, lascia il tempo che trova, non modifica l’orientamento della gente, e fa inanellare sconfitte su sconfitte.

Non c’è stata e non c’è proposta, iniziativa, decreto o orientamento del Governo che non sia sottoposto al fuoco di fila degli oppositori. Che questo lo faccia Di Pietro è comprensibile mancandogli un retroterra politico, ma che lo faccia un partito, il PD, che ha esperienza e storia è semplicemente incomprensibile. In dieci mesi si sono minacciati scioperi, manifestazioni, referendum popolari e sfracelli più o meno risolutivi sulle proposte, in larga parte trasformate in leggi o rese operative, come quelle sull’Alitalia, sulla scuola, sulla giustizia, sui fannulloni, sul federalismo, sulle social card, sui bonus famiglie, sugli ammortizzatori sociali, sulle grandi opere, sul sostegno alle imprese, sull’energia, sulla sicurezza, sugli immigrati, sul testamento biologico, e, da ultimo, sul Piano Case.

E’ sui fatti concreti che si conquista in modo duraturo l’apprezzamento dei cittadini e il loro sostegno. E’ sui fatti concreti che continuerà ad operare il nuovo strumento dei moderati riformisti, il PdL che con la propria nascita garantisce un percorso col quale si intende modernizzare in profondità l’intero Paese. E questo con o senza l’apporto dell’opposizione.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 3.4.2009

LA STORIA DEL SOLDATO GIAPPONESE NON CI APPARTIENE

Con il Congresso costitutivo del PdL , si chiude un ciclo, si formalizza la fine di una fase e si dà avvio a un nuovo capitolo della lunga storia riformista italiana. Non cesseranno di esistere le diverse sensibilità che, tra l’altro, non si neutralizzano per decreto, e continueranno a esistere involucri organizzativi che sono destinati a svuotarsi totalmente, nel corso di pochi anni: il tempo della metabolizzazione concreta del processo di amalgama organizzativo, essendo già più che realizzata l’amalgama politica.

Disperarsi, come fanno alcuni socialisti, per la possibile liquidazione di simboli e vessilli, non serve a niente: i processi politici vanno avanti comunque indipendentemente dalle singole volontà. La nostra storia, la storia dei socialisti autonomisti, dei socialisti che si rifanno a Turati, Saragat, Nenni e Craxi , è ormai storia e nessuno potrà mai cancellarla. Anche altre forze, come il Nuovo PSI, rinunceranno ai propri vessilli ed ai propri simboli. Esse avranno sicuramente una storia meno antica ma non per questo la loro è una storia meno vissuta e meno sentita. Sull’altare di un progetto comune di rinnovamento, di riforma e di modernizzazione del Paese ognuno ha dovuto, deve, sacrificare qualcosa e rinunciare a un brandello del proprio abito.

Si è scelto, infatti, di liberarsi dei simboli individuali, parziali e partigiani, rifuggendo dal condizionamento delle ideologie, per privilegiare i comuni denominatori che hanno aiutato il popolo italiano a rifiutare la ‘falsa rivoluzione’ di ‘mani pulite’ stroncando sul nascere la ‘gioiosa macchina da guerra’ messa in campo, dai ‘golpisti’, dopo la decapitazione dei partiti moderati (DC, PSI, PRI, PSDI, PLI) che avevano governato l’Italia, la sua rinascita e il suo sviluppo fino a farne la settima potenza mondiale. E già allora, sul terreno dei contenuti, si avviava una convergenza con la destra parlamentare dell’MSI. Craxi, che puntava a superare l’ingessatura del sistema, rendendo spendibile una forza indispensabile alla trasformazione politica del Paese, dimostrava la propria grande lungimiranza.

Sorprendersi oggi, ed attardarsi in inutili dibattiti sulle ‘contraddizioni’ delle alleanze non omogenee (?) ripresenta la storia del soldato giapponese che non si era accorto che il mondo aveva imboccato un’altra strada. Chi invece percepisce le novità storiche dello scenario politico sceglie, non l’atteggiamento da reduce e combattente, ma quello concreto e fattivo di sostegno ad un processo impegnativo, realizzato su valori di fondo e, di conseguenza, su obiettivi che quei valori debbono esaltare.

Riformismo, laicismo, liberismo e garantismo sono le cartine di tornasole di questa scelta che deve svilupparsi non ignorando la crisi che sta sconvolgendo tutto l’Occidente , le grandi migrazioni extracomunitarie e non, il terrorismo e la instabilità in diverse zone del pianeta, e lo stesso provincialismo di settori della politica italiana. Su detti argomenti l’amalgama moderata e riformista del Governo Berlusconi, voluto dagli italiani 10 mesi fa (e che ancor oggi ha il gradimento della stragrande maggioranza della popolazione), sta operando con grande e apprezzata determinazione. Il Governo, oltre al suo leader, ha ministri di levatura incredibile che sono vanto per l’intera comunità italiana.

Le misure anticrisi hanno visto il nostro Paese anticipare un percorso cui si sono poi accodati tutti: aiuto alle imprese in crisi, sostegno ai redditi bassi, più efficienti e corposi ammortizzatori sociali ai lavoratori licenziati, avvio o rilancio delle grandi opere infrastrutturali (Ponte,Tav, Mose, autostrade), prime ‘pietre’ di una nuova fase energetica del Paese, e da ultimo il Piano case; la forte migrazione, sostanzialmente non negativa per il Paese, ha dovuto essere controllata con misure più adeguate a gestire i flussi e atte a liquidare penetrazione e formazione di sacche di criminalità che hanno, ultimamente, allarmato l’opinione pubblica; e in politica estera il protagonismo dell’Italia ha evitato il proprio isolamento e ha aiutato il ruolo di mediazione in difesa della pace e per il controllo e la soluzione dei focolai esistenti. Su ogni provvedimento si è dovuto, purtroppo, assistere all’abbaiare alla luna di una opposizione sempre più alla ricerca di autori.

Il Nuovo PSI è parte integrante di questa politica e di questo processo. Lo vuole vivere non da spettatore ma da protagonista, nei limiti della propria forza, certamente, ma con la voglia di mettere a disposizione della coalizione, l’esperienza, la passione e la competenza dei propri quadri, almeno quelli rimasti, avendo il grosso dei socialisti, già da tempo, fatto questa scelta.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 26.3.2009

GIANFRANCO FINI, DEMOCRATICO AFFIDABILE?

Anche se la telenovela di un Fini uomo di sinistra è diventata veramente stucchevole, essa si presta ad alcune considerazioni sulla doppiezza dei post e catto-comunisti, e merita qualche riflessione. E’ un’esigenza che sentono, soprattutto, i socialisti quelli, per intenderci, che hanno rifiutato l’egemonia di lor signori, e sono stati ripetutamente tacciati di ‘tradimento’ perché ad un’alleanza ‘normale’, a sinistra, hanno preferito fare una scelta di campo considerata ‘scandalosa’.

Ricordano un po’ tutti, ma soprattutto gli interessati, che il liet-motiv della polemica era rappresentato dal disgusto per un’alleanza con gli ‘eredi del fascismo’ rappresentati dai vecchi ma anche dai nuovi dirigenti dell’ex MSI. In particolare veniva attaccato proprio Fini, e a nulla serviva dire che, dopo Fiuggi essi si erano ‘mondati’ del peccato originale rappresentato dall’essere uomini provenienti da una ideologia sconfitta dalla storia, ed erano ormai una forza genuinamente riformista e sicuramente democratica.

Valevano, nel ragionamento dei socialisti craxiani, le scelte garantiste e riformiste decise da AN assieme all’intera coalizione, prima, della Casa e, dopo, del Popolo delle Libertà. Per anni, invece, gli ex comunisti hanno coperto di contumelie ed indicato al pubblico ludibrio quanti risultavano alleati di Silvio Berlusconi e di Gianfranco Fini.

Ma son bastate alcune dichiarazioni del Presidente della Camera per cambiare registro e musica. Non le dichiarazioni tipo: ‘le leggi razziali sono state un’ignominia’, o addirittura ‘il fascismo è stato il male assoluto’. No, non queste, ma quelle più, terra terra, tipo: – no al cesarismo; – no all’abusato ricorso ai decreti legge; – no alla tassa agli immigrati; – no all’obbligo per i medici a denunciare i clandestini curati; – si al voto agli immigrati; – no al voto delegato ai capigruppo; ed altre simili. Non, quindi, le dichiarazioni che dimostravano la rottura col proprio passato ideologico, ma le dichiarazioni che potevano essere interpretate come una presa di distanza dal suo maggiore alleato, cioè il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
E allora Fini diventa un uomo politico con una solida e condivisibile cultura democratica di base, addirittura un democratico di cui ci si può fidare, né più e né meno di un Veltroni prima e di un Franceschini dopo. Anche la proposta, avanzata scherzando, che lo vedeva come novello Segretario del PD, s’inquadra in questo corteggiamento, in questo improvviso innamoramento, che liquida in un colpo solo tutte le frasi fatte sull’uomo nero, il fascista impenitente, l’erede degli stragisti, l’essere immondo da cui tenersi alla larga.

Ebbene: o hanno visto giusto, e in anticipo, i socialisti riformisti e craxiani del Nuovo PSI accettando Fini come alleato, o si pensa di forzare alcune posizioni per puntare, illusoriamente, allo scardinamento della solida alleanza che sta portando verso la costruzione del PdL. Comunque tutte e due le ipotesi sono valide perché se i socialisti avevano visto giusto, aldilà di un’inutile e non richiesta certificazione dell’attuale sinistra, i catto-comunisti strumentalmente pensano di creare problemi ad una coalizione realizzata su dati valoriali e non elettorali.

Si ripete la vecchia storia del Bossi ‘costola della sinistra’. Ma è un giochetto senza respiro politico basato solo su qualche accarezzamento che risulta offensivo dell’intelligenza dell’interessato. Ogni discesa, è opportuno ricordarlo, è anche una salita. Sarà difficile dire domani che Fini è invece un uomo nero.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 18.3.2009