OH, VECCHIA SINISTRA, QUANTO CI DELUDI

L’invito di Berlusconi a Veltroni a rompere la sua alleanza con Di Pietro per avviare un rapporto diverso e collaborativo tra maggioranza e opposizione non è certamente una reale necessità per svelenire la situazione. Tra Veltroni e Di Pietro non si scorgono infatti ‘diversità’ sostanziali essendo, i due, in continua rincorsa tra loro. E la improbabile rottura, tra l’altro, non risolverebbe il problema di un rapporto civile con la maggioranza.

La rincorsa o la concorrenza, infatti, continuerebbero, e a maggior ragione, se la rottura si avverasse, perchè esse sono frutto di un’assenza di bussola, di una mancanza di leadership, e di una terribile paura per un ipotetico svuotamento del proprio bacino d’influenza a tutto vantaggio del vero attuale avversario politico. E se, ad un simile aggrovigliato problema, si volesse aggiungere la ‘fronda’ interna al PD, capeggiata da mille contestatori, tra i quali il tradizionale e storico ‘gemello’ (baffino), la partita è irrisolvibile.

Perché allora perdere tempo, quando la partita l’ha già risolta il corpo elettorale, sette mesi fa, non solo per aver fatto vincere il PdL ed il suo leader, ma soprattutto per aver tributato loro l’incredibile successo che ha letteralmente mandato in tilt la cosiddetta sinistra, e frantumato definitivamente i propositi di un’opposizione civile e propositiva? Da allora, a partire cioè dall’indomani del responso elettorale, il ‘buonismo’ veltroniano se n’è andato a quel paese, le speranze di un atteggiamento politico serio ha fatto altrettanto, e, improvvisamente, si è tornati al buio dello scontro per lo scontro, e l’avversario da combattere è ridiventato nemico da abbattere.

Ogni cosa è stata esasperata all’inverosimile. Dal lodo Alfano per salvaguardare le più alte cariche dello Stato dai Garzòn nostrani anche se solo per il periodo del loro mandato; all’abolizione dell’ICI passando, senza alcuna vergogna, dalla critica sfrenata perché andavano esclusi i ‘ricchi’, all’affermazione che tanto era un provvedimento elaborato dalla sinistra; ai provvedimenti sulla scuola mistificando, mentendo e, addirittura, capovolgendo anche vecchie impostazioni del loro schieramento; alla feroce critica della miseria dei 40 euro mensili ai più indigenti, visti come un’elemosina, o ai bonus per le famiglie a basso reddito considerati una vergogna inammissibile; fino all’incredibile attacco per l’aumento dell’IVA alle pay-tv, come Sky, pari a 4 euro mensili che vengono considerati un terribile aggravio per i contribuenti.

Quest’ultima vicenda ha permesso la riesumazione del trito e ritrito vecchio conflitto d’interessi, dimenticando due cose fondamentali: l’aumento dell’IVA sulle pay-tv colpisce anche Mediaset, per la parte satellitare, mentre non può colpire quella terrestre che viene fornita gratis ai telespettatori. Ma a loro che interessa. Bisogna riattaccare l’odiato nemico. Ed allora serve seminare dubbi, spargere veleni, mettere gli escrementi nel ventilatore. Qualcosa, pensano, alla fine potrà aiutare una loro improbabile ripresa. E comunque, come minimo queste azioni servono a bloccare la crescita di quel caino di un Di Pietro che, accolto alla tavola imbandita della sinistra, vi si è rivoltato contro, quando ha capito che doveva recuperare il proprio pane autonomamente.

I fessi lo avevano aiutato a restare in vita, evitando, per lui, il mortale voto utile che è stato propinato a socialisti, comunisti senza mimetizzazione, verdi di ogni gradazione, e arcobaleni vari, ed adesso se lo trovano super concorrente. Oh, vecchia sinistra, ma dove stai andando? Non ti rendi conto che ti trovi su un piano inclinato cosparso di olio e grasso? Le lezioni della storia non ti hanno insegnato nulla? Ci deludi profondamente. Nelle loro bare si rivoltano le ossa dei tuoi padri fondatori vedendo quali mani ti stanno gestendo.

Un consiglio spassionato agli attuali dirigenti: tenete l’anima in pace perchè non esistono scorciatoie. La partita potrà riaprirsi tra due generazioni. Un consiglio anche al nostro leader: non ti curar di lor, ma guarda e passa.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 1.12.2008

ENERGIA, BATTERE IL FRONTE DEL NO E’ ORMAI IMPELLENTE

Dico subito che non condivido l’ennesimo No ad un insediamento produttivo che può determinare l’inversione di tendenza di una zona tra le più belle della nostra terra, ma anche tra le più povere e derelitte della Calabria. Dopo l’illusione di un possibile decollo con l’insediamento della Liquichimica e della Officina Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, il No alla Centrale a carbone nella zona di Saline Joniche risulta incomprensibile e assurdo.

Mantenere le vecchie ferraglie che furono dell’ex-Liquichimica come semplice monumento all’inefficienza, allo sperpero ed a un futuro che non è mai arrivato è semplicemente vergognoso, perché si continua con la vecchia politica dei NO preconcetti e ideologizzati dimenticando letteralmente le popolazioni interessate che continuano a vivere ai margini della società civile ed i cui figli debbono intraprendere, come avviene ormai da decenni, la triste strada dell’emigrazione. E’ ora di dire basta ad un canovaccio di questo tipo. E’ ora di opporsi energicamente a chi spera di aumentare la propria influenza e la propria egemonia sui cittadini spargendo a piene mani falsità e terrorismo ambientale.

Per anni la debolezza di una classe dirigente, con scarsa visione politica e mancanza di coraggio, ha fatto prevalere i NO preconcetti ed ideologici di una minoranza aggressiva, rumorosa e parolaia, tutti NO basati sul nichilismo più puro e tesi a bloccare ogni iniziativa economica ipotizzata, dalle grandi opere agli insediamenti industriali. Il NO sistematico ad ogni ipotesi realizzatrice ha determinato nella Calabria un aggravio nel proprio processo di sviluppo, già abbastanza compromesso e precario per la presenza asfissiante delle cosche mafiose.

Negli ultimi cinquant’anni si è passati dal NO all’autostrada, la cui prima pietra è stata messa dall’on. Fanfani e per questo attaccato e crocifisso; al No alla Liquichimica; al V° Centro Siderurgico; alla Centrale a carbone di Gioia Tauro; al raddoppio del binario Reggio-Villa San Giovanni, con il conseguente ammodernamento del Lungomare di Reggio Calabria che oggi si è dimostrato un lungimirante investimento non solo estetico, ma addirittura produttivo avendo finalmente avvicinato la città al proprio mare; al decreto Reggio ch’è stato una fortuna economica e politica per la città e per i suoi sindaci, prima Falcomatà e poi lo stesso Scopelliti ; fino al No recentissimo al Ponte sullo Stretto e alla Centrale a carbone di Saline Joniche.

Lungi da noi l’ipotesi di accettare a scatola chiusa ogni proposta che viene avanzata, ma con altrettanta determinazione, sosteniamo l’esigenza che, prima di esprimere un qualsiasi rifiuto, è necessario ragionare su concreti dati di fatto e non su epidermiche sensazioni che a volte vengono alimentate in modo interessato: vuoi per la concorrenza nello stesso settore, ma anche per mantenere aperta l’ipotesi di usare il sito per un termovalorizzatore.

Giusto quindi pretendere incontri, chiarimenti, approfondimenti e contrattazione sulle necessarie ricadute positive sul territorio interessato, ma già ora vogliamo sottolineare il fatto che in Italia sono in funzione ben 14 centrali a carbone delle quali ben 7 sono concentrate in Liguria e Veneto dove non ci risultano esserci abitanti con l’anello al naso e classi dirigenti imbelli. In quelle regioni si assiste ad uno sviluppo avanzato e moderno.

L’importazione di energia elettrica dalla Francia e dall’Austria, tra l’altro, per un consistente 12,8% del fabbisogno nazionale, pone l’Italia nella necessità di riaprire la scelta nucleare, colpevolmente abbandonata per i soliti verdi e rossi in circolazione, e quella di rafforzare il suo sistema energetico tradizionale. L’insediamento di Saline Joniche risponde a questa necessità ed esso va utilizzato anche per aumentare il livello di contrattazione della nostra Regione nei confronti del resto del Paese, e per sfatare luoghi comuni su una Regione soltanto ‘assistita’.

Giovanni ALVARO
Coordinatore Regionale Segreteria Nuovo PSI
Reggio Calabria 21.11.2008

STUDENTI INDISPENSABILI CONTRO BARONIE E PRIVILEGI

Gira e rigira, come sempre avviene, le menzogne, non solo quelle più grossolane, vengono sempre al pettine, e la verità emerge con forza perché nessuno è in condizione di poterla fermare. Emerge, si fa strada e spazza via la nebbia con la quale si tentava di confondere gli studenti per strumentalizzarli sfruttando la loro grande disponibilità alla lotta.

La verità ha già vinto, per cui non c’è bisogno di cimentarsi nella guerra dei numeri in riferimento alla manifestazione degli studenti del 14 novembre scorso (duecentomila per gli organizzatori, centomila per i partiti e i giornali sostenitori dell’iniziativa e la CGIL, appena trentamila per la Prefettura di Roma). La manifestazione ha già detto parecchio presentandosi come il canto del cigno di un movimento pro domo d’altri, la fine di un’avventura che per avere futuro deve abbandonare la strada retrò della conservazione ed imboccare quella del rinnovamento e della riforma.

E proprio ora bisogna aiutare gli studenti a liberarsi dei cappelli che prepotentemente gli si volevano metter sopra, e indicar loro gli obiettivi riformisti da perseguire e che loro percepiscono meglio d’altri: il rilancio di una istruzione degna di un paese dell’Occidente democratico e l’avvio di una riforma dell’istruzione universitaria capace di rinverdire i fasti del passato mettendo al primo posto capacità, intelligenza, studio e ricerca. Proprio ora è necessario indicare agli studenti la strada maestra del futuro perché sarebbe un grave errore gioire della loro sconfitta ed isolarli nel loro sterile ribellismo. La loro disponibilità alla lotta nasce proprio dalla percezione più che epidermica che è ora di voltar pagina.

A che servono 5500 corsi di laurea? A che servono corsi di laurea frequentati da un solo studente? A che serve lo sperpero di denaro pubblico, sottratto alla ricerca, ma utilizzato per rafforzare le baronie universitarie, se nelle classifiche mondiali si registra la sola Università di Bologna nei primi 150 posti? In questo scontro contro baronie e privilegi, il protagonismo giovanile sarà indispensabile, vuoi per isolare frange di violenti o ideologizzati, ma anche per rendere vincenti le scelte di rinnovamento che si intendono perseguire.

La Gelmini, aldilà di alcuni cori imbecilli e aldilà degli attacchi della pseudo sinistra, è stata veramente brava dimostrando tenacia, perseveranza e soprattutto coraggio nel non lasciarsi intimorire. Essa continuando a tendere la mano agli studenti e chieder confronto e dialogo ha dimostrato una levatura eccezionale che ne può fare il Ministro della Pubblica Istruzione che da decenni l’Italia attende. Essa ha voluto iniziare il percorso dalla scuola primaria, non tanto per reintrodurre i grembiulini, quanto per dare il segnale di un reale cambio di fase.

E che cambio di fase! Non più scuola ‘usata’ come semplice occasione di lavoro e occupazione (il cosiddetto postificio) ma scuola da riportare allo scopo principale del suo essere: strumento di maturazione reale della nostra gioventù. Essa ha voluto, assieme al Governo Berlusconi che l’ha aiutata ed al Parlamento che l’ha sostenuta, liquidare la tanto sbandierata ‘conquista’ (sic!) del sindacalismo di bottega, rappresentata da quell’affollamento di insegnanti che servivano solo per aumentare l’influenza organizzativa dei sindacati, ma non per accrescere il livello di educazione e conoscenza dei nostri bimbi. Senza voler generalizzare ma i temi proposti sulla Gelmini, a bimbi di meno di 10 anni in una scuola milanese, la dicono lunga sul livello qualitativo delle nostre insegnanti elementari.

Avanti, quindi, Ministro Gelmini. Avanti tutta. Conquìstati però il sostegno della parte più viva della scuola, gli studenti, sottraendoli all’influenza nefasta della cosiddetta sinistra
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 17.11.2008

SENZA BUSSOLA, CI SI AGGRAPPA ANCHE AL NULLA

Il commento più azzeccato, anche perché chiaramente non piegato a compiacenze amicali, sicuramente perché il giornalista non frequenta le terrazze romane del politicamente corretto, o perché è di un livello veramente superiore, ci sembra quello scritto e pubblicato su Le Monde, importante testata francese, che testualmente recita: “Povero Berlusconi, appena apre la bocca gli piombano addosso”. Il giornalista continua, chiedendosi: “Francamente, dov’è lo scandalo? Si trattava soltanto di una carineria”.
Lo avevamo già detto in passato e lo ribadiamo tutt’oggi, dopo la ‘bufera’ (si fa per dire) costruita strumentalmente, dalla pseudo sinistra, per le parole di Silvio Berlusconi su Barack Obama: qualunque cosa dica o faccia il nostro Presidente del Consiglio sappia che lo attende un’aggressione mediatica più o meno consistente. Evitino, quindi, gli alleati di consigliarlo a tenere la bocca chiusa, perché anche in quel caso scatterebbe la canea del ‘dagli all’untore’ con le allarmate dichiarazioni dei vari Veltroni, Franceschini e & che si chiederebbero il perché tace, e cosa ha da nascondere.

Essere senza bussola, a corto di iniziative, deboli sul piano politico, sbandati su quello organizzativo, e soggetti alla ‘concorrenza’ del Di Pietro e degli oppositori interni, porta diversi dirigenti del PD a cavalcare tutto, anche il nulla, pur di segnare la propria presenza e, tentare in questo modo, di mantenere in piedi quel che resta di un esercito sempre più in drammatica rotta. Non c’è da preoccuparsi per azioni di disturbo di questo tipo, né c’è da preoccuparsi per il goffo tentativo di metter cappello sulla vittoria di Obama o addirittura nel far credere, al proprio popolo o a quello ch’è rimasto, che il vero vincitore sia il Don Chisciotte di casa nostra.

Gli italiani che vivono su questo pianeta, e non sono extraterrestri con l’anello al naso, hanno potuto assaporare quanto sia matura la democrazia americana e quanta alta e immensa sia la civiltà di comportamento del repubblicano McCain che, subito dopo aver ingoiato il boccone amaro della sconfitta, ha incitato i propri sostenitori a stringersi attorno al ‘nostro Presidente’. Solo i ciechi o chi non vuol vedere non riuscirà mai a scorgere, in questo semplice atto, non solo la grande dignità e serietà di un avversario (non nemico), ma sopratutto il grande amor di patria che impone, superata la prova elettorale, una grande unità d’intenti. Non abbiamo dubbi che, a risultati elettorali capovolti, avremmo avuto da Obama la stessa civiltà di comportamento nei confronti del proprio avversario, e lo stesso amor di patria.

E Veltroni, che conosce bene (sic!) l’America, quando riuscirà ad imparare il ‘veramente’ politicamente corretto? L’albero si può raddrizzare quando è piccolo. Sarà impossibile farlo quando è grande, per cui bisogna lasciarlo al suo destino. Basteranno pochi mesi, infatti, per vedere come, dopo essersi incartati da soli e dopo essersi infilati in un vicolo cieco, sarà veramente difficile riuscire a liberarsi senza danni. Basta attendere, per esempio, le mosse sulla politica estera di Obama che non saranno né repubblicane, né democratiche, ma semplicemente quelle per la difesa dell’Occidente libero e democratico.

E a fianco di Obama ci sarà l’Italia democratica e riformista guidata da Silvio Berlusconi, mentre Veltroni e la sua sinistra faranno l’ennesima capriola inseguendo l’ennesimo corteo arcobaleno. Lo sa tanto bene anche Obama che ha voluto mettere in evidenza, telefonando, il diverso rapporto che gli USA hanno col ‘vecchio’ Silvio e col ‘giovane’ Zapatero. A ognuno il suo.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, lì 10.11.2008

GLI STUDENTI E IL SOGNO DEL SESSANTOTTO

I soggetti che hanno dato vita alle iniziative contro la Gelmini avevano tutti una motivazione, anche se non direttamente legata al merito della riforma, tranne gli studenti la cui protesta si è dimostrata fine a se stessa e, parafrasando il signor Tonino, vien da chiedersi cosa ci ‘azzeccavano’ col resto dei protagonisti?

Fra i più interessati alle iniziative di piazza c’era la sinistra (sic.!) che, alla spasmodica ricerca di un pretesto per invertire la direzione in cui continua a soffiare il vento, si è distinta a pestare l’acqua nel mortaio addolcendola con le falsità più macroscopiche. In assenza di una bussola ci si aggrappa, ormai, a qualsiasi possibilità di protagonismo che la vicenda politica italiana offre, anche per non lasciare che il solo regista degli shows fosse Antonio Di Pietro il quale, figuriamoci se poteva mancare, è stato un vero animatore proteso ormai all’inseguimento ed al consolidamento del suo 4% il cui mantenimento lo può rendere autonomo dalla pretesa egemonica post-comunista. La presenza di Di Pietro, in ogni occasione, è diventata così ossessiva che non solo gli permette di occupare stabilmente le scene, ma anche di trascinarsi dietro il Don Chisciotte, Walter Veltroni, che avrebbe dovuto tenerlo al guinzaglio ma che deve accontentarsi di un ormai consolidato rapporto capovolto.

C’erano anche i Sindacati che, al rimorchio della CGIL e dei suoi tatticismi di sostegno alle scelte del PD, hanno teso a cavalcare il reale malessere esistente nel corpo docente, per gli inadeguati livelli retributivi e per il totale annullamento meritocratico subìto in tutti questi anni, tentando di non farsi scavalcare dal loro Di Pietro, cioè dal Sindacalismo autonomo, tradizionale nemico delle Confederazioni. Ed infine c’erano i docenti sia quelli ideologizzati e speranzosi di poter invertire la tendenza dell’opinione pubblica ormai lontana dalle sirene della sinistra, che quelli impegnati a difendere rendite di posizione soprattutto nelle Università . La presenza di questi ultimi era, come dire, preventiva. Hanno tentato di bloccare un processo che, si capiva, andrà avanti lo stesso, per arrivare fino ai paradisi dei ‘baroni universitari’. E la Gelmini li ha accontentati subito annunciando che la prossima settimana presenterà il piano che li interesserà.

Ma gli studenti che ci facevano in questo movimento? Che ci azzeccavano con i baroni universitari? Sognavano forse un 68 come quello vissuto dai propri nonni? Sogni legittimi certo, ma lontani dalla realtà. I giovani per loro stessa natura sono ‘rivoluzionari’, sono innovativi, fantasiosi, vogliono cambiare il mondo e non conservarlo, e vogliono tentare di plasmarlo a loro misura. Questo è stato il vero 68, un movimento per ‘abbattere’ il sistema, a differenza dei sogni odierni costruiti sulla conservazione, sullo status quo, sul mantenimento dell’esistente. E’ mancata, nella odierna protesta, la loro creatività per cui è stato facile relegarli a semplici oggetti di un movimento nato asfittico perchè teso alla difesa di privilegi altrui. Impossibile per loro diventare soggetti principali di un nuovo corso.

Ad essi è stato offerto, e acriticamente purtroppo l’hanno accettato, un piatto precotto. Peccato veramente perché hanno bruciato un’opportunità positiva che non nasce mai dal ribellismo fine a se stesso, ma è sempre frutto di ragionamento, critica, e capacità propositiva. Anche gli slogans denunciavano l’assenza della fresca fantasia giovanile perché costruiti su elementari rime baciate (Gelmini-bambini) o scopiazzature dal maggio francese come il famoso e non ripetibile “non è che l’inizio” anche perché è stato tutto inizio e fine. L’innovazione non alberga nelle segrete stanze degli stregoni di sinistra, ma è saldamente presente negli obiettivi del Governo Berlusconi che si dimostra il più innovativo e “rivoluzionario” che si potesse sperare.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 31.10.2008

LE BUFALE DI VELTRONI SUL PALCOSCENICO ITALIA

C’è chi ha gioito per le dichiarazioni del Walter-Don Chisciotte sulla fine dell’alleanza con Antonio Di Pietro, vuoi perché sembrava avviarsi la chiusura di una stagione vergognosa fatta di corse e rincorse, e di sceneggiate a chi la sparava più grossa, con rilanci sempre più azzardati, vuoi anche perché c’era chi sperava in una possibile riapertura dei giochi, che sembravano definitivamente chiusi, dopo le elezioni politiche, e che la rottura con l’IDV sembrava poterli riaprire.

E’ bastato poco per capire che si trattava di una nuova bufala. Di Pietro, infatti, per nulla intimorito dal proclama di rottura rintuzzava con sarcasmo le dichiarazioni veltroniane e proclamava che senza il suo apporto il PD non avrebbe vinto neanche una bambolina. A nulla è servito dire che neanche l’IDV poteva sperare di vincere, anche perché a Di Pietro non interessa vincere ma interessa consolidare il suo 4% che è la sua vera ed unica àncora di salvezza. Dopo, comunque, le schermaglie iniziali ha provveduto lo stesso Veltroni a smorzare gli entusiasmi e a bloccare i brindisi già avviati dai vari Nencini, Giordano, Diliberto, Ferrero e Pecoraro Scanio che continueranno ad essere personaggi in cerca d’autore.

Da una parte Veltroni ha ricordato ch’egli non ha detto nulla di nuovo sul suo rapporto con Di Pietro, dall’altra, onde evitare ulteriori equivoci, ha ribadito la scelta del PD di sostenere a Presidente della Commissione Vigilanza Rai quell’Orlando Cascio dell’IDV a cui però, per i suoi trascorsi, il PdL non può né intende affidagli un ruolo di super partes. Poteva bastare questo per respingere l’accusa di ‘vigliacci’ che gli è stata rivolta da Di Pietro ma ha voluto rincarare la dose, con la sua collaudata faccia di bronzo, tentando un ritorno positivo dalla vicenda. Ha quindi invitato Berlusconi e la maggioranza a fare come hanno fatto loro: “noi vi abbiamo votato il candidato alla Corte Costituzionale, ora voi dovete votarci il nostro candidato alla Vigilanza ch’è Cascio Orlando Leoluca da Palermo”.
Ma che, fa lo gnorri? Pensa che gli altri siano degli imbecilli? Dimentica cosa è avvenuto? Bisogna ricordargli allora che il candidato alla Consulta era il prof. Gaetano Pecorella e che solo il senso di responsabilità dello stesso e dell’intero PdL ha determinato il ritiro della proposta e, conseguentemente, l’elezione dell’avv.to Giuseppe Frigo. Dimostri Orlando e lo stesso PD eguale senso di responsabilità avanzando una seconda proposta e stiano certi che la vicenda si sbloccherà immediatamente. Ma Veltroni non ha il coraggio di farlo malgrado la presunta rottura dell’alleanza (sic.!). Di Pietro lo fulminerebbe letteralmente e, chissà perché, egli ne è terrorizzato.

Ce n’è abbastanza per permettere al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la individuazione delle responsabilità del mancato scioglimento del cosiddetto ‘nodo dell’asino’ , quel nodo che più lo tiri più si serra. Abbastanza a ché lo stesso Marco Pannella, che ha forzato la mano, con i suoi scioperi, riconosca di chi è la colpa dell’inconcepibile muro di tracotanza eretto dal duo Valter-Tonino. Abbastanza anche per l’Italia ch’era così frastornata e non capiva bene il perché del braccio di ferro, ma a cui, ora, tutto è chiaro.

Parliamo di quella ‘Italia migliore della destra che la governa’ ma anche, e non ci voleva molto, aggiungiamo noi, “migliore della sinistra a cui ha rifiutato il sostegno inviandola all’opposizione”. E’ proprio questa sua condizione che la eleva a garante della sua stessa democrazia, e ne fa un corpo impenetrabile alle sceneggiate, alle falsità ed alle bufale messe in campo da vecchi e nuovi arnesi della politica italiana. Ne tengano conto Veltroni e Di Pietro.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 26.10.2008

LA DERIVA DI WALTER CONTRO I MULINI A VENTO

L’abbuffata di iniziative, manifestazioni e scioperi in questo mese di ottobre 2008 è la cartina di tornasole della incapacità della sinistra italiana d’essere all’altezza del confronto e dello scontro con il Governo Berlusconi ed il suo Popolo delle Libertà a cui i cittadini hanno dato l’incarico di guidare questo Paese.

Si ha l’impressione che si ‘spari’ con le armi più disparate ma solo per far rumore, sperando che con esso si inneschi una paura capace di liberare il campo dalla presenza nemica, ma anche per evitare sia lo scavalcamento da parte di quel Tonino Di Pietro che, costruito in provetta dagli strateghi della sinistra, è letteralmente sfuggito di mano ai suoi manipolatori; sia pure per non aiutare lo sviluppo delle grandi manovre del suo eterno concorrente, Massimo D’Alema, che solo ‘per ora’ non pone il problema della leadership nel PD.

In questa lotta tutta interna all’aggregazione di sinistra (si fa per dire) a subirne le conseguenze negative è soprattutto il Paese che viene sottoposto ad una serie di iniziative certo legittime ma chiaramente inopportune; certo possibili ma nettamente provocatorie; certamente legali ma costruite senza alcun ritegno col falso più vergognoso.

Nella prima categoria vi è la manifestazione del 25 ottobre, tanto criticata da personaggi importanti dello stesso partito organizzatore che hanno dichiarato di non parteciparvi, ma altrettanto pervicacemente perseguita dal nostro Walter che in barba alla delicata situazione economica mondiale che lui stesso riconosce e che coinvolge anche l’Italia, continua il suo percorso senza batter ciglio. Nella seconda vi è il tentativo di imporre al Parlamento quell’Orlando furioso, sostenuto dall’altrettanto furioso Di Pietro a cui Walter non sa o non può dire di no, messo scandalosamente sullo stesso piano del prof. Gaetano Pecorella. Il braccio di ferro sulle due scadenze ha determinato gli appelli di Giorgio Napolitano alla ragionevolezza e l’ennesimo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a cui piace camminare sul ciglio di un burrone rischiando sempre in prima persona.

Nella terza c’è la vergogna dello sciopero contro la riforma Gelmini. Sciopero indubbiamente legale, dato che il contestare ciò che non si condivide è un diritto costituzionale, anche se viene costruito su falsità più che macroscopiche, e coinvolgendo nella vicenda l’innocenza dei bambini portati a spasso da mammine moderne ma senza zucca. Quando si contesta una riforma, una legge o un decreto bisogna farlo con dati di fatto reali e con proposte alternative. Usare il falso anziché la verità, e dire solo no senza avanzare un solo straccio di proposta, dimostra il vuoto che alimenta gli organizzatori e la strumentalità della stessa iniziativa. Le prove generali sono state affidate ai Cobas, Venerdì passato, e adesso via verso lo sciopero del 30 ottobre.

Gli studenti ci sono (ci sono sempre stati anche non sapendo i motivi di uno sciopero a cui partecipano), i sindacati pure (sorprende la ritrovata unità tra CGIL, CISL e UIL), gli insegnanti ideologizzati anche (si sentono rinati nel poter lottare contro il nemico Berlusconi inseguendo sogni di gloria), la copertura politica altrettanto (viene garantita dalla deriva di Walter-Don Chisciotte), manca però, si manca, e non è cosa di poco conto, il sostegno dell’opinione pubblica, sempre più affascinata dalle capacità realizzatrici del Governo, e sempre meno propensa a seguire le falsità della ricostituita armata Brancaleone. Si capisce chiaramente che si contesta solo per tentare di creare le condizioni che possano incrinare l’appeal di Berlusconi, del suo Governo, dei suoi Ministri e del PdL, ma si capisce pure che la contestazione è solo contro i mulini a vento: lascia il tempo che trova, altro che nuovo sessantotto.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 20.10.2008

LA PROTERVIA E L’ARROGANZA NON DEVONO PASSARE

No e poi no, l’arroganza e la presunzione con le quali si tenta di imporre al Parlamento di fare una scelta, a Presidente della Vigilanza Rai, molto discutibile per l’assenza totale, nel candidato proposto, di un pur minimo elemento di equilibrio da super partes, non possono e non devono passare. A tal fine non potranno servire nè i digiuni pannelliani, né lo stesso invito di Giorgio Napolitano al Parlamento a voler adempiere pienamente ai propri compiti istituzionali.

Il digiuno di Marco Pannella e l’invito del Presidente della Repubblica, ambedue indirizzati a tutti i ‘contendenti’, devono, semmai, servire a ricercare condivise vie di sblocco di una situazione delicata che sembra utilizzata per sancire pesi e contrappesi all’interno del variegato mondo dell’opposizione. La Presidenza della Vigilanza è in sostanza la scusa per misurarsi tra Di Pietro e PD, e poter affermare, da parte dell’IDV, il proprio indiscusso autonomo ruolo di giacobinismo allo stato puro, e la propria capacità di imporre i propri disegni anche ad una grande aggregazione com’è il partito nato dalla somma di DS e della Margherita..

Non c’è altra spiegazione, infatti, nel volersi intestardire in una proposta, antesignana del giustizialismo dell’era moderna, che storicamente rappresenta la parte più oscena delle forze succube del ruolo ‘etico’ della Magistratura, e la parte più plateale dell’antimafia da convegno o da tavola rotonda. Indecenti i suoi attacchi a Giovanni Falcone che hanno contribuito a isolarlo rendendolo più esposto alla strategia stragista della mafia siciliana, e vergognosi e infamanti, in una trasmissione televisiva, gli attacchi diretti contro il Maresciallo Lombardo che non ha retto alle insinuazioni e si è sparato un colpo di pistola alla testa alla vigilia del suo viaggio negli States per prelevare il boss Badalamenti che era pronto a venire a deporre al processo contro Giulio Andreotti per smentire le panzane sostenute dal cosiddetto ‘pentito’ Buscetta.

No e poi no, il nostro Leoluca Orlando Cascio può stare con Di Pietro, può essere stupidamente accolto, per ragioni di alleanza, dagli ex comunisti, può continuare a fare carriera con l’antimafia da barzelletta e utilizzare tutte le occasioni che gli si presentano, ma non può essere un soggetto super partes in un ruolo da assumere con i voti determinanti del PdL.

Ed allora, come si esce dall’impasse? Come rispondere positivamente ad un Presidente, che superata la fase di rodaggio iniziale, si sta dimostrando veramente super partes? Come evitare che l’attuale ‘digiuno’ pannelliano (ma sarebbe ora che Marco la smettesse di ‘ricattare’ il sistema politico italiano con questi mezzi) possa scivolare verso pericolosi sbocchi? La strada è quella di una rosa di nomi tra i quali scegliere. E’ la proposta avanzata da Casini che, a scanso di equivoci, ha dichiarato anche che non intende avere nella rosa alcun nome di personaggi aderenti al suo partito.

La convocazione della riunione congiunta dei capigruppo alla Camera ed al Senato decisa da Schifani e Fini va in questa direzione, e credo che il Nuovo PSI di Stefano Caldoro debba sostenere questa strada che, tra l’altro, sarebbe la più corretta per evitare la ‘putinizzazione’ del Parlamento (vero Veltroni?) che con una sola proposta sarebbe chiamato solo a ratificare quanto la protervia e l’arroganza scodellano. La storia ci ricorda che questo, nel nostro Parlamento, non avviene neanche per l’elezione del Presidente della Repubblica. Non può adesso avvenire perché lo richiede il Di Pietro di turno.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 05.10.2008

MALGRADO I PROCLAMI, SONO SEMPRE GLI STESSI

La vicenda Alitalia è emblematica del modo d’essere dei cosiddetti ex o post comunisti. E ciò indipendentemente se a rappresentarli c’è un signore che si chiama Veltroni, o se invece ci fosse un tale chiamato D’Alema o anche un certo Pincopallino. Cambia tutt’al più il tono della voce che può essere suadente, sprezzante o semplicemente incolore, ma il percorso sarà sempre lo stesso. Si spara a zero, si creano mille problemi, si cerca di non farsi scavalcare a sinistra neanche da Di Pietro, ma quando ci si accorge che le cose, malgrado loro e le loro strategie, vanno avanti positivamente e l’opinione pubblica ne è contenta, scatta il famoso arboriano.. indietro tutta.

Alitalia atto primo. Il governo Prodi (specialista in materia) tenta la carta della svendita della compagnia di bandiera all’Air France, ma l’operazione non va in porto per l’opposizione dei Sindacati che, in assenza della tenacia di un Gianni Letta, hanno partita vinta. L’Air France si tira indietro pensando che avrebbe potuto avere maggiori chances dopo le elezioni. Chiunque avesse vinto, infatti, essendo con l’acqua alla gola, doveva presentarsi col cappello in mano a pietire un intervento di semplice assorbimento.

L’atto secondo vede il Governo Berlusconi difendere l’italianità della compagnia di bandiera impegnandosi, in piena campagna elettorale, a promuovere una cordata di imprenditori capace di salvare la Compagnia dal fallimento e in grado di rilanciarla sul mercato. Ricorderanno tutti i frizzi e i lazzi sulla cordata: fuori i nomi; si tratta di sicuro dei suoi figli; è il classico gioco delle tre carte; un imbroglio destinato a sciogliersi come neve al sole dopo le elezioni; se ha fallito Prodi con Air France dove vuole andare il megalomane?; e via di questo passo. A dar manforte a lor signori, come sempre, la grande stampa italiana e, perché no?, anche quella straniera.

Il terzo atto comincia con la vittoria di Berlusconi. Mentre il premier affronta le emergenze più impellenti come quella dei rifiuti a Napoli, viene tartassato di sollecitazioni a fare i nomi della cordata e il suo silenzio viene propagandato come l’ammissione del bluff elettorale. Superate le emergenze ed affrontati alcuni nodi importanti come la sicurezza dei cittadini, l’immigrazione clandestina, l’abolizione dell’ICI e tutto ciò che si è saputo fare nei primi 100 giorni, Berlusconi affronta il problema Alitalia. La cordata c’è, ne fanno parte fior di imprenditori italiani, e il Presidente è tale Colaninno (padre del giovane imbarcato sul jet di Veltroni, il PD).

E’ il quarto atto che disvela pienamente l’ipocrisia dei comunisti. Nella cordata, la CAI, non ci sono i figli di Berlusconi, la cordata è abbastanza solida e si lavora anche per avere tra i soci (ma solo di minoranza) una grossa compagnia straniera andando anche aldilà dell’orizzonte francese. Mancano, e questo è drammatico per la sinistra, elementi per poterla attaccare frontalmente e farla fallire sul nascere (che importa per le migliaia di dipendenti senza lavoro?). Ma è un lavoro sporco e si delega a farlo un killer di professione: il Sindacato, e per essere sicuri del risultato si lascia libero il campo andandosene negli States.

Al ritorno, sul campo di macerie, si potrà dar vita al solito show fatto di attacchi, lamenti, accuse: chissà forse si riuscirà a far cambiare il vento. Ma al ritorno il nostro Walter trova la sinistra isolata, il sindacato alle corde, Berlusconi e il suo Governo alle stelle nei sondaggi, e una opinione pubblica inferocita contro la sinistra e i sindacati, e fortemente favorevole all’accordo pro Alitalia. E allora: indietro tutta. Basta una letterina per dire il merito è mio, soltanto mio. Ma a chi lo dice? Chiaramente solo a se stesso perché neanche i suoi gli possono credere. Figuriamoci il solito Di Pietro che imperterrito continua a cavalcare l’opposizione a prescindere.

Anche per questo i socialisti del Nuovo PSI di Stefano Caldoro hanno scelto di stare nel Popolo delle Libertà. La doppiezza, l’ipocrisia e la menzogna sono nemici giurati dei riformisti.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 28.09.2008

Socialisti riformisti mai con ex Pci

Set
11
Gio 15.43 – Con frequenza nel dibattito politico irrompe il tema del ruolo dei socialisti. In molti, editorialisti e non, accusano quanti in questi anni hanno fatto la scelta di sostenere la leadership di Berlusconi. Il dibattito avviato da Michele Serra e che Cicchitto e Nencini hanno animato merita alcune riflessioni. L’editorialista di Repubblica si stupisce perché alcuni socialisti, io dico riformisti, sostengono un governo di destra; le argomentazioni rischiano di ignorare alcune verità storiche e non superano vecchi pregiudizi. Innanzitutto la distinzione fra destra e sinistra, che ha caratterizzato il secolo scorso, è ormai destinata ad essere archiviata. Capita nell’Italia del terzo millennio ed è un fenomeno che interessa la Germania, basti guardare le vicende della Spd, e le scelte di socialisti francesi. Sarebbe sufficiente riferirsi alle parole di Blair quando evidenzia che oggi “La distinzione è fra passato e futuro”. Il socialismo riformista, dunque, non può avere recinti antichi. Se si esclude l’accordo, puramente elettorale, del 1948 con il fronte popolare, non ci sono esperienze di governo nazionale che hanno visto insieme il Psi ed Il Pci. Il Psi, che indubbiamente aveva sensibilità che guardavano alla sinistra comunista, ha sempre dialogato e governato con le forze laiche, liberali e soprattutto cattoliche. Le organizzazioni minori, ad esempio il Psiup negli anni sessanta o il Ps di Boselli più di recente, che sono rimaste alleate a sinistra sono state presto fagocitate e sciolte. D’altra parte le migliori esperienze socialiste di governo del dopoguerra, il centrosinistra di Nenni e gli anni di Craxi, hanno sempre visto il Pci protagonista di una netta opposizione. La fine della prima Repubblica ha poi creato una profonda frattura fra il socialismo liberale e riformista e la sinistra post comunista. Quanto è accaduto, negli anni novanta, e le diverse letture rendono difficile, come opportunamente ricorda Cicchitto, la convivenza fra quanti hanno scelto il riformismo ed il garantismo e quanti hanno preferito il giustizialismo ed il conservatorismo.
Bisognerebbe sottolineare che chi allora scelse la via della rivoluzione giudiziaria oggi anima l’esperienza del centrosinistra. Nella finta sinistra italiana attualmente il peso dei giustizialisti è ancora molto determinate come lo è quello dei conservatori che si oppongono ad ogni cambiamento. Il governo Berlusconi, che Sella definisce più a destra di tutta l’Ue, si sta caratterizzando per una politica di riforme e di modernizzazione. I provvedimenti sulla scuola e la ricerca, che già la Moratti aveva avviato, gli interventi in campo economico di Tremonti, che guardano al futuro, superano nei fatti la vecchia distinzione fra destra e sinistra.
I socialisti riformisti non possono che sostenere gli sforzi di chi è impegnato nel rilancio del sistema Italia, non possono non sostenere la battaglia di Brunetta che intende premiare quanti meritano, non possono non sostenere la politica euro mediterranea di Frattini o la costruzione di un moderno sistema del welfare pensata da Sacconi.
Stefano Caldoro

I CENTO GIORNI CHE HANNO SCONVOLTO LA… SINISTRA

Quando Newsweek ha elogiato il ‘miracolo Berlusconi’ per i suoi primi cento giorni di governo, con giudizi lusinghieri e inaspettati, anche perché eravamo abituati a ben altra sgradevole musica, abbiamo capito che veramente si era imboccata la strada giusta. Sapevamo che si era partiti col botto, ma temevano che la nostra condizione di alleati convinti poteva condizionare il nostro giudizio. In pratica avevamo paura di esprimere solo un giudizio di parte.

Quando poi, con una furia degna del proprio nome, l’ex Direttore dell’Unità Furio Colombo, ha teso a spostare l’attenzione dal merito dell’articolo alla costruzione di un’ipotesi di giornalista inesistente che, guarda caso, avrebbe libero accesso alle colonne del giornale, ci siamo convinti definitivamente che la strada imboccata è quella giusta, che Berlusconi è un leader più che capace, che l’aggregazione moderata che ha saputo mettere assieme è una maggioranza di governo e non solo elettorale cosa che gli italiani avevano capito perfettamente decidendo di chiudere l’infausta stagione prodiana degli annunci, delle paralisi programmatiche e delle tasse facili e perpetue.

Il successo dei primi cento giorni, il mantenimento della luna di miele col Governo Berlusconi, e la differenza palpabile, con Romano Prodi, del modo di governare fanno allontanare inesorabilmente la possibilità di un recupero degli antagonisti rendendo super nervosa la sinistra, quella uterina dei grilli, dei travagli, dei colombi fino ad arrivare alla non-sinistra dipietresca, e rende ondivaga, confusa, incapace e senza bussola quella che vorrebbe essere, ma non ci riesce, una sinistra affidabile a cui manca, tra l’altro, anche il senso dello stato.

I primi cento giorni fanno paura. Tutti gli allarmismi usati contro Berlusconi e la sua aggregazione moderata sono caduti nel vuoto. Gli italiani non credono più al grido continuo e inesorabile di ‘al lupo, al lupo’. Gli italiani hanno apprezzato la soluzione dell’emergenza spazzatura a Napoli (avuta in eredità da Prodi e &), hanno salutato con gioia la stretta di vite sull’immigrazione clandestina e per la sicurezza dei cittadini, non si sono fatti fuorviare sulla raccolta delle impronte digitali dei rom, né hanno storto il naso per l’uso dei soldati in alcune città, hanno gioito per le decisioni sull’ICI e sulla regolamentazione degli straordinari, per la lotta contro i ‘fannulloni’ e l’avvio di processi premiali per i meritevoli, non si sono scatenati per la legge sulle Alte Cariche dello Stato ma l’hanno accettata perché segna la fine di una assurda ed ingloriosa telenovela che durava ormai da oltre quindici anni, e rischiava di paralizzare l’attività di governo.

Si, i primi cento giorni fanno paura. Essi sono la cartina di tornasole del forte rapporto con i cittadini e del fallimento di una opposizione ottusa e nichilista. Fanno paura perché ai primi cento giorni ne seguiranno altri cento, e si andrà avanti senza alcun tentennamento anche perché incoraggiati e sostenuti da un’opinione pubblica consenziente ai provvedimenti governativi. Avanti tutta quindi con il federalismo fiscale solidale,con la riforma vera della magistratura, con il rilancio delle infrastrutture e delle grandi opere, con la ripresa della costruzione delle centrali nucleari, con la riforma delle istituzioni liquidando gli Enti ‘doppioni’ e inutili, con la lotta al carovita, e con l’avvio di un alleggerimento fiscale.

Su queste cose e su questo programma è schierato il Nuovo PSI di Stefano Caldoro, e viene semplicemente da ridere quando si continua a ripetere, ossessivamente, che una forza socialista deve stare sempre e comunque a sinistra. A fare che? Giocare con gli apprendisti stregoni a sgovernare l’Italia? No grazie, preferiamo stare con chi è capace di riformare il nostro Paese.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 27.8.2008

OLIMPIADI, NON SERVE SCOPIAZZARE I COMUNISTI

No, non ci stiamo, malgrado il rischio di parafrasare un famoso detto del ‘Peggiore’, diciamo chiaro e forte, non ci stiamo. Le sortite della Meloni e del pur scafato Gasparri, sono il peggio che poteva prodursi alla vigilia delle Olimpiadi , non certamente, per le encomiabili motivazioni giustificative, ma per l’acre sapore della scopiazzatura del modus operandi dei comunisti, e per l’atteggiamento da primi della classe totalmente fuori luogo, in questo momento.

Che la cosiddetta sinistra ed i comunisti, comunque camuffati, utilizzino strumentalmente, qualsiasi argomento e ogni possibile occasione, come la recente vicenda italiana dimostra, è prassi normale e scontata: ci si aggrappa, infatti, ad ogni aspetto offerto dal dibattito e dalle scelte politiche per tenere la scena e tentare di limitare la loro disperazione, aggirare la loro incapacità a reggere il confronto e uscire dal loro persistente isolamento.

Che lo stesso venga fatto da rappresentanti di un largo schieramento, forte del sostegno della stragrande maggioranza degli italiani, stride e non poco, anche perché non c’è bisogno di simili mezzucci per orientare l’opinione pubblica, e non c’è alcuna necessità di tenere la ‘scena’ strumentalmente, col rischio, non secondario, di innescare effetti controproducenti essendo gli italiani allergici alle strumentalizzazioni di qualunque colore. Mischiare politica e sport potrebbe avere questo risvolto.

Il problema dei diritti civili e della democrazia in Cina non è un problema degli atleti, ma di tutta la comunità internazionale che volendo poteva ‘penalizzare’ il gruppo dirigente cinese decidendo di non effettuare la tornata delle Olimpiadi moderne in quel Paese. Ma se la vastità di quel territorio, la enormità di quella popolazione e gli sviluppi di questi ultimi anni, spingono i politici ad evitare crisi internazionali e gli imprenditori a pregustare i nuovi mercati che si aprono per superare la recessione, è ipocrita ‘scaricare’ l’onere della testimonianza pro democrazia sugli atleti.

La ‘testimonianza’ degli atleti, tra l’altro, a parte i rischi per chi la compie, non sposterebbe di una enne il problema che assilla non solo la Meloni e Maurizio Gasparri, ma tutto il Popolo della Libertà che deve continuare la propria azione di stimolo e pungolo politico sapendo che, pur essendo lunghi i tempi per una valida maturazione, il percorso verso forme di libertà e democrazia è tracciato, obbligato e ormai indifferibile.

Il Nuovo PSI, parte integrante del Popolo delle Libertà e, per storia e formazione, partito libertario sta con i piedi per terra, così come vi sta lo stesso Dalai Lama. I socialisti sanno tenere distinta la politica dallo sport, e quindi lanciano, questo si, con convinzione, un appello ai nostri atleti acchè si facciano onore e possano portare a casa quelle medaglie d’oro, d’argento e di bronzo che sono il riconoscimento della loro bravura e del loro primeggiare. In questo modo potranno ‘testimoniare’ la valenza della democrazia occidentale nella quale sono vissuti, cresciuti ed allevati. Altre forme sarebbero solo civetterie che lasciano il tempo che trovano.

A ognuno il proprio compito. Auguri AZZURRI.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 7.8.2008

Tavola Rotonda del Nord: un progetto che dobbiamo fare insieme

Credo che si debba cambiare anche il sistema di preparare questi convegni; non più un’oligarchia ristretta, che decide spesso disconnessa dalla realtà, ma delle tesi da sviluppare aperte al contributo della rete.
Vi chiedo quindi di mandarmi tutti i suggerimenti che ritenete opportuni, perchè si possa riempire di contenuti il ragionamento politico che i Socialisti vogliono fare.
Nel frattempo sono andato a riascoltare alcuni contributi del convegno che la Direziona Nazionale (vera) del PSI (vero) fece a Brescia nel 1990. Per chi volesse qui c’è il link.
Aspetto il vostro contributo.

Grazie
Franco Spedale

Contributi del Convegno 1990

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DEL TURCO, ASSURDO CHE NESSUNO RISPONDA DEGLI ERRORI

Prima di quanto era possibile pensare l’inchiesta sull’arresto di Del Turco e degli altri indagati, presentata in pompa magna, e con tanto di conferenza stampa da parte del PG Trifuoggi, si sta sfaldando inesorabilmente, dimostrando quanto raffazzonata, forzata e costruita solo sulla ‘fiducia’ che, incredibilmente, è stata accordata ad un personaggio, come si legge sulla stampa, non certamente adamantino, qual’è l’imprenditore Vincenzo Angelini.

L’inchiesta si sta, quindi, rivelando un flop gigantesco dove, nella migliore delle ipotesi, si sono presi fischi per fiaschi e da questa confusione è dipeso poi tutto il resto. Le tre lussuose case di Del Turco, comprate con i ‘proventi della corruttela’, alla fine si sono rivelate una sola casa, di mq. 76, comprata non ai Parioli ma alla Garbatella, con un acconto di 300.000 euro (provenienti dalla vendita di tre quadri di Schifano) e da un mutuo di altri 200.000 euro acceso dal figlio di Del Turco, della durata di 20 anni.

Dei 6 milioni di tangenti non si trova alcuna traccia, né nei conti correnti, né nelle cassette di sicurezza, né si trovano conti correnti esteri nella disponibilità dell’ex Governatore dell’Abruzzo. Niente di niente. Semplicemente volatilizzati. E il signor Angelini che, notoriamente, da vent’anni, usava il registratore per ‘immortalare’ ogni sua conversazione, perché non ha usato detto sistema per ‘incastrare’ Ottaviano Del Turco? Ma soprattutto, perché, prima degli arresti, non si è sentito il bisogno di sentire gli indagati a loro discolpa? Sembra che ‘l’imperativo categorico’ era quello di procedere, e si è proceduto, in barba ad ogni necessaria cautela come sarebbe stato necessario trattandosi di provvedimenti gravi con conseguenze altrettanto gravi. Si è avviato un percorso che ha messo in discussione la libertà altrui, e questo, in un Paese, che si sente culla del diritto, è semplicemente intollerabile.

Lo scenario che si presenterà adesso avrà sicuramente due risvolti. Il primo è che i protagonisti della vicenda non saranno così coraggiosi nell’ammettere che hanno sbagliato, ma continueranno a disconoscerlo e, come per la vicenda dei fratellini di Gravina, continueranno a crogiolarsi nelle proprie assurde teorie, dimenticando che dai propri atti dipenderà l’immediata libertà di esseri umani assurdamente dietro le sbarre di un carcere italiano. Meno male che ci sono altri livelli che potranno decidere di porre fine ad una carcerazione inutile e ingiusta come si sta palesando dopo gli ultimi sviluppi.

Il secondo risvolto riapre la vecchia questione della responsabilità dei magistrati, che già il referendum radicale del 1987, sostenuto da Bettino Craxi, lo aveva preteso con una maggioranza di oltre l’80%. Ma quel pronunciamento è, purtroppo, rimasto lettera morta. Deve riaprirsi il dibattito sull’argomento e si deve, sollecitamente, passare a decisioni concrete così come sta avvenendo per altri argomenti riguardanti la riforma della giustizia.

E’ urgente e necessario che ciò avvenga. Non lo chiede solo il Nuovo PSI, ma lo reclama a gran voce la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, partendo da un assunto chiaro e netto: se sbaglia il medico, l’ingegnere, il funzionario, il politico e chiunque altro operi nella nostra società, di sicuro è chiamato a risponderne. Se sbaglia, invece, il magistrato, per la regola assurda dell’irresponsabilità dei propri atti, non risponde proprio di nulla. Ed è anche questo che ne fa una casta privilegiata e fortemente protesa a difendere i propri privilegi. Fin tanto che in questo Paese, culla del diritto (?), ci sono aree di privilegio e irresponsabilità, salvo quella del Presidente della Repubblica, non si potrà certamente parlare di Paese fondato sullo stato di diritto.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 21.7.2008

DEL TURCO, IL TEMPO E’ SEMPRE GALANTUOMO

L’arresto di Ottaviano Del Turco è l’ennesima vicenda choc che ripropone l’urgenza di una profonda riforma del sistema giudiziario italiano. Ancora una volta tintinnano le manette e solo fra alcuni anni sapremo se legittimamente o meno. Intanto un cittadino senza, ancora, un giudizio finisce dietro le sbarre, e le prime pagine dei giornali, com’è naturale visto il personaggio, sono piene di titoloni. La vicenda, però, se non si è come Di Pietro, offre spunti per una riflessione che va aldilà degli schieramenti l’un contro l’altro armati.

E vediamo perché, partendo da una semplice domanda che merita una altrettanto semplicissima risposta. Perché è stato arrestato Ottaviano Del Turco? Qual’era la necessità che ha spinto pm e gip a privarlo della libertà? Francamente sembra impossibile rispondere a queste semplici domande. Ma se rifiutiamo la lettura del sen. Francesco Cossiga che sostiene essere ‘un avviso a Veltroni e a sua moglie’, bisogna rifarsi a quello che pensa la gente comune in questo nostro martoriato Paese, e cioè al solito trito e ritrito protagonismo di alcuni magistrati.

L’arresto in Italia è previsto solo, e sottolineo solo , in fragranza di reato ex art. 380 ccp, e, negli altri casi, se c’è pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove e pericolosità sociale. Tre ipotesi assolutamente inesistenti nel caso specifico: niente fuga (se avesse dovuto farlo lo avrebbe fatto da tempo dato che le indagini sono in corso da parecchio), impossibile inquinare le prove (essendo l’inquisito sotto i riflettori delle indagini), e niente pericolosità sociale (non si tratta chiaramente di un mafioso o un camorrista). Ma intanto è stato lo stesso sbattuto dietro le sbarre di un carcere. Non ha ragione Silvio Berlusconi quando dice che ‘bisogna riformare la giustizia ad imis, cioè in modo radicale’?

Ne sono convinti un po’ tutti, ma l’atteggiamento ostile contro il premier è tale che dopo aver criticato aspramente l’atteggiamento di Berlusconi teso a sfruttare tutte le palle al balzo, si afferma, nei fatti, che l’arresto era inutile ed eccessivo. Illuminante in questa direzione quanto sentito in una nota trasmissione radiofonica, ieri sera, dove le arrampicate sugli specchi sono state una operazione incredibilmente faticosa. Dissentire in modo netto da Silvio Berlusconi, ma non potergli dar torto nei fatti è l’ultima trovata dei commentatori di sinistra.

Nella vicenda, comunque, ci rifiutiamo di schierarci pro o contro l’innocenza di Del Turco. Non è questo in discussione, quanto l’uso spregiudicato che si fa dei poteri giudiziari. Ottaviano Del Turco, come ricordano i socialisti, fu il ‘liquidatore’ del vecchio PSI craxiano, il suo ‘necroforo’ ufficiale. La ‘liquidazione’ fu condotta, assieme a Giorgio Benvenuto, con tale acrimonia e tale veemenza (‘non mi stupisco affatto dell’esistenza del partito degli affari nel PSI’ disse) che mise in difficoltà molti militanti sulla possibile colpevolezza di Bettino Craxi. Ma il tempo è stato galantuomo, e le mascalzonate si sono rivelate per quello che erano effettivamente.

La vicenda offre, comunque, l’occasione per una considerazione. Se Del Turco, oggi, dovesse risultare colpevole, le parole pronunciate ieri contro Craxi, erano solo un meschino personale paravento; se, al contrario, dovesse, come ci auguriamo, risultare innocente, credo che finalmente capirà lo stato d’animo di chi, come Bettino Craxi, subiva la gogna mediatica dell’allora vincente pool di Milano, e doveva ‘sopportare’ le insinuazioni di un proprio ingrato compagno di partito.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 15.7.2008