SE TUTTO E’ UN BLUFF, DI COSA SI PREOCCUPANO?

Malgrado l’assenza della cerimonia ufficiale della posa della prima pietra, in quel di Cannitello, per realizzare la variante ferroviaria al fine di liberare il terreno dove dovrà sorgere il pilastro calabrese del Ponte sullo Stretto, ci sentiamo felici, come Comitato ‘Ponte Subito’, per il rispetto dei tempi, a suo tempo annunciati, che fanno chiudere positivamente il 2009 e fanno ben sperare sul rispetto delle altre scadenze. Lo sanno ormai tutti che, a gennaio 2010 si aprirà il cantiere per dar vita ai lavori di sgombero della zona dove dovrà sorgere il pilastro siciliano, ed entro sei mesi (giugno 2010) avverrà la presentazione del progetto esecutivo del Ponte vero e proprio i cui lavori si avvieranno entro il successivo dicembre.

Rispetto al primo avvio, quello per intenderci del 23 dicembre scorso, infuriano le polemiche da parte dei detrattori. Non si dà pace l’on. Realacci che parla di ‘grande bluff’; né il Wwf che grida in ogni angolo di ‘falsa inaugurazione’; né i comunisti del Pdci che sostengono sia solo ‘una bufala’, né i politici calabresi che nonostante siano in scadenza hanno infelicemente chiamato fuori la Regione dalla ‘Ponte sullo Stretto SpA’, né la Cgil che batte i piedi e protesta energicamente dimenticando che tra le ricadute del Ponte vi è quella di una massiccia nuova occupazione diretta e indiretta, durante la costruzione e dopo che, probabilmente, a codesto Sindacato non interessa per nulla. Il Pd, invece, pur di polemizzare, si domanda ‘dov’era il Governo?’, avendo dimenticato, a distanza di pochi giorni, l’aggressione patita dal premier che gli ha impedito, com’era suo desiderio, d’essere presente alla posa ‘storica’ della prima pietra, ma che ha, comunque, voluto che i lavori cominciassero lo stesso. Ed è quello che non va giù alla schiera dei detrattori del Ponte.

Sorgono, però, spontanee delle domande che la gente si fa e di conseguenza tentiamo di dare qualche risposta. Perché si sostiene, senza un attimo di respiro, che i lavori di Cannitello non c’entrano con il Ponte? Perché si ricorre da parte dei criticatutto all’uso di paroloni quali ‘bluff’, ‘imbroglio’, ‘falsa inaugurazione’ e ‘bufala’? Se così fosse perché si agitano tanto? Qual è il problema? Se i lavori avviati non servono al Ponte, se il Ponte non sarà mai costruito, se mancano i finanziamenti per costruirlo, sarebbe opportuno calmarsi un poco, risparmiando alla gente contorte spiegazioni, inutili ricorsi a teorie economiche utilizzate ad arte per avversare il Ponte.

La verità, però, è chiaramente un’altra: lor signori sanno che ‘alea iacta est’ e che attorno al Ponte si è creata malgrado loro, una vasta attesa, grande speranza ed un clima decisamente favorevole. La maggioranza dei cittadini, come dimostrano i sondaggi che periodicamente vengono fatti, è favorevole al Ponte, ne condivide la scelta di fondo, ne auspica la realizzazione in tempi brevi, considerandolo un’occasione per trasformare questo benedetto Mezzogiorno d’Italia in vera piattaforma logistica Euro-Mediterranea, in un vero palcoscenico di sviluppo economico e di progresso sociale. È questo che non va giù a chi, della lotta contro il Ponte, ha voluto farne una scelta di campo irreversibile. È questo che li spinge, a fronte della evidente improponibiltà delle ragioni del no, a seminare dubbi, alimentare incertezze, concepire zizzanie sperando che così possa incrinarsi l’approvazione della gente comune al progetto Ponte. È questo che continua ad alimentare la loro ‘guerra privata’ e le posizioni politiche contro i mulini a vento.

Quando si accorgeranno d’essere rimasti gli ‘ultimi moicani’ in guerra sarà troppo tardi. Resteranno una scheggia che continuerà ad abbaiare alla luna, mentre il Ponte, giorno dopo giorno, si trasformerà da sogno in realtà, da speranza in certezza, da progetto pensato per decenni a decisivo fattore di rilancio del Mezzogiorno. Noi del Comitato ‘Ponte Subito’ vogliamo aiutare questo processo, rintuzzando, colpo su colpo, le affermazioni insincere e i catastrofismi diffusi. Vogliamo vigilare affinché, assieme al Ponte, si avviino processi di infrastrutturazione per tutto il Mezzogiorno che rendano il manufatto funzionale al più complesso obiettivo di crescita e pertinente all’obiettivo per cui l’UE lo ha considerato opera prioritaria e fondamentale del corridoio 1 Berlino-Palermo.

Bruno SERGI* – Giovanni ALVARO
Fondatori ‘Ponte Subito’

* Professore Economia Internazionale
Università degli Studi di Messina

LE DICHIARAZIONI DI DUE O TRE MAFIOSI NON SONO PROVE

di Giovanni ALVARO – Le ultime vicende politiche, con la sconvolgente e vergognosa aggressione a Silvio Berlusconi, e le altrettante vergognose dichiarazioni di alcuni campioni della civiltà e della democrazia a senso unico, come Antonio Di Pietro, Rosy Bindi, Marco Travaglio e Sonia Alfano, hanno fatto passare in secondo piano il teatrino giudiziario sulla mafia e sui pentiti. Ma credo sia necessario riprendere il filo di alcuni ragionamenti che stanno alla base di possibili e necessarie riforme nel settore della giustizia del nostro Paese, proprio adesso che, forse, si avvierà la fase realizzativa.

Ed allora partendo delle deposizioni di Filippo Graviano e Cosimo Lo Nigro, che hanno avuto, e non poteva che essere così, solo un valore mediatico indifferentemente dalle cose che i due potevano dire, va rilevato che se avessero confermato la versione di Spatuzza il can can mediatico, il teatrino di Annozero e l’aggressività delle dichiarazioni degli anti (quegli stessi che hanno avvelenato l’Italia con la conseguente aggressione al presidente del Consiglio) avrebbero ripreso alla grande rendendo il premier, come minimo, una specie di anatra zoppa. E soprattutto ci sarebbero stati gli alleluia gridati ai quattro venti sulle dichiarazioni che erano state riscontrate, anzi pienamente riscontrate. Nulla di più falso.

Infatti le conferme di un altro mafioso, magari di ‘grado’ superiore al primo dichiarante, hanno un rilievo solo mediatico, e non possono essere considerati riscontri e quindi prove. I riscontri e le prove sono ben altra cosa. Se così non fosse la vita di ognuno di noi sarebbe alla mercé delle dichiarazioni di due o tre affiliati alle organizzazioni mafiose, e questo liquiderebbe non solo lo stato di diritto, ma la stessa democrazia perché PM infedeli alla collettività, ma fedelissimi ad una ideologia, potrebbero manovrare come meglio gli aggrada le loro dichiarazioni. Dire che bisogna avere fiducia nella Magistratura, oggi, lascia il tempo che trova: fidarsi, infatti, è bene, non fidarsi è meglio.

Né ci si può fidare delle dichiarazioni di questi mafiosi che scoprono il pentitismo con le ricadute pro domo loro, di questi stinchi di santo e fior di galantuomini che, per quantità ed efferatezza dei loro crimini, possono entrare nel Guinness dei primati. Del resto dichiarazioni infedeli ce ne sono a iosa, e non c’è bisogno di ricorrere all’abusato Pellegriti (falso pentito stroncato da un vero magistrato qual’era Falcone), o al pentito di Via D’Amelio, quel Vincenzo Scarantino, sulle cui dichiarazioni si sono imperniati i tre processi Borsellino, con la distribuzione di ergastoli a gogò, passati al vaglio della Cassazione e quindi in giudicato, per averne la conferma.

Anche per quei processi, quanto dichiarato da Spatuzza è la verità o le sue sono semplici ‘minchiate’? Spatuzza ha dichiarato che le cose erano andate diversamente da quanto verbalizzato da Scarantino, ma agli investigatori non serve una nuova versione della strage, quanto avviare percorsi che possano arrivare a ‘svelare il terzo livello’. Su quest’altare, mediaticamente parlando, bastano le dichiarazioni di pentiti e non c’è bisogno né di prove, né di veri riscontri.

Da questa strada si arriva a liquidare lo stato di diritto, la presunzione costituzionale di innocenza, e si ottiene il massacro del malcapitato, che non è mai un illustre sconosciuto, ma è quasi sempre un avversario politico che, nella logica ideologizzata ancora esistente, intralcia il processo ‘rivoluzionario’ e, anche per questo, va messo fuori gioco.

C’è chi ha preso alla lettera il messaggio e ha deciso di passare dalle parole ai fatti: prima con l’invettiva, poi col treppiedi, quindi con il lancio di statuette, e poi… ma mai, e poi mai con le idee, coi programmi, con le proposte, anche perché questi mancano totalmente. Il vuoto più assoluto. E, normalmente, il vuoto tende a riempirsi anche se con quello che passa la chiesa: odio, invidia, disprezzo.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 17.12.2009

NO PONTE SULLO STRETTO? UN FLOP TIRA L’ALTRO

Il No al Ponte è più un fatto mediatico, per la capacità dei detrattori dell’opera di tenere la scena, che un reale atteggiamento della popolazione. La gente, quella a cui sempre più spesso si appellano, per sostenere le proprie tesi, funzionari di partito, dirigenti di associazioni cosiddette ambientaliste e intellettuali in servizio permanente effettivo, va da tutt’altra parte, non abbocca più ai canti, ormai striduli, ripetitivi e stonati, delle sinistre sirene.

Già i risultati elettorali erano stati una netta conferma del rifiuto del No al Ponte. A Messina le vittorie al Comune, alla Provincia e l’apporto al successo di Lombardo alla Regione; e a Reggio Calabria, il successo di Peppe Scopelliti, si sono verificati ben conoscendo, gli elettori, gli orientamenti dei rispettivi candidati a favore del Ponte. Gli stessi sondaggi hanno registrato, senza soluzione di continuità, ormai da molto tempo, una forte maggioranza a favore della costruzione del manufatto. E infine le manifestazioni di questi ultimi giorni che fanno dire che ‘errare umanum est, perseverare è da sciocchi’.

Il primo flop si è avuto con la manifestazione (si fa per dire) del 5 dicembre quando si son viste, in quel di Messina, più bandiere rosse che manifestanti (eran trecento giovani e forti, ma politicamente insignificanti). Il 19 hanno tentato la rivincita, con i soliti slogan negativi senza costrutto, sul dirimpettaio suolo calabro di Cannitello dove, comunque, il 23 dicembre apriranno i cantieri della variante ferroviaria, opera propedeutica per avviare entro alcuni mesi le attività di costruzione del Ponte di Messina.

Il flop di questa seconda manifestazione brucerà certamente in modo forte sulla pelle degli organizzatori. Strombazzata su ogni media: giornali locali e nazionali, televisioni italiane ed estere, radio pubbliche e private, internet con i gruppi di facebook e l’onda viola, e la ‘Rete No Ponte’, e l’adesione della Giunta Regionale Calabria che per l’occasione, dopo la denuncia del ‘Comitato Ponte Subito’, si libera delle azioni della Società, e dopo i proclami di ‘illuminati’ professori, che fanno sfoggio di ‘verità e certezze’ ma ricercano solo una propria visibilità, la manifestazione è stata una nuova Caporetto e ciò malgrado le ‘truppe cammellate’, sempre meno numerose, che vengono spostate su ogni scenario dove è necessario un protagonismo da far rimbalzare mediaticamente.

I media amici, prima del 19, avevano parlato di centinaia e centinaia di adesioni di sigle, associazioni, partiti ed Enti locali. Previsioni strombazzate dagli organizzatori che parlavano di oltre 30.000 manifestanti con un’organizzazione che rasentava il paramilitare. Il giorno dopo il 19 dicembre sono rimaste le centinaia e centinaia di sigle, ma i partecipanti si sono ridotti a circa 4.000 unità in larga parte portate da lontano e apertamente schierate contro il Governo in carica. Abbiamo visto funzionari di partito, dirigenti di associazioni, soggetti schierati politicamente contro il Ponte, ma mancava la gente, cosa che i media amici dei No Ponte non hanno evidenziato, e gli intellettuali, perennemente al servizio della demagogia, hanno nascosto a se stessi.
Si, mancava la gente, quella comune, quella locale, quella ch’è stanca d’essere presa per i fondelli, quella che non intende più essere manovrata per fini politici, quella che non può dimenticare che la sinistra, prima dell’avvento di Berlusconi, ma in parte anche dopo, ha sostenuto il Ponte e la sua realizzazione, per poi abbandonarlo dato che prima Craxi e poi Berlusconi ne avevano fatto un cavallo di battaglia considerando il Ponte una scelta strategica per il rilancio economico delle due regioni interessate e per l’intero sistema Italia.
Riusciranno, parafrasando la Wertmuller, i nostri a comprendere che continuando su questa china arriveranno nudi alla metà? Ne dubitiamo.

Il Comitato ‘Ponte Subito’

Reggio Calabria 21.12.2009

ASSURDO: LA REGIONE MANIFESTERA’ CONTRO IL PONTE

Siamo giunti alle comiche finali: la sinistra è proprio nel pallone, in totale confusione mentale. Non c’è altro modo per dipingere la scelta della Giunta Regionale dalla Calabria (Governatore Loiero) di aderire alla manifestazione No Ponte che si terrà nei prossimi giorni, poco prima della posa della prima pietra da parte del premier Silvio Berlusconi che avverrà il 23 dicembre 2009 e che sarà sostenuta da una forte presenza popolare.
Se è legittimo e normale assumere una determinata posizione in riferimento ad un problema, ad un’opera o a un provvedimento di qualunque natura, non lo è per la Regione Calabria in riferimento al Ponte sullo Stretto se prima non scioglie il nodo della sua partecipazione societaria nella Società ‘Stretto di Messina’ vendendo le proprie quote azionarie.
Si dà il caso, infatti che la Regione Calabria detiene il 2,6% delle quote azionarie della Società, che ha nominato propri rappresentanti in quella Società, e che la ragione sociale della stessa è la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Le comiche di cui parlavamo all’inizio stanno proprio in questa assurda situazione: essere finanziatori della Società che persegue l’obiettivo di realizzazione dell’attraversamento stabile dello Stretto e contemporaneamente boicottarlo, non in modo sotterraneo, ma addirittura palese, infischiandosene che le quote azionarie siano state acquisite con il denaro dei propri concittadini. Che la filosofia del partito di lotta e di governo, e il tradizionale’ benaltrismo’, vengano usati dai gruppuscoli è legittimo, non è accettabile che a cavalcare queste filosofie sia la Regione che con quest’atto sfiora il codice penale: uso del denaro pubblico per opere che non intende realizzare.
La vicenda, in definitiva, presenta risvolti che dimostrano la vacuità di una classe dirigente senza reali capacità politiche se non quelle di assecondare le spinte di gruppuscoli verdi, rossi o arcobaleno che siano, che sanno dire solo NO; e non sanno guardare al di là del proprio naso. Non riescono a trarre profitto dall’ultimo flop realizzato con la manifestazione dello scorso 1 dicembre che ha registrato una partecipazione di circa 300 vocianti manifestanti. Pensano che sia possibile nascondere, anche a se stessi, la cruda realtà che vede un’opinione pubblica lontana mille miglia dal loro atteggiamento di rifiuto.
Pensano che basti portare in piazza, il prossimo 19 dicembre, alcune migliaia di partecipanti per capovolgere la situazione, facendo finta di non capire che le truppe cammellate che vengono spostate ad ogni manifestazione, con decine di autobus, servono a fare scena ma non servono a far cambiare idea alle popolazioni locali e alla maggioranza degli italiani che hanno le tasche piene delle menzogne sparse senza ritegno, dei delfini la cui rotta sarebbe ‘disturbata’ dall’ombra del Ponte, delle catastrofi predette da tecnici in cerca di autore, dei professoroni universitari convinti che il ‘verbo’ stia solo a sinistra e rinunciano alla loro autonomia intellettuale.
Ignorano, e crediamo realmente, che il Ponte non è un giocattolo, che esso non serve per attirare milioni di turisti (e questo tra l’altro non guasta a territori che hanno vocazione turistica), ma è parte integrante di un percorso (il corridoio 1 Berlino-Palermo) che deve captare il grosso del traffico commerciale che transita nel Mediterraneo e che è pari al 30% del traffico mondiale. Manca loro la capacità di capire che quell’Alta Velocità che oggi si ferma a Salerno sarà necessariamente allungata per tutto il corridoio che arriva a Palermo. L’uso del corridoio farà risparmiare alle merci 5 o 6 giorni di navigazione tra Nord Europa e Medio ed Estremo Oriente. E Calabria e Sicilia dovranno attrezzare e sviluppare i propri porti che diventeranno vere e proprie cerniere tra Italia e Paesi rivieraschi.
Se non si ha idea di cosa sarà il Ponte si continui pure con i NO-Day. Noi invece siamo per SI-Day: si allo sviluppo, si alle infrastrutture, si all’aggancio del Sud al treno europeo, si al turismo, ma soprattutto SI a nuove classi dirigenti delle quali il Mezzogiorno ha estremo bisogno.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 11.12.2007

FORSE SPATUZZA HA EVITATO AL PDL IL BARATRO

C’è chi sull’assurda vicenda che ha messo in fibrillazione la coalizione che ha vinto le elezioni e che ha messo in estrema difficoltà il PdL, che di quella coalizione è il perno fondamentale ed ha gli obblighi maggiori nei confronti dell’elettorato, aveva scelto di non entrarci, nel tentativo non di ignorare il dibattito che, insperabilmente, poteva offrire all’opposizione qualche chance, quanto per evitare di buttare benzina su un fuoco che, con qualunque posizione si poteva assumere, rischiava di contribuire ad alimentarlo anziché spegnerlo.

L’augurio che ogni spirito libero si fa è quello di non essere giunti al limite della rottura e del superamento del punto di non ritorno, anche se serve capire cosa realmente è successo, ben sapendo che è assolutamente impossibile poter andare avanti per altri tre anni con un clima simile, con rapporti ogni giorno sempre più logorati e l’impossibilità di poter governare.

Se a tutto ciò su aggiunge l’attacco forsennato che proviene da alcune procure con la riesumazione di pentiti alla ricerca di sconti di pena, premi e cotillon; la mannaia di due processi che, se pur non potranno arrivare ai tre gradi di giudizio prima della prescrizione, potranno però intaccare la figura del premier e indebolirne lo status, se non in Italia almeno all’estero; l’incognita delle prossime elezioni regionali che, con questo gelido vento che spira, rischiano di poter diventare una vera e propria Waterloo; se tutto questo è vero il quadro è chiaramente dei più foschi.

Va detto intanto che le posizioni di Fini, che sono state fortemente applaudite dalla sinistra, hanno sconvolto il popolo moderato. Esse non possono essere considerate frutto di scivoloni estemporanei e non valutati, perché se così fosse si dovrebbe cambiare sensibilmente il giudizio sulle capacità politiche del Presidente della Camera. Né è possibile credere che il fuori onda sia frutto di sbadataggine, perché se così fosse stato non ci sarebbe stato l’ok di Fini a Ezio Mauro (la Repubblica) per mettere il video on-line. E ciò è avvenuto dopo l’incontro e il chiarimento con Berlusconi, l’accordo sul processo breve, quello sul legittimo impedimento, con il rilancio del lodo Alfano (con legge costituzionale) e la riesumazione dell’immunità parlamentare la cui abolizione ha letteralmente provocato un grave vulnus al potere legislativo.

Quel chiarimento e il successivo video hanno dato l’impressione del classico passo indietro per farne due avanti, in un meccanismo di chiaro e netto logoramento del Premier. La stessa vicenda dell’assalto di alcune procure a Berlusconi, della bocciatura del lodo Alfano, del ridicolo processo Mills, del risarcimento di 750 milioni a De Benedetti, dovevano consigliare più prudenza e il non uso del chiacchiericcio sulle ‘dichiarazioni’ del pluriomicida ‘pentito’ Spatuzza, anziché rifugiarsi in un equivoco ‘speriamo che lo facciano con uno scrupolo da… perché è una bomba atomica’.

A Torino è esplosa però una ‘bombetta paranatalizia’, anche se è stata preceduta da un consistente battage mediatico (200 giornalisti accreditati, televisioni italiane e straniere, clima d’attesa, ecc.), tanto che lo stesso Fini ha dichiarato che è stato solo rumore senza riscontri. C’è anche di più: Spatuzza non è al servizio dell’antimafia, ma della stessa mafia e per l’assurdità delle sue dichiarazioni sarebbe stato denunciato da Giovanni Falcone.

E’ legittimo sperare che, partendo dal ‘flop’ della ‘bomba atomica mancata’, e del malessere che ormai ha colpito l’intero Popolo moderato, si possano evitare nuovi strappi e si possa ripartire decisamente e unitariamente per affrontare i nodi di un Paese che deve essere governato da una sola gamba mancando una vera opposizione. Forse, ringraziando Spatuzza, non siamo caduti nel baratro. Forse le enormità pronunciate serviranno a fare chiarezza.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 5.12.2009

L’ELIMINAZIONE DI BERLUSCONI E’ IN UNA LOGICA MAFIOSA

No, non ce l’hanno fatta e non ce la potranno fare a cacciare Silvio Berlusconi con le idee, i programmi e la politica. Non ce l’hanno fatta e non ce la potranno fare perché non hanno idee, non hanno programmi e hanno divorziato da tempo dalla politica dato che la loro specialità è il retrobottega, la trama da corridoio, l’intrigo con l’assenza totale di un minimo senso dello Stato.

Sono arrivati, comunque, a questa conclusione dopo averle sperimentate tutte, nel corso di ben 15 lunghi anni di opposizione (sic.!), dalla gioiosa macchina da guerra; agli avvisi di garanzia, recapitati in diretta durante un incontro internazionale; ai ribaltoni del responso elettorale strumentalizzando la famosa costola della sinistra e utilizzando la disponibilità dell’allora inquilino del Quirinale; all’uso asfissiante, senza alcuna interruzione, della Guardia di Finanza sulle sue aziende; all’apertura di procedimenti giudiziari senza alcun risparmio; alla sua denigrazione sistematica e completa; agli attacchi giornalieri fatti dalla ‘imbavagliata’ (sic!) stampa italiana ed estera; alle campagne sul conflitto d’interessi che periodicamente venivano rilanciate.

E poi, ancora, quando l’onda inarrestabile dell’ultimo responso elettorale ha spazzato via l’imbelle governo Prodi ed ha dato vita all’attuale governo Berlusconi hanno tentato la strada del gossip; del guardare dal buco della serratura; delle escort introdottesi vergognosamente in casa sua con tanto di registratore, con l’obiettivo di intaccarne la figura; con le foto ‘rubate’ nella sua villa in Sardegna; con la strumentalizzazione delle sue vicende familiari; con l’ossessiva serie di domande pubblicate per mesi dal giornale del suo nemico; con la sentenza, da far tremare i polsi e le vene, con la quale si decide un ‘risarcimento’ alla Cir di De Benedetti di ben 750 milioni di euro; con il tentativo di distruggere l’atto di solidarietà umana espressa nei confronti di Marrazzo; con il…, e poi ancora il… il… il…

No, non è bastato. Quest’uomo appare indistruttibile, e chiaramente lo è, sia per le capacità carismatiche, per quelle di governo e per il decisionismo che gli permette d’uscire d’ogni situazione difficile; ma anche per il sostegno che gli viene da un ampio consenso popolare. E’ chiaro che la maggioranza degli italiani lo aiuta a non piegarsi e a resistere, resistere, resistere. E bene ricordare, infatti, che a questo popolo (che qualcuno considera bue, imbelle e moralmente inferiore) non è bastato, negli anni di ‘mani pulite’, d’essere privato dell’intera propria classe dirigente per farsi impaurire, avviare la dispersione delle sue aspirazioni e dei suoi convincimenti democratici, e magari decidere di rifugiarsi sotto qualche ombrello falsamente protettivo (come, purtroppo, hanno fatto pusillanimi dirigenti di terza e quarta fila del fronte moderato). E’ stata chiara, per la maggioranza degli italiani, qual’era la scelta di campo da fare, e quella scelta è stata fatta.

Solo gli intrighi, i ribaltoni e i brogli elettorali hanno permesso, in questi 15 anni, parentesi altrimenti improbabili. Ecco perché, oggi, si pensa alla ‘soluzione’ finale di hitleriana memoria, o al mezzo che riesca a chiudere definitivamente un conflitto interminabile, anche se con la filosofia, terra terra, della mafia che, senza perdere tempo, risolve il problema con l’eliminazione fisica del proprio nemico. C’è chi invoca un novello Gravilo Princip, e chi si affida ai pentiti di turno. Nell’uno e nell’altro caso si punta a mettere fuori gioco Silvio Berlusconi.

Ma la storia, oltre a non ripetersi se non sotto forma di farsa, per alcuni protagonisti delle vicende italiane, non è stata, purtroppo per loro, neanche maestra di vita. La messa fuori gioco del CAF (Craxi, Andreotti e Forlani) non è servita a niente. Al palo erano i pseudo sinistri, al palo sono rimasti e al palo resteranno. Berlusconi ha uno scudo insuperabile rappresentato dal forte sostegno che gli riserva la maggioranza del popolo.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 25.11.2009

ANCHE LE BOCCIATURE SONO ‘AD PERSONAM’

Si fa un gran parlare di leggi ad personam riferendosi a quelle leggi che nascono e si affermano come leggi per evitare al premier di restare invischiato nella tela del ragno, ma si fa finta di ignorare che scelte ad personam sono anche quelle che puntano ad ottenere che Berlusconi venga processato immediatamente, condannato severamente e possibilmente trascinato in manette verso le patrie galere. L’odio sparso è così massiccio che il semplice pensare o sognare immagini di questo tipo fa andare in solluchero quella parte, per fortuna minoritaria, di italiani i cui prototipi, con sorriso da ebeti, si possono ammirare tra gli spettatori di Annozero</u>.

Al primo gruppo ‘ad personam’ vengono indicati, per esempio, i lodi Schifani e Alfano che non avevano come obiettivo l’impunità del Presidente, ma solo quello di liberarlo, per la durata dell’incarico, dalla distrazione per processi che potevano vulnerare la sua azione di governante. Ma al secondo gruppo va annoverata la stessa loro bocciatura perché, comunque mascherata, fa puntare all’obiettivo inverso che è quello di poterlo disarcionare, dal ruolo affidatogli dagli elettori, con metodi da Inquisizione, stante l’incapacità a realizzare questo obiettivo con il confronto e con, perché no?, lo stesso scontro politico.

La speranza di un confronto civile e sereno non è, però, tra le cose praticabili di questi tempi, perché viviamo in un Paese dove la sinistra, dominata da ipocriti incapaci di ragionare oggettivamente, è sospinta a sperare di ottenere un risultato altrimenti impossibile per altre vie. E’ la sinistra del doppiopesismo, delle due verità, della carota e del bastone, dell’atteggiamento conciliante quando rivendica una ricaduta positiva (leggi D’Alema a Mr. Pesc), dell’attacco senza esclusione di colpi a obiettivi capovolti, una sinistra che sull’altare dell’antiberlusconismo non disdegna fomentare campagne denigratorie all’estero, che presenta l’Italia come paese a deriva autoritaria, che grida continuamente ‘al lupo, al lupo’ rispetto ad un ipotetico regime, che anche sul piano economico presenta un’Italia allo sbando malgrado gli indici dimostrino il contrario. Una sinistra senza il benché minimo senso dello Stato.

Duole constatare, però, che, dinanzi a questo scenario, si sviluppino categorie di pensiero, anche nel centro destra, che producono nel Presidente del Consiglio l’impressione d’essere accerchiato e che sia in atto lo sviluppo di una specie di caccia al cinghialone come già avvenne per Bettino Craxi. Registi ed esecutori della caccia sarebbero sostanzialmente gli stessi, anche se nell’odierna caccia vi è di più: l’uso strumentale della vicenda familiare (divorzio di Veronica), l’attacco al patrimonio aziendale (sentenza di 750 milioni a favore di De Benedetti) e l’enfatizzazione delle divisioni interne al PdL. E’ tutto ciò che fa sentire il premier fortemente isolato e debolmente difeso. Si sente sostanzialmente nudo.

A nulla serve, quindi, per sbloccare la situazione, dichiararsi favorevoli alla presentazione del lodo Alfano, con legge costituzionale, se verso tale obiettivo si collocano solo alleati e piccoli partiti. E’ necessario che, a pronunciarsi senza se e senza ma, sia il maggiore partito d’opposizione perché solo approvando una legge costituzionale, con una larga maggioranza, si può evitare un referendum che sarebbe un nuovo campo di battaglia per i forcaioli dell’IDV.

Per il resto, sarà il legittimo impedimento che farà la sua parte, senza bisogno di leggi che affrontano solo un pezzetto della riforma della giustizia. La maggioranza degli italiani vuole una riforma piena: processo breve, separazione delle carriere, riforma CSM, intercettazioni, responsabilità civile dei giudici, ecc.. Quella maggioranza attende una risposta. Se si continua a nicchiare, anche un pezzetto va bene.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 16.11.2009

IL CHIODO FISSO DELLE DIMISSIONI DI BERLUSCONI

Per giorni la sinistra ha ‘lavorato’ a far passare la tesi della necessità delle immediate dimissioni del premier così come aveva fatto l’ex Governatore del Lazio, Piero Marrazzo. Per giorni Rosy Bindi, la news entry Serracchiani, Repubblica, l’Unità, Il Fatto e via via a scendere fino all’ultimo militante che, ormai allevato all’odio viscerale per il nemico, si è fortemente prodigato a inviare SMS ai propri amici con preghiera di effettuare la solita catena di S. Antonio con la richiesta di uscita di scena di Silvio Berlusconi. Per giorni hanno teso a costruire la loro ‘verità’ sui due episodi che hanno interessato Marrazzo e Berlusconi.

Alla fine hanno dovuto buttare la spugna, ad eccezione di qualche soldato giapponese come Padellaro. Non reggeva per nulla l’accostamento. Il Marrazzo, con moglie e prole, è andato volontariamente a incontrare transenssuali, a consumar cocaina, a tener nascosto l’eventuale ricatto, a negare decisamente nella prima fase l’accaduto (è una bufala, è un complotto, parleranno solo i miei legali, stanno tentando di incastrarmi), mentre Berlusconi, separato dalla moglie, ha fatto sesso con una donna che, arrivata a casa sua armata di registratore e telefonino, aveva il semplice e chiaro obiettivo di volerlo e doverlo ‘sputtanare’.

Marrazzo sapeva del trans, Berlusconi ignorava la qualifica di sgualdrina della D’Addario. Le non dimissioni di Marrazzo sarebbero state, quindi, inconcepibili e ingiustificabili, come inconcepibili e ingiustificabili sarebbero state le dimissioni di Berlusconi per assoluta mancanza di motivazione. Sarebbero state, infatti, un grandioso regalo ai pasdaran dell’odio e a quanti avevano architettato il trappolone, ma un danno enorme per l’intero Paese.

Ed allora, senza soluzione di continuità, avanti con ‘altro’ e, quindi, proclamano ai quattro venti: “Berlusconi, senza lodo Alfano, deve dimettersi perché, senza bisogno dello svolgimento dei propri processi, va considerato reo dato che l’avvocato Mills è stato condannato”, facendo finta di ignorare che la sentenza Mills non è ancora passata in giudicato, e che sull’intero processo pesa, come un macigno, la vicenda prescrizione, la cui scadenza è fissata a marzo 2010 per lo spostamento della data dalla quale conteggiare i termini previsti dalla legge.

La Magistratura di Milano per conteggiare i termini di scadenza, infatti, ha fatto questo ragionamento: il reato (falsa testimonianza di Mills) sarebbe stato commesso nel 1998, ma il pagamento (per la falsa testimonianza) sarebbe avvenuto nel 2000, ergo il conteggio dei termini parte dal 2000. E’ opinione diffusa che si tratti di un marchingegno per evitare la prescrizione ed arrivare alla conclusione magari, secondo la sinistra, ‘sfasciando’ (vecchio verbo dipietresco) il premier. Ma la legge non è uguale per tutti? Il rifiuto del lodo Alfano non è stato costruito su questo assunto? E la falsa testimonianza, se c’è stata, non è reato indipendentemente dal successivo pagamento?

Ma anche considerando i nuovi tempi della prescrizione, che a causa del lodo Alfano erano congelati, la scadenza definitiva, per Berlusconi, si è spostata a giugno 2011. E’ chiaro, e lo avevamo già scritto in un precedente articolo, che la velocità usata per Mills (altro primato Guinness: in sette mesi 1° e 2° grado di giudizio) non potrà essere usata per Berlusconi perché bisogna rispettare l’agenda degli impegni istituzionali del premier. Nel lasso di tempo che intercorre da oggi alla scadenza dei termini, al massimo, si potrà avere la sentenza di primo grado.

Sapendo ciò, ed avendo capito, in ritardo, che la battaglia contro il lodo Alfano è stata una vittoria di Pirro (“non riescono a vedere aldilà del proprio naso”) si buttano a reclamare le dimissioni di Berlusconi senza le quali la speranza di conquistare il potere è rinviata a fine legislatura. Ma sono stati gelati dalla dichiarazione di Berlusconi che senza tentennamenti ha dichiarato, quanto volevano sentire i cittadini italiani: non mi dimetterò anche in presenza di una condanna. Ha omesso di aggiungere: politica.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 3.11.2009

BAFFINO ‘PERDE IL PELO…’ ANCHE SE SARA’ Mr. PESC

Che la candidatura di Baffino, a Ministro degli Esteri dell’Europa, sia debole e difficilmente realizzabile nulla toglie alla intelligente scelta di Silvio Berlusconi di esprimere il sostegno del Governo italiano che non è, comunque, un atto dovuto come sostiene il novello Segretario del PD, Pier Luigi Bersani che pontifica con un incredibile “Sarebbe strabiliante che il nostro Governo non si mettesse in una posizione d’appoggio, perché questa nomina sarebbe una cosa di grandissimo prestigio per l’Italia”.

Ragiona così il Bersani perché il candidato è D’Alema, ma non badava al prestigio dell’Italia quando c’era da buttar fango sul nostro Paese facendo sponda ad una serie di giornali stranieri, che per mesi hanno praticato
lo sport dell’antiberlusconismo, con l’obiettivo di attaccare il premier e con il risultato di sputtanare il nostro Paese. No, non sarebbe stato strabiliante una posizione diversa sulla candidatura del ‘lider maximo’ del fu PCI-PDS-DS-PD perché chi usa moneta falsa deve mettere in conto che, normalmente, potrà essere ripagato con la stessa moneta.

Il non seguire questa logica dimostra la grandezza del nostro Premier e la validità del giudizio, che si da su di lui, di vero statista: non farsi condizionare dai problemi dell’orto di casa, e “se ti odiano, a non lasciarsi prendere dall’odio” come scriveva Rudyard Kipling, in quella memorabile poesia dedicata al proprio figlio.

Se avesse seguito un’altra strada, nessuno, neanche Bersani, o il già dimenticato Franceschini, potevano dire nulla. E non solo per le vicende di casa, per la sistematica campagna di odio, per l’acredine e la volgarità degli attacchi subiti, o per semplici scelte di parrocchia, quelle stesse che sono sempre state alla base delle miopi scelte della cosiddetta sinistra, ma anche per la diversa visione dei problemi del mondo.

Quelle visioni che hanno portato, per esempio, proprio D’Alema a considerare giusta la guerra e i bombardamenti ‘intelligenti’ alla Serbia, e non giusta la guerra all’Iraq con la giustificazione che in Serbia c’era da liquidare il despota Milosevic che stava massacrando gli albanesi del Kossovo (o c’era dell’altro?), e dimenticando che razza di despota era Saddam e i massacri attuati contro il proprio popolo. O, ancora, ad amoreggiare con Hezbollah ed Hamas e quindi, tenendosi alla larga da Israele accerchiato da Stati canaglia e che l’Iran dichiara continuamente che deve farla letteralmente scomparire. O, ancora, le diverse posizioni sull’immigrazione e sull’Islam che cozzano con gli accordi del Governo italiano con la Libia.

Berlusconi, però, sa che queste posizioni dovranno essere accantonate perché il Ministro degli Esteri dell’UE deve tener conto degli orientamenti della maggioranza dei Paesi che la compongono, e Mister Pesc non deve assumere posizioni personali ma deve tenere conto degli orientamenti di chi lo esprime nel ruolo che gli potrà venire assegnato. Un diverso atteggiamento farebbe scattare elementi di netta e chiara incompatibilità.

Il Premier, però, non si illuda su un diverso atteggiamento del PD nei suoi confronti, né in un diverso atteggiamento anche dello stesso D’Alema. Non tanto perché ha già dato prova di quanto consideri importante la ‘riconoscenza’ nei confronti di chi lo aiuta. Ieri daCraxi ‘usato’ per entrare nella grande famiglia del PSE e subito dopo considerato il solito nemico da ‘abbattere’, ed oggi da Berlusconi. Illudersi è da ingenui anche perché il nostro Baffino per rintuzzare le critiche che gli stanno cadendo addosso, anche se dovesse incassare l’eventuale nomina, diventerà tra i più feroci antiberluscones per dimostrare che non si è fatto condizionare, per nulla, dall’aiuto di Silvio Berlusconi e del suo Governo.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 1.11.2009

ALLA SINISTRA BISOGNA DIRLO: LASCIATE IN PACE MARRAZZO

Non saremo certamente noi a rinfocolare il fuoco del gossip su Marrazzo. Siamo distanti anni luce dall’uso vergognoso e spregiudicato di tale sistema di lotta politica, e mai e poi mai avremmo immaginato che la sinistra finisse, in mancanza di veri leaders e di capacità politica, con il fare concorrenza a Novella 2000. Capofila di questa stagione è stato il quotidiano la Repubblica che detta ormai, assieme a Di Pietro e De Magistris, la linea all’intera sinistra.

Guardare dal buco della serratura, sbirciare sotto le lenzuola e cavalcare squallide questioni di sesso sono l’emblema, però, del degrado morale a cui è giunto chi lo pratica trasformandolo in arma impropria della lotta politica nel nostro Paese. Una vera e propria barbarie, usata, in questi mesi, contro il Presidente Berlusconi, nell’illusoria speranza di una reazione negativa da parte degli elettori cattolici . Noi ci teniamo alla larga da questa barbarie perché cozza contro la nostra indole. Ci disgusta, pertanto, il doppiopesismo di chi considera sporco maiale il premier Berlusconi e candido agnellino il Presidente Marrazzo.

La storia per noi sarebbe già finita qui perché, comunque, ambedue i fatti, interessando la parte del corpo sotto la cintola e tra persone maggiorenni consenzienti, non sono considerati reati, ma fatti personali e privati che meritano la privacy. Su questo va difeso Marrazzo come andava difeso Berlusconi, e noi lo facciamo, ma la sinistra, ormai forcaiola, guardona e con una palese e visibile doppiezza morale, è di tutt’altro parere come dimostrato dalle vergognose dichiarazioni sulla vicenda tra le quali brilla quella espressa dalla “più bella che intelligente” Rosy Bindi. Ma a ognuno il suo.

A che serve non limitarsi ad esprimere la solidarietà a Marrazzo, uomo distrutto, di cui comprendiamo le sofferenze anche per la difficoltà di guardare negli occhi la propria moglie e le sue tre figlie, che dichiara quasi con le lacrime agli occhi che “vorrebbe scomparire” e che ha bisogno d’essere aiutato a superare, umanamente, la terribile esperienza che sta sopportando? A che serve usare, se non per bassi interessi di bottega, la vicenda di questo povero uomo che dopo aver negato si è sentito costretto a dichiarare le proprie debolezze? Non serve a nulla.

Si, non serve a nulla fare il paragone tra quella che la Bindi considera la sensibilità di Marrazzo per la confessione e l’autosospensione dall’incarico ricoperto, e le non dimissioni di Berlusconi che non ha negato l’episodio sviluppatosi senza la sua conoscenza dello status di sgualdrina rivestito dalla D’Addario, presentatasi nella sua abitazione munita di registratore e telefonino per le foto. Non vogliamo fare distingui sull’uso del sesso ma l’accoppiamento uomo-donna, in regime di separazione coniugale, viene tollerato dall’opinione pubblica in modo nettamente diverso dall’accoppiamento uomo-uomo, in regime di regolare matrimonio. Feltri, da par suo, ha immortalato, nella percezione dell’opinione pubblica, le due situazioni come attenuante l’una ed aggravante l’altra ricordando che ‘la gnocca’ è, comunque, un’attenuante.

Ma sulla vicenda Marrazzo sembra essersi consumata o si stava consumando un’estorsione, un ricatto o giù di lì, e non sembrano esserci state denunce a riguardo da parte di un politico che riveste un ruolo pubblico, e quindi obbligato alla denuncia. L’assenza della quale e la negazione dell’estorsione rischiavano di aggravare la situazione della vittima con la consumazione di un altro reato, quello di ‘ostacolo all’accertamento della verità’. Parlare di questo, comunque, non è gossip, cara Rosy, ma cronaca, perché a differenza tua, noi continuiamo a sostenere la libertà di ognuno a usare come vuole il proprio corpo, se lo si fa senza commettere reati.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 26.10.2009

IL PONTE E’ STRATEGICO PER L’ITALIA E PER IL MEDITERRANEO

C’è sempre un problema da sbandierare per tentare di bloccare la costruzione del Ponte sullo Stretto, sopratutto quando le leve del potere decisionale sono in mano diverse da quelle del signor Prodi che, non andando tanto per il sottile, ha bloccato, senza alcun ritegno, una gara già vinta facendo perdere, circa tre anni, al processo realizzativo.

Oggi, fuori dal Governo, le tentano tutte giovando spregiudicatamente sulle disgrazie della povera gente. Dopo il terremoto dell’Abruzzo, infatti, hanno gridato ai quattro venti che mancando i soldi per la ricostruzione era necessario rinviare di qualche anno le opere infrastrutturali di grande peso; poi dopo la tragedia dell’alluvione a Messina si sono battuti il petto alzando alti lai per richiedere che invece di opere faraoniche (!) si pensasse, prioritariamente, alla difesa del territorio. Ed anche Loiero, pur non avendo una sciagura che lo interessasse direttamente, ha chiesto, al posto del Ponte, la difesa del suolo per evitare quel che è successo a Messina.

Parafrasando Manzoni sembrano i ‘bravi’ di don Rodrigo con il loro minaccioso ‘questo Ponte non sa da fare’, non comprendendo che dall’altra parte non c’è un don Abbondio, ma un Governo ed una maggioranza che hanno deciso di sbloccare tutte le grandi opere che sono chiaramente indispensabili per la crescita e lo sviluppo del Paese e altrettanto utili per combattere la recessione. Nel caso del Ponte poi, o sono incapaci o sono in malafede: il Ponte, infatti, non è un’opera di regime, ma un’opera strategica per lo sviluppo del Mezzogiorno.

L’aver poi saputo affrontare, da parte del Governo Berlusconi, con determinazione e visibili risultati, sia il dramma dell’Abruzzo che la tragedia di Giampilieri, ha dimostrato che non c’è contrasto tra gli interventi di emergenza e la realizzazione di opere strategiche per il Paese. L’Italia non è poi così disastrata da finire in ginocchio per un terremoto, pur severo, come quello dell’Aquila; né viene distrutto per le disgrazie alluvionali, e quindi non è obbligato a scegliere le priorità da affrontare. Se così non fosse, di sicuro, non saremmo la settima potenza industriale del mondo, e non guarderemmo sempre avanti. E con il Ponte continuiamo a farlo.

Il primo meeting delle città del Mediterraneo, tenutosi a Reggio Calabria, lo ha confermato. L’interesse dell’uditorio e delle delegazioni presenti per il travolgente intervento del Commissario Straordinario per il Ponte, Pietro Ciucci, ne è stata una conferma, come conferma è l’assedio subito da Ciucci da parte della stampa. A nessuno, infatti, può sfuggire, se non è annebbiato da una persistente retorica negativa, l’indispensabilità dell’opera che ha spinto il governo a riprendere e accelerare l’iter del Ponte che va letto per quello che effettivamente è: il non voler rinunciare ad una scelta strategica che può determinare una grande inversione di tendenza per l’intero Mezzogiorno.

Smettiamola dice Pietro Ciucci con la mistificazione e gli imbrogli “quello del 23 dicembre è un appuntamento reale e importante, e si tratta davvero della posa della prima pietra del Ponte sullo Stretto”. Duro, quindi, nella polemica e in difesa dell’opera che non serve solo a unire le aree limitrofe di Reggio e Messina, e che sarà anche una grande attrattiva turistica. Il Ponte come rileva Zamberletti, Presidente del CdA Stretto di Messina Spa, ”è particolarmente strategico per il Sud perché, con il completamento del programma di alta velocità, il Mezzogiorno sarà collegato con il sistema ferroviario europeo rappresentando così un importante fattore di sviluppo per tutte le regioni meridionali”. La vera novità del Ponte, rileva ancora Zamberletti, ”è che si tratta di un ponte ferroviario, e non solo stradale, che permetterà ai porti siciliani di diventare porti europei strategici con un grande vantaggio per quanto riguarda i costi di trasporto delle merci. Le merci in partenza dalla Germania e dirette verso l’Oriente, ad esempio, guadagnerebbero cinque-sei giorni di navigazione se dopo un transito in treno venissero imbarcati in Sicilia”.
Nel Mediterraneo oggi transita il 30% del commercio mondiale dal Nord Europa al Medio e Estremo Oriente, e viceversa, per cui da subito bisogna rendere efficiente il corridoio 1, deciso dall’UE, e di cui il Ponte è parte integrante. Col Ponte, quindi, si darebbe l’avvio a grandi opere di infrastrutturazione a monte e a valle, e con esso sarà indispensabile collegare Calabria e Sicilia all’Alta velocità rendendo appetibile il corridoio Berlino-Palermo, e togliendo le regioni periferiche del Paese dal perenne isolamento in cui si trovano.

Chi grida contro il Ponte, anche con la diffusione di paure per le infiltrazioni mafiose che uno Stato forte può e deve saper controllare, è un nemico vero, giurato e in malafede. E’ chiaramente un nemico della Calabria, del Mezzogiorno e dell’Italia. Che lo siano i Verdi passi, ma che lo diventi anche Loiero è veramente il colmo.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 21.10.2009

NON RIESCONO A GUARDARE OLTRE IL PROPRIO NASO

Da quello che si capisce erano andati (la sinistra e i suoi giornali) a suonare e sono stati suonati. Credevano di distruggere il premier con il colpo finale della bocciatura del Lodo Alfano (con relativi sogni fatti di processi, condanne ed arresti) e si trovano ad aver regalato allo stesso premier un percorso che lo porta dritto dritto alla prescrizione dei reati, quelli che si continua a volergli cucire addosso con la speranza, però ormai in soffitta, di liquidare il ‘nemico’ per via giudiziaria. Credono che ciò basti a cambiare la testa degli italiani che non vogliono sentir parlare di ‘sinistra’ comunque mimetizzata. La verità è che non riescono a guardare al di là del proprio naso.

E’ successo come per gli ultimi referendum, quelli elettorali, che, alla fine, gli stessi organizzatori (Di Pietro e &), dopo aver raccolto centinaia di migliaia di firme, hanno scelto di boicottare. Si son resi conto in ritardo, ma la colpa è di madre natura, che con l’approvazione di quei referendum regalavano la maggioranza assoluta all’odiato Berlusconi. Ricordiamo tutti che uno dei quesiti prevedeva la concessione del premio di maggioranza non alla coalizione ma al partito che avrebbe preso più voti e cioè al PdL.

Stesso film anche oggi, con la differenza che ieri ci fu la ciambella di salvataggio di un referendum fallito, mentre oggi il pronunciamento della Consulta non può più essere modificato e le conseguenze, dal loro punto di vista, saranno disastrose. Con il Lodo Alfano, Berlusconi e le altre alte cariche dello Stato non potevano essere processati nel periodo di assolvimento del loro incarico, e in quel periodo il decorrere del tempo sarebbe stato bloccato. Era un meccanismo che permetteva la guida del paese senza scossoni, garantiva tranquillità nel ruolo istituzionale e consentiva, successivamente, lo svolgimento dei processi senza ledere anche la garanzia della difesa. Processi e riavvio del tempo, infatti, sarebbero stati ripresi solo alla fine del mandato istituzionale.

Con l’abolizione del Lodo lo scenario è totalmente cambiato e con esso la stessa sorte del Cavaliere (o meglio la sorte del poter governare tranquillamente) per cui si acquietino gli assetati di sangue, e si tranquillizzino i preoccupati. Il perché è presto detto, dato che è la stessa Consulta che, forse, preoccupata dal gran ‘casino’ determinatosi, sembra voglia indicare la via d’uscita rappresentata da quanto scritto nella sentenza Previti. La Corte Costituzionale, infatti, aveva scritto che, nel caso un imputato sia anche componente di un ramo del Parlamento, il giudice ha “l’ònere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari“.

Muovendo dalla sentenza di quattro anni fa – secondo quanto trapelato da ambienti vicini alla Corte, che affronterà l’argomento nel motivare la bocciatura del lodo Alfano – il conflitto tra esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello Stato potrebbe essere risolto senza violare il principio di uguaglianza: i processi a Berlusconi, ad esempio, andrebbero avanti, ma i giudici avrebbero l’obbligo di fissare, d’intesa con il premier, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del Presidente del Consiglio, in modo da evitare coincidenze e non compromettere il diritto di difesa.

Ora, non sfugge a nessuno che l’agenda degli impegni istituzionali del premier è così piena che il Presidente, a volte, è costretto a scegliere tra sedute del Parlamento (Camera e Senato), Consigli dei Ministri, riunioni internazionali (Onu e UE), incontri bilaterali, visite a stati esteri, interventi nelle zone in ‘emergenza’ (Abruzzo e Messina), rapporti con le forze sociali e iniziative varie. Il tempo volerà e con la prescrizione gli assetati di sangue resteranno a bocca asciutta.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 17.10.2009

VICENDA LODO: TERTIUM NON DATUR

A caldo sembra che tutto possa essere ricondotto a due ipotesi: o la capacità della ‘moral suasion’ del Presidente Napolitano è pari a zero, oppure ha bluffato platealmente ‘prendendo in giro’ il Presidente Berlusconi come lui stesso ha declamato ai quattro venti. Nel primo caso si tratterebbe, evidentemente, di pura e semplice incapacità, mentre nel secondo può intravedersi una furbizia non cònsona, però, al ruolo ricoperto.

Tertium non datur. Non esistono, infatti, altre ipotesi credibili come quella di una semplice ingenuità di Napolitano e di una sua sconsiderata fiducia verso il proprio staff organizzativo e politico. Egli è troppo intelligente per ‘fidarsi’ e non controllare di persona l’iter di problemi delicati che interessano il Paese. E’ un politico di lungo corso e non uno sprovveduto che, per caso, è diventato Presidente della Repubblica. E chiaro, quindi, che viene a cadere, senza possibilità d’appello, l’ipotesi della sua incapacità.

Resta l’altra ipotesi, quella d’aver voluto tenere buono il Cavaliere, ben sapendo, a priori, come sarebbe andata a finire. Del resto, basta un pizzico d’analisi per rendersi conto che stavolta sembra esserci stato il richiamo della foresta, con l’obiettivo errato, di buttare, in pasto alle belve, un Presidente del Consiglio che l’Italia ama, apprezza e sostiene per le indubbie capacità operative, il movimentismo costruttivo e il saper realizzare. L’immondizia di Napoli e il terremoto dell’Abruzzo sono le cartine di tornasole delle sue capacità. Ha solo il difetto (!) di non aver voluto sottostare ai voleri dei poteri forti che in Italia continuano a dettar legge.

Ma andiamo oltre l’epidermide. Il voto sul lodo Alfano è stato di 9 a 6, per cui con lo spostamento di due voti si ribaltava la decisione. Il responso finale sarebbe stato: 7 a 8. Tralascio i membri della Consulta dichiaratamente talebani per i propri trascorsi politici, caratterizzati non solo da militanza di sinistra ma anche da attività antiberlusconiana, e mi soffermo solo su due membri della Corte che meritano una riflessione: Francesco Amirante e Paolo Grossi.

Il primo, Francesco Amirante, è nella Corte dal 2001 e proviene dalla Cassazione. Fu relatore nel 2004 del lodo Schifani che fu bocciato non con la motivazione ch’era legge ordinaria e non legge costituzionale, ma con rilievi che il Parlamento ha accolto in toto determinando la firma di promulga di Napolitano che con un ‘accompagno’ metteva in rilievo questa circostanza. L’aver cambiato oggi il proprio orientamento suona come conseguenza di una ‘moral suasion’ all’incontrario.

Il secondo, Paolo Grossi, nella Consulta dal febbraio 2009 per nomina di Giorgio Napolitano è il caso più eclatante. Egli non è stato nominato molti anni fa, per cui, di sicuro, era fuori dalla sindrome di appartenenza per motivi di riconoscenza, ma è stato nominato solo da pochi mesi. Sembra paradossale il suo atteggiamento che chiaramente ha contribuito a colpire prima di Berlusconi lo stesso Presidente della Repubblica che è sembrato essere stato sbeffeggiato dal pronunciamento della Corte. Le conseguenze del quale sono, nell’immediato, la tensione determinatasi tra Palazzo Chigi e Colle che addirittura ha portato, si dice, il Presidente della Repubblica a disertare il funerale di Messina per non incontrare il premier.

Successivamente, però, quello di sottrarre tempo al governo del Paese per permettere a Berlusconi di potersi difendere, da subito, dagli assalti giacobini. Permettere questa difesa fuori dagli impegni di governo, fra qualche anno, è stato presentato come uno scandalo! Ma a loro che importa del Paese? Sono beati e contenti, da Di Pietro, a Franceschini, a Bersani, a Santoro e compagnia cantando. Si, sono contenti che il buon governo debba essere limitato.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 10.10.2009

BAFFINO PENSA CHE IL POPOLO SIA BUE

No, non c’è speranza che la sinistra possa emendarsi dai suoi errori. Aver per lungo tempo teorizzato la propria superiorità l’ha spinta a considerarsi l’unica detentrice della verità, mentre gli altri erano e, per loro, continuano ad essere, solo un sottoprodotto da non degnare di alcuna considerazione. E non ci si riferisce solo allo sprezzante giudizio che la sinistra, comunque rappresentata, esprime nei confronti degli avversari, ma anche a quello che viene espresso nei confronti degli elettori quando non rispondono alle sirene sinistrorse.
C’è chi, senza nascondersi dietro al dito, esprime disprezzo verso chi non la pensa nel suo stesso modo, e chi invece, nascondendosi dietro a pseudo ragionamenti politici, usa più cautela, ma denuncia un truffaldino tentativo di una inutile “captatio benevolentie”.

Gli esempi più palesi di chi si trova nel primo gruppo non è rappresentato da quel talebano di un Michele Santoro che ha un pedigree chiaro e netto come il piazzista Beppe Grillo o la pasionaria Sabrina Guzzanti, ma da personaggi vestiti da aureole di grandi giornalisti o di grandi intellettuali come il guru Giorgio Bocca o l’architetto Fuksas. Il primo riferendosi ai cittadini italiani, quando impazzavano i referendum che lui non condivideva sentenziava, senza possibilità d’appello, che “non si affidano le sorti del Paese a trenta milioni di analfabeti di ritorno”, e in questi giorni ha risentenziato, ad Annozero, che in Italia ci si trova dinanzi ad una massa di incoscienti contagiati dal berlusconismo e che votano centrodestra solo perché inseguono il vergognoso modello del signore di Arcore. E Fuksas, prima di lui, aveva calcato la mano chiamando gli italiani, sol perché avevano fatto vincere Berlusconi, beceri e ignoranti. I due pensano che basti il loro ruolo di intellettuali per far digerire agli italiani ogni offesa e ogni doppiopesismo come quando si afferma che il popolo, per esempio, è mafioso se a Palermo o a Reggio Calabria vota PdL, diventa progressista se vota a sinistra.

Tra quelli, invece, che appartengono al secondo gruppo c’è la schiera di coloro che pensano d’essere politici fini e che nascondendosi dietro un dito siano capaci di aprire varchi nel fronte avversario. Il massimo di questa categoria è proprio un Massimo di solo nome, quel D’Alema che per anni ha dileggiato, attaccato e martirizzato il popolo socialista e che, oggi, afferma urbi et orbi di ‘non essere comunista ma socialista’ e di aver sempre considerato Craxi come un possibile e necessario alleato.

Il signore di Gallipoli fa finta di dimenticare che il suo odio contro i socialisti è così profondo da fargli scartare, in Italia, la stessa parola socialista dal nome del proprio partito o del proprio raggruppamento elettorale (Pci, Pds, Ds e Pd oltre a Progressisti, Ulivo e quant’altro), e d’aver sempre osteggiato la politica di Bettino Craxi, dal taglio dei 4 punti di scala mobile che ha contribuito a bloccare l’inflazione a due cifre che imperversava nel nostro Paese, alla scelta di dislocare i missili Cruise a Comiso che hanno fatto smantellare gli SS20 schierati dall’Urss contro le capitali europee.

Il lider maximo, meritandosi l’appellativo di smemorato di Gallipoli, rimuove la vicenda del via libera, richiesta a Craxi, per il proprio ingresso nel PSE, e cancella la sua inattività, come Presidente del Consiglio, per salvare l’uomo che oggi, da morto, dichiara che avrebbe voluto alleato. Egli così facendo offende Bettino, offende quei dirigenti che a lui si sentono ancora legati, e offende in modo irrecuperabile quel popolo socialista che non è poi così ignorante, becero, troglodita, bue come, col suo vergognoso tentativo di “captatio benevolentiae”, immagina che sia. E’ un popolo che non si è per nulla impaurito dall’andare nell’area moderata capeggiata da Silvio Berlusconi che D’Alema considerò “sviluppo del craxismo e non semplice prosecuzione dello stesso. Intreccio tra affari e politica che è la versione plebiscitaria del craxismo”.
D’Alema dimostra d’essere peggio dei Bocca o dei Fuksas.

NESSUNA SPERANZA DI UN CONFRONTO CIVILE

No, l’Italia non è un Paese normale. Forse lo è stato, ma oggi non più, e non per responsabilità, ovviamente, della propria gente, ma per la chiusura mentale di un’opposizione senza alcuna capacità politica avendo scelto di cavalcare ogni bestialità pur di attaccare, vera e propria ossessione, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi o, più vergognosamente, avendo scelto di farsi dettare la linea da altri e farsi trainare nel ridicolo.

Nel mondo occidentale e in ogni paese democratico, c’è una maggioranza e c’è un’opposizione. E in ognuno, la prima governa, la seconda sviluppa il proprio ruolo negli spazi e nei modi che la democrazia gli riserva e, quindi, si oppone decisamente a provvedimenti della maggioranza che contrastino con le proprie scelte politiche, ideologiche, etiche e religiose; si batte per modificarne altri, migliorandoli dal proprio punto di vista; ma si associa, senza tentennamenti, a provvedimenti che non sono né di destra, né di sinistra, ma necessari e urgenti per zone del Paese o frange di popolazione, e quando questi diventano realtà partecipa ai conseguenti festeggiamenti considerandoli frutto anche del proprio impegno.

In Italia, invece, ci si oppone ferocemente a tutto, in particolare a quanto propone la maggioranza il cui leader è Berlusconi. E poi si attende, speranzosi, che tutto si riduca ad un colossale flop per poter scatenare il relativo putiferio. Ma se, casomai, il flop non c’è, allora si perde il lume della ragione e si tenta disperatamente di creare il ‘casus belli’, di sviare l’attenzione, di creare tensioni, costruire martiri, santificare vere e proprie nullità, e dare addosso, come si dice al mio paese, all’ortolano cioè al Presidente del Consiglio.

Non è vero? Guardiamo assieme le vicende del terremoto de l’Aquila. La sinistra ha sperato, disperatamente, che gli ‘impegni’ assunti dal premier fossero un grande bluff e attendeva speranzosa, sulla sponda del fiume, il passaggio del cadavere nemico. Ma quando la realtà della concretezza degli impegni ha lacerato le speranze ‘gufiste’, apriti cielo: tutti ad abbaiare alla luna, e anziché gioire per il nuovo giorno che si apriva sugli aquilani, che avevano patito lutti e disagi, si avviava un meccanismo da sindrome degli esclusi che fa pensare impossibile un ritorno alla ragione. No, non c’è speranza che ciò avvenga. Nessuna speranza di un confronto civile.

Floris grida che c’è un vero attentato all’informazione per lo spostamento del suo Ballarò di due giorni; Franceschini, prima con sarcasmo, considera gli aquilani ‘comparse’ di uno spettacolo solo mediatico, poi paragona l’Italia alla Romania di Ceausescu e, infine, decide di sottrarsi alla trasmissione ‘Porta a Porta’ dove rischiava d’essere stritolato dalla forza dei fatti; strepita Santoro offendendo ed aggredendo il premier; e si stanno preparando alla chiamata alle armi i soliti Fo, Bocca, Camilleri, Mauro, Travaglio e quant’altri che, bisogna capirli, sono stati spiazzati da un risultato inatteso. C’erano stati troppi esempi negativi dal Belice, all’Irpinia, alle Marche per scommettere in modo diverso.

E’ avvenuto come a Napoli con la spazzatura. Anche là per esempio il guru Santoro disse che l’operazione non era fattibile e che Berlusconi era un grande imbroglione. Ne era tanto convinto che disse addirittura che se il premier fosse riuscito nella quadratura del cerchio si sarebbe messo in mutande. Berlusconi con Bertolaso riuscì nell’operazione e Santoro ha dovuto difendersi con i si, però. Povera sinistra, ma soprattutto povera Italia alla ricerca di una normalità che difficilmente potrà ritrovare in tempi brevi.

Anche se l’appello alla fine dell’odio giunge dal Vescovo dell’Aquila con un netto: ‘gli abruzzesi sono stanchi delle chiacchiere sterili e della politica dell’odio’ c’è sempre una Pezzopane che non rinuncia a spargere il proprio veleno.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 16.9.2009