PER D’ALEMA LA LIBERTA’ E’ UN BAVAGLIO AGLI AVVERSARI

La cosiddetta sinistra, oggi democrat , continua imperterrita a mordersi la coda. Prima blatera sulla libertà d’informazione nel nostro Paese, e lo fa facendo scendere in campo tutti i propri pezzi da novanta (si fa per dire), parafrasando un vecchio detto che recita: “quando la lotta si fa dura, i duri scendono in campo”. Poi riapre l’armamentario anti Berlusconi senza alcun freno trovando ospitalità e risalto nella grande maggioranza dei media italiani.

Soprattutto questo trito e ritrito attacco al premier è la dimostrazione della falsità della mancanza di libertà d’informazione che è, semplicemente, una bufala anche se ad affermarla si è speso lui, il più duro di tutti, il leader maximo, il Massimo D’Alema che sa egregiamente mischiare gli ingredienti per usare, quel che esce, anche come pietanza nell’imminente Congresso nazionale del suo partito e a sostegno del proprio candidato, l’on. Pierluigi Bersani.

Sapendo perfettamente che quel che rimane delle truppe che, baldanzosamente, scorazzavano per l’Italia, ragiona soprattutto con la pancia, tira fuori tutto il suo armamentario velenoso, sarcastico ed aggressivo nei confronti del suo principale avversario-nemico. Lo fa per non farsi scavalcare a ‘sinistra’ né all’interno da Marino e dal novello profeta Franceschini, né all’esterno dal sanguisuga Antonio Di Pietro che infatti dichiara che ‘finalmente cominciano a rendersi conto (nel PD ndr) che Berlusconi è un male e va fermato, non con meno ma con più antiberlusconismo’. Quindi per problemi interni si cavalca l’antiberlusconismo.

Il leader maximo, il giorno prima aveva decisamente respinto (polemica con Napolitano?) l’invito ad abbassare i toni con la motivazione che se bisogna abbassare i toni “dovreste dirlo al Direttore del Giornale, al Direttore di Libero e soprattutto al mandante dell’uno e dell’altro” dimostrando, ancora una volta, la rozzezza del proprio linguaggio e la propria chiusura mentale. Quando si afferma, infatti, che Feltri e Belpietro hanno un mandante e scrivono sotto dettatura, indirettamente è come dire che gli altri giornali (Corriere, la Repubblica, Il Sole-24 ore, l’Unità, Avvenire, Stampa, per citarne alcuni) non hanno ‘mandanti’ e scrivono quel che vogliono confermando che in Italia non c’è il bavaglio dell’informazione.

Ma se così stanno le cose a chi la canta il terzo candidato alla Segreteria del PD, Ignazio Marino, quando afferma: “Se dovessimo oggi chiedere l’accesso all’Unione europea, siccome per accedere è necessario come requisito quello di una stampa libera, noi non avremmo quel requisito”. Per Marino, quindi, anche gli altri giornali (la maggioranza) scrivono sotto dettatura. Verrebbe voglia di dire: mettevi d’accordo, innanzitutto, tra di voi, ma poi ci sovviene che anche Marino è a caccia di voti congressuali e, quindi, è in gara a chi le spara più grosse.

La verità, aldilà delle tattiche, è che vi è un “imbarbarimento dell’intreccio politico-mediatico” e la “responsabilità – come dice l’Associazione di giornalisti Lettera 22 con 400 iscritti – è di chi, come ‘Repubblica’ e ‘Avvenire’, ha finora usato la stampa come strumento di parte anziché di informazione” (www.lettera22.info). Che il PD accetti e pratichi, qualunque sia la motivazione, l’aggressione al premier ha aggravato la situazione determinando una vergognosa deriva.

La querela di Berlusconi contro alcuni giornali e la campagna di Feltri sulla moralità di un direttore sono certamente criticabili dal punto di vista dello stile, ma, proprio per la libertà di stampa tanto sbandierata dai democrat, sono ultra legittimi. Esse fanno il paio con querele di altro colore (D’Alema-Forattini, Di Pietro contro tutti, ecc.), e con altre vicende anche se costruite sul nulla (Noemigate , la scossa D’Addario, ecc.). Si tenta, comunque, di mettere il bavaglio ai moderati.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 8.9.2009

LA JIHAD DI LOIERO SULLA SANITA’ CALABRESE

Agazio Loiero, come se fosse il Presidente della Repubblica… calabrese, a reti unificate, ha tenuto per ben 36 minuti il video, all’ora di pranzo, per chiamare alle ‘armi’ il popolo calabro contro l’Italia , il cui Governo, presieduto dal feroce Saladino Silvio Berlusconi coadiuvato dal terribile Maurizio Sacconi, vuole commissariare la sanità della regione che presenta, euro in più o euro in meno, un disavanzo spaventoso di 2,166 miliardi di euro.

Ha pronunciato parole di fuoco per concludere che “Ci difenderemo. Lo faremo anche questa volta”, senza però dire come e quando intende por mano ai gravi problemi della sanità calabrese che, per dirla con la Mercegaglia , “presenta l’assurdo di un costo letto in ospedale superiore a quello del Nord, ma con servizi e assistenza abbastanza inferiori”. Anche Sacconi, che ha aperto il contenzioso con la Giunta Loiero invitandola a predisporre un vero e credibile piano di rientro dal buco finanziario accumulato, in riferimento ad ospedali con 20 posti letto disseminati in tutta la regione, ha solo detto che “ride solo per non piangere”.

Nella chiamata alle armi Loiero ha indirettamente dato credito alle critiche affermando che i cittadini calabresi scelgono per interventi anche banali, ospedali fuori regione. Lo ha fatto col vergognoso tentativo di scaricare sui camici bianchi le responsabilità di una sanità allo sbando frutto di una visione del settore piegata alla ricerca della clientela. Inaccettabile questo atteggiamento che offende capacità e professionalità di livello.

Ma il top del proclama si è raggiunto con la giustificazione per la reintroduzione dei tichets sanitari. Nessun accenno al populismo che sovrintendeva la scelta imposta da alleati riottosi, ma l’indicazione che il primato della spesa farmaceutica era da addebitare, scatenando un’ilarità infinita, ai turisti che in estate invadono la Calabria. Essi, i turisti, approfittando dell’assenza dei tichets facevano, negli anni passati, la scorta dei medicinali per l’inverno.

Assieme a queste sciocchezze il Loiero-pensiero si è distinto per la chiamata di correità con la passata Giunta Chiaravalloti che aveva lasciato un buco da 800 milioni, mentre oggi quel buco è diventato il traforo del Monte Bianco. Loiero e la sua Giunta cosa hanno fatto in quattro anni di governo? Non si può continuare a dire che si è trovata una situazione catastrofica e, quindi, la colpa è degli altri. Il primo anno questo discorso è legittimo, ma per gli anni successivi diventa una foglia di fico usata solo nascondere le vergogne di una gestione a dir poco allegra.

La verità è una sola: la politica politicante ha messo sotto ‘controllo’ un settore che va invece restituito al suo ruolo che è quello di salvaguardare la salute dei cittadini. Le scelte dei primari non possono rispondere a logiche di appartenenza, ma solo a competenza professionale e capacità dirigenziale e organizzative. I primariati non possono essere decisi per ‘sistemare’ qualcuno, ma vanno istituiti se servono alla collettività, così come gli ospedali sotto casa, se non servono a niente, ma solo a mantenere ruoli e prebende, vanno immediatamente chiusi.

Loiero e &, che hanno ‘usato’ la sanità per costruire un sistema di potere, non sono in grado d’uscire dal vicolo cieco in cui si sono messi. Il commissariamento è, quindi, più che necessario. Lo chiedono a gran voce, attraverso le proprie organizzazioni sindacali, gli stessi camici bianchi che hanno, con quest’atto, dichiarata la propria renitenza alla leva voluta dal guerriero Loiero. Ad arruolarsi, nella Jihad loierana, sono rimasti solo i consiglieri del PD e gli ‘utilizzatori’ del sistema. Si parla comunque di addetti ai lavori, non di cittadini che aspirano ad un’organizzazione sanitaria capace di curare e di non far morire.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 5.6.2009

LA CORTA MEMORIA DI FRANCESCHINI SUI CLANDESTINI

“Deriva razzista”. “Scontro Italia-Onu”. “Tensione in aumento tra Onu e Governo italiano”. Sono tra i titoli più usati per ‘descrivere’ lo stato della vicenda sul respingimento (brutto termine) dei clandestini che intendono entrare nel nostro Paese. Il tutto è accompagnato, con le dichiarazioni sempre più apocalittiche di Franceschini e Livia Turco, ma anche con le prese di posizione di esponenti della Chiesa cattolica, come monsignor Marchetto; con quelle ‘personali’ del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Hammarberg; con la discesa in campo dell’Alto Commissariato per i rifugiati politici delle Nazioni Unite; e, addirittura, con l’appello del Segretario Generale dell’ONU, Ban-Ki-Moon.
Sembra un ‘dejà vu’, non tanto per la vicenda in se, quanto per gli apporti che alle vicende italiane vengono collezionati sul piano internazionale. Si ha l’impressione di una regia che ‘recluta’, i ‘pronunciamenti’ col fine di ‘isolare’ il Governo Berlusconi e metterlo in difficoltà. E’ prassi normale per la sinistra, specialista in queste operazioni, che spesso usa giornalisti amici, di testate straniere, per farsi aiutare. Ma non era mai successo che scendesse in campo il Segretario Generale della Nazioni Unite a perorare la soluzione di un problema che ha solo un risvolto di vergognosa polemica interna all’Italia.

Il primo Governo italiano che ha deciso il respingimento dei clandestini è stato il Governo Prodi che bloccò, nel 1997, nel Canale d’Otranto, l’afflusso degli albanesi, purtroppo, con un risvolto drammatico. Lo speronamento di una imbarcazione albanese si concluse con un centinaio di morti. E il tutto avvenne, allora, senza alcun rispetto per il tanto invocato, oggi, diritto d’asilo. Ma questo Franceschini non lo ricorda.

Dal 2005 al 2008 l’Unione Europea ha realizzato il respingimento di ben 150.000 migranti sia via mare che via terra e negli aeroporti. Nei mesi estivi del 2006 e poi nel 2007 (imperante Prodi) l’Italia assieme a Spagna, Malta, Francia, Belgio e Grecia, ma sotto l’egida dell’UE, ha bloccato, respinto e rimpatriato con la forza decine di migliaia di clandestini. Ma anche questo il nostro eroe Franceschini fa finta di non ricordarlo. La sua memoria è sempre più corta.

La novità odierna sta nel fatto che si è, finalmente, realizzato un accordo con la Libia che prevede l’accompagnamento dei barconi nei propri porti. Questo accordo fu sollecitato dagli organismi dell’EU perché la maggior parte dei disperati parte proprio dalle coste libiche, e Piero Fassino e Francesco Rutelli, lo hanno ricordano lealmente. Non altrettanto ha fatto lo smemorato Franceschini che pensa di frenare così lo sbriciolamento del suo partito ridotto ormai a fantasma. Per dimostrare, comunque, la falsità delle sue posizioni e l’imbroglio dei sostegni internazionali basta qualche considerazione.

E’ giusta la preoccupazione degli organismi europei e dell’ONU, al netto dell’atteggiamento antiberlusconiano, di individuare tra i clandestini (soccorsi, non lo si dimentichi, in acque internazionali) quelli che sono in fuga da regimi autoritari e spietati. Ma perché questa individuazione non la si può fare in Libia? E perché dopo l’individuazione deve farsi carico di questo problema solo l’Italia? E gli altri paesi dell’EU che fanno, stanno solo a guardare e a fare le pulci al nostro Paese? Su questo l’Italia non ci può più stare.

Raccogliere migranti in difficoltà in mare è un dovere umanitario indipendentemente dal successivo sbocco. Raccoglierli nelle acque territoriali di un Paese diventano un problema di quel paese. Ma raccoglierli in acque internazionali è un problema di tutta la comunità internazionale. Gli episodi che hanno fatto smuovere il Segretario Generale dell’ONU sono avvenuti in acque internazionali. Ecco perché le sue parole sono soltanto parole in libertà e sostanzialmente fuori luogo.
Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 13.5.2009

PATETICI E VOLGARI UTILIZZATORI DELLA ‘COMPAGNA VERONICA’

Se quanto sta avvenendo nei confronti di quello che fu, per trent’anni, suo marito, col gossip elevato ad arma di lotta politica, fa ‘star bene’ la signora Lario, vuol dire che è completamente andata o è, anche se inconsapevolmente, in intelligenza col nemico. Le due ipotesi, comunque, non sono in alternativa tra loro, ma possono tranquillamente coesistere. Puntare al declino di Silvio Berlusconi , padre dei suoi figli, per soddisfare il proprio orgoglio e sentirsi protagonista, con un quart’ora di
celebrità, oltre che inconcepibile dimostra la ristrettezza di vedute e di analisi di una donna che non vede aldilà del proprio io; ma farlo utilizzando, come sempre del resto, strumenti della feroce campagna contro il premier, com’è la Repubblica, dà la sgradevole sensazione di un percorso studiato a tavolino e chiaramente premeditato in ogni particolare. Non sarà così?, ma così appare.

E il PD, complotto o non complotto, si è voracemente buttato sul ghiotto boccone, inaspettatamente, messogli a disposizione. Ancora una volta emerge la pochezza del suo essere, ridotto ad inseguire, con furia, capitoli di vita privata che in un primo momento erano stati, con molto fair play, scartati con la franceschiniana frase del “fra moglie e marito…”, tanto da indurre il premier a dichiarare che, per la prima volta, era d’accordo col Dario ferroviere. Nella base invece è esploso l’amore per la signora Veronica (tradita, vilipesa e trascurata). Si illude però la signora se pensa ad un amore senza interessi. Dopo mesi di sconfitte, di declino inarrestabile, di concorrenza dipietresca tesa allo svuotamento del PD, ci si aggrappa, come i naufraghi, a quel che, illudendosi, si pensa possa essere, finalmente, la svolta, e si ‘ama’ chi, si pensa, possa determinarla.

Ciò ha indotto Marcelle Padovanì ad affermare che Veronica “era l’unica in grado di bloccare il fantastico consenso di Berlusconi colpendolo alle ginocchia”, tanto da meritarsi l’appellativo di “compagna Veronica” così come vorrebbe il “popolo della sinistra”. Ma c’è anche chi, come Mario Adinolfi (Direzione nazionale del PD), senza giri di parole, dice chiaramente di bandire l’ipocrisia e valutare il divorzio di Berlusconi per quel che è: “un’occasione per il Partito Democratico”. Su questo terreno i più scatenati sono gli ex democristiani che incuranti del ridicolo stanno trasformando, quel che molte donne ingenuamente hanno pensato di considerare un simbolo del riscatto femminile, in una occasione di rivincita politica.

A loro (Rosy Bindi, Castagnetti e Franceschini e &) non importa nulla della signora Lario, interessa solo strumentalizzarne la vicenda, ‘utilizzarla’ senza alcuna remora, farne un cavallo di battaglia capace di riempire i trenta giorni di campagna elettorale che ci stanno davanti. Poveretti, non hanno una politica, sono senza bussola, cambiano mediamente un Segretario ogni due anni, quando vincono in uno sperduto paesino dell’entroterra esultano come bimbi che hanno trovato una caramella, hanno realizzato “un amalgama mal riuscito” (D’Alema) e accolto nel letto un classico riccio (Di Pietro) che li sta letteralmente spolpando. Non c’è più partita, ma continuano ad illudere e a illudersi che il vento possa cambiare.

Hanno trovato sostegno nelle Concite di turno, mandate, magari, avanti per non segnare un’assoluta presa di distanza che poteva essere interpretata come sfiducia al Segretario, ma non l’hanno trovato nell’on. Umberto Ranieri che invitando ad astenersi da ‘sgradevoli dichiarazioni’ su ‘fatti privati’ raccomanda di ‘non coltivare l’illusione che Berlusconi lo si possa sconfiggere utilizzando storie del genere’. Storie che si trasformano sempre in veri e propri boomerang.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 6.5.2009

IL DITO TRA MOGLIE E MARITO, SE SI RISCHIA IL BASTONE TRA LE RUOTE

Un vecchio detto recita che non bisogna mai mettere il dito nelle vicende che si aprono tra due coniugi. Ed è un adagio, tutto sommato, positivo. Il tirarsi fuori dallo scontro (il non mettere dito) evita lo schierarsi che, il più delle volte, aggrava la tensione tra i due ‘contendenti’ e non aiuta la riconciliazione. Esso va rispettato fin quando lo ‘scontro’ ha conseguenze solo personali. Ma non può essere così se dallo scontro ci sono ricadute che coinvolgono altri interessi.

Oggi, senza alcun dubbio, ci si trova in questa seconda ipotesi. Basta vedere con quanta ‘voracità’ ci si è buttati sul boccone, veramente inaspettato, che la sinistra di questo Paese si è trovato di fronte. L’interessarsi del problema, quindi, nasce dal fatto che il Presidente del Consiglio che, viaggia con un consenso incredibile, rischia di vedere interrotta la propria lunga luna di miele con il popolo italiano con tutto quel che ne consegue in riferimento alle scelte riformiste, al rinnovamento dell’Italia, al rafforzamento dell’appeal internazionale del Premier.

Stando così le cose, nessuna giustificazione è accettabile, dall’attacco di gelosia, alla difesa dei figli, alla sindrome di moglie trascurata. Bisogna, invece, ricordarsi la sopportazione e la lungimiranza, di altre mogli che hanno totalmente ignorato quanto è avvenuto sotto un tavolo della Sala Ovale della Casa Bianca, o le scelte di altre che, troncando ogni rapporto, hanno lasciato l’Eliseo. Ma neanche può pensarsi ad uno scivolone imprevisto e non preventivato perché non è la prima volta che il Presidente vien messo alle corde dalla propria consorte, a cui vengono assicurate le prime pagine dei giornali, non certamente perché si chiama Veronica Lario, ma perché essendo la moglie di Silvio Berlusconi può venire usata, con sapiente stimolo del suo amor proprio, come grimaldello per rompere il fortilizio del forte consenso accumulato.

Le uscite della signora Veronica, tra l’altro, sono inversamente proporzionali ai picchi sempre più alti di questo consenso. Sono lontani i tempi del pacifico ed amorevole “credo di essere stata una moglie perfetta per Silvio, per l’uomo che è. Ha potuto concentrarsi su se stesso e il suo lavoro, avendo una moglie che non gli ha fatto pesare –racconta nel libro Tendenza Veronica- la sua assenza all’interno della famiglia, non ha creato rivalità e non gli ha mai fatto la guerra”. Ma poi si sono fatte sempre più stringenti le scudisciate. Dalla prima, giustificata dal “morso della gelosia”; all’articolo pubblicato su Micromega (nemico giurato di Berlusconi) pro pacifisti; fino alle dichiarazioni pro referendum sulla fecondazione assistita.

Ma il clou delle dichiarazioni-scudisciate avviene con l’articolo su Repubblica (altro storico giornale nemico) col quale la signora Veronica chiede, al marito, pubbliche scuse per una delle tante innocenti estemporanee battute fatte dal Premier nei confronti di una bellezza femminile. Berlusconi lo fa e il caso rientra. Ma più tardi fa anche di più: suona una serenata alla moglie quando Veltroni, dopo una serie di complimenti (personalità di primo piano e grande autonomia intellettuale) la invita ad iscriversi al PD. La moglie è lusingata della serenata e anche Berlusconi apprezza molto il netto rifiuto di Veronica alla sirena Veltroni.

Oggi la storia continua. Non sappiamo se forse ci ha preso gusto, e le piace occupare la scena, ma a che le serve mettere continuamente in difficoltà il marito? Perché invece di dire ciò che pensa, non pensa prima a ciò che deve dire? Non guasterebbe riflettere, e riflettere a lungo sulle conseguenze di quanto si dice. Questi scossoni non servono a Berlusconi ed al PdL, e non servono al Governo del Paese. E solo ‘ciarpame’ che non serve ai terremotati dell’Abruzzo, ai disoccupati del Paese, e alle popolazioni che vogliono continuare sulla strada del rinnovamento e delle riforme.

Certo non si vuol mettere alcun dito tra moglie e marito, ma si vuole evitare che si possano mettere i bastoni sul percorso del Governo.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria 30.4.2009

CON GLI ‘ANNUNCI’ NON SI RIATTIVA IL PORTO DI SALINE

Un accorato appello, da parte della Società di acquacoltura “Orizon Group”, delle Cooperative di pesca “Stella Maris” e “ Nettuno”, e da parte dei pescatori dell’Area Grecanica, è stato di nuovo lanciato per risolvere il grave problema dell’insabbiamento del porto di Saline Joniche, in Calabria, che sta veramente mettendo in discussione un centinaio di posti di lavoro che, al contrario, potrebbero essere suscettibili di espansione.

La vicenda ha del grottesco. La Provincia dice d’aver fatto il proprio dovere scavando un varco momentaneo e permettendo l’uscita delle imbarcazioni e salvando, così, l’attività di molti operatori, ma adesso c’è necessità di un intervento più risolutivo per dare tranquillità a chi vive di pesca e permettere loro uno sviluppo delle proprie attività. Ma il problema sembra irrisolvibile. La Provincia non ha più soldi, e la Regione Calabria dorme sonni tranquilli impegnata, com’è, a tirare a campare, o ad elaborare la nuova legge elettorale.

E mentre i problemi languono, Loiero pensa di ‘tacitare’ le popolazioni interessate con ‘annunci’ di investimenti per impianti di produzione fotovoltaica, dopo un discusso protocollo d’intesa con l’API Energia , e facendo finta di dimenticare che l’investimento è sulla carta e che il finanziamento è ancora da definire. Ad applaudirlo non ci sono stati né i pescatori, né gli operatori delle Società e delle Cooperative del settore ittico, ma solo tre indomiti protagonisti: l’attuale sindaco di Montebello, Loris Nisi, l’on. Peppe Bova (nuovo guru della sinistra calabrese) e l’on. Liliana Frascà, tutte e tre impegnati, come non mai, a contrastare la costruzione della Centrale a carbone. Essi possono permetterselo perché non vivono di pesca, e possono accontentarsi degli annunci, ma i pescatori e gli operatori ittici non lo possono fare, perché hanno bisogno del porto subito e non in tempi biblici.

Ecco perché la vicenda ha del grottesco . Si rifiuta l’investimento CERTO di 1,2 miliardi di euro per costruire la Centrale, si rifiuta assieme a detto investimento la gestione del porto, certamente non in esclusiva, e la sua manutenzione da parte della Società svizzera Sei, si dice no alla messa in funzione di un pontile per il piccolo e medio cabotaggio, e no all’eventuale collegamento con le Eolie e la Sicilia.

Si rifiuta tutto questo, ma si fanno gli annunci e si imbroglia la gente parlando di inquinamento. Anche quà facendo finta di dimenticare che ogni centrale è obbligata, secondo quanto dichiarato dal Ministro Prestigiacomo, a dotarsi di un impianto di cattura delle emissioni di CO2; e facendo finta di non conoscere il grado di inquinamento del silicio, che si usa per i pannelli fotovoltaici e che è responsabile della silicosi contratta da molti nostri concittadini quando erano costretti a lavorare nelle miniere del Belgio.

Se si continua a rifiutare e a dire sempre NO, la Regione deve assumere direttamente la gestione del porto e la sua manutenzione, per non depauperare quel poco di occupazione esistente nel settore ittico. Almeno fino a quando questa classe dirigente non sgombrerà il campo.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 27.4.2009

IL PONTE E’ UNA SCELTA STRATEGICA IRRINUNCIABILE

Dopo il terremoto dell’Abruzzo, giocando sul dramma di quelle popolazioni, non si perde occasione per gridare ai quattro venti che mancando i soldi per la ricostruzione è necessario rinviare di qualche anno alcune opere infrastrutturali di grande peso, e fra queste, si chiede a gran voce il rinvio dello stesso Ponte sullo Stretto di Messina. Si approfitta della sciagura subìta dagli abruzzesi per tentare di bloccare un’opera strategica per lo sviluppo del Mezzogiorno.

In questa operazione si distinguono i soliti ‘sinistri’ e il trattorista molisano che dovunque si trovi, in qualunque trasmissione venga invitato, ripete in modo ossessivo e sguaiato la stessa richiesta di sospensione dell’iter realizzativo del Ponte per dedicare ogni attenzione, operativa e finanziaria, alla ricostruzione dell’Aquila e dei paesi colpiti dal sisma. Solo un misto di vergogna e pudore lo blocca nel chiedere la sospensione del Mose, della Tav e dell’Expo di Milano. O forse pensa che scontrarsi col Nord del Paese non sia per nulla salutare, mentre sembrerebbe più facile poterlo fare con il Sud? La Moratti è stata chiara, ammonendo con “il terremoto non fermi l’Expo. Non credo che la risposta sia non fare progetti che dentro di loro hanno capacità di creare ricchezza e posti di lavoro”. Vale per l’Expo, vale per il Ponte.

Bisogna, comunque, dire subito che gli interventi, massicci e urgenti, a favore dell’Abruzzo non sono per nulla in contrasto con la realizzazione di opere strategiche per l’intero Paese, anche perché non siamo, tra l’altro, un Paese così disastrato da essere messo in ginocchio per un terremoto ed essere sospinto a dover scegliere le priorità da affrontare. Se così fosse stato non saremmo la settima potenza industriale del mondo, e non avremmo potuto dire, alle nazioni amiche, che non avevamo bisogno di interventi finanziari come ha fatto il nostro premier Silvio Berlusconi.

La decisione di non sospendere l’iter del Ponte non va vista sol perché il problema finanziario è un falso problema, strumentalmente agitato dalla Casta del NO, ma deve essere letta per quello che effettivamente è: il non voler rinunciare ad una scelta strategica che può determinare una grande inversione di tendenza per l’intero Mezzogiorno. Pensare, come molti fanno, che il Ponte tutt’al più serve le due aree limitrofe di Reggio e Messina , e sarebbe una grande attrattiva turistica, il che è anche vero, sarebbe un errore. Il Ponte come rileva Zamberletti , Presidente del CdA Stretto di Messina Spa, ”è particolarmente strategico per il Sud perché, con il completamento del programma di alta velocità, il Mezzogiorno sarà collegato con il sistema ferroviario europeo rappresentando così un importante fattore di sviluppo per tutte le regioni meridionali”.

La vera novità del Ponte, rileva ancora Zamberletti, ”è che si tratta di un ponte ferroviario, e non solo stradale, che permetterà ai porti siciliani di diventare porti europei strategici con un grande vantaggio per quanto riguarda i costi di trasporto delle merci. Le merci in partenza dalla Germania e dirette verso l’Oriente, ad esempio, guadagnerebbero cinque-sei giorni di navigazione se dopo un transito in treno venissero imbarcati in Sicilia”.

Col Ponte, quindi, si darebbe l’avvio a grandi opere di infrastrutturazione a monte e a valle, e con esso avrebbe senso collegare Calabria e Sicilia all’Alta velocità rendendo veloce il corridoio Berlino-Palermo, e togliendo le regioni periferiche del Paese dal perenne isolamento in cui si trovano. Chi sbraita contro il Ponte, con argomentazioni cervellotiche (l’ombra del ponte disturberebbe il passaggio dei delfini), o con la diffusione di paure per le infiltrazioni mafiose che uno Stato forte può e deve saper controllare, o con subdoli marchingegni che, strumentalizzando il sentimento di pietà degli italiani per i lutti in Abruzzo, è un nemico vero, giurato e in malafede. E’ chiaramente un nemico del Mezzogiorno. Fra questi nemici primeggia Antonio Di Pietro.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria 18.4.2009

FOTOVOLTAICO, UN COLOSSALE… BLUFF DI LOIERO

Si, è così. Si può, tranquillamente, dire, dopo i recenti ‘annunci’ di investimenti fotovoltaici a Saline Joniche, che la montagna ha partorito… un colossale bluff. Senza alcun pudore Loiero, Governatore dell Calabria, ha presentato, con grande battage pubblicitario, la firma di un protocollo d’intesa con l’API Energia, facendolo passare per un accordo finalizzato SOLO agli investimenti per Saline Joniche. Senza alcun pudore si sono, successivamente, sperticati nelle lodi, guarda caso, l’on. Bova, l’on. Liliana Frascà e il sindaco di Montebello Jonico Loris Nisi.

Il primo problema al quale bisogna rispondere è quello dell’assenza, alla ‘storica firma’ di Roma, dell’Amministratore delegato dell’API Energia, Brachetti Peretti. Perché era assente? Pur non conoscendone i motivi va, comunque, rilevato che assumono consistenza le voci che circolano su una ‘ritrosia’ dell’Api a sottoscrivere l’accordo che invece è stato sollecitato, preteso e ‘imposto’ dal signor Governatore
che aveva ed ha l’urgenza di tacitare una comunità che comincia a percepire che gli ‘annunci’ altro non erano che semplici specchietti per le allodole.

Ma andiamo per ordine. Leggendo con attenzione i flash d’agenzia, si capì subito che non si trattava di un insediamento da localizzare solo a Saline, ma di diverse promesse (impianto per la produzione del silicio cristallino; filiera fotovoltaica per la produzione di fette, celle e moduli; filiera eolica per produzione componenti di turbine e relativo assemblaggio; impianto fotovoltaico diviso in varie zone e di una turbina eolica) da localizzare principalmente a Lametia (area ex Sir), Crotone (zona industriale) e Saline Joniche (area ex Officine Grandi Riparazioni della Ferrovie dello Stato).

Quindi l’occupazione sventolata è una vera chimera, lanciata irresponsabilmente dal Loiero. Ammesso che tutto verrà realizzato, esso sarà distribuito nell’insieme del territorio calabrese. Ma dal dire al fare c’è di mezzo il finanziamento . La parte pubblica del quale a quanto ammonta? Quando sarà decisa? Ci sono tutte le condizioni tecniche per poterlo fare? E ancora: che mercato ci sarà, per il tipo di produzione ipotizzato, tra cinque o sei anni quando potrebbero entrare in funzione gli impianti promessi? E in attesa di risposte l’area non sarà né industriale, né turistica, ma sede di arrugginite ferraglie elevate a ricordo nazionale degli sperperi effettuati nel Mezzogiorno, e chissà per quante decine di anni ancora.

I cittadini dell’ Area grecanica sono stati, quindi, serviti. Il ringraziamento lo devono a Loiero e a tutti quelli che, improvvisandosi scienziati, tecnici e ingegneri, hanno seminato tra la gente paure ed allarmismi. Oggi ci si trova con un pugno di mosche, perché l’impianto ipotizzato nell’ex Ogr, sarà, né più né meno che una cattedrale, anzi una chiesetta, nel deserto . Al contrario del polo energetico, che può essere rappresentato dalla Centrale a carbone, dall’impianto di produzione di pannelli fotovoltaici e da un Centro di ricerca per le energie alternative, detta ‘chiesetta’ non modifica di una virgola lo status della zona e la vergogna di un porto insabbiato e inutilizzato.

La strada del confronto sereno e civile, come avevamo proposto, tra Regione, Enti locali interessati, Api e Sei, è stata fatta cadere nel vuoto, ma rimanendo la più valida, essa va ripresa e rilanciata perché se da una parte non c’è contrapposizione tra i diversi investimenti ipotizzati, dall’altra non si possono ignorare le recenti indicazioni che vengono da importanti Istituti di Ricerca come Nomisma (fondata nel 1981 da Prodi) che sollecitano il Governo a reinvestire sul carbone, riequilibrando le fonti energetiche e utilizzando, immediatamente, i siti di Porto Tolle (Rovigo-Veneto), Montalto di Castro (Viterbo-Lazio) e Rossano (Cosenza-Calabria). Non ne sapeva nulla il nostro caro Governatore che sempre più sembra un vero prestidigitatore?

Sbaglia, comunque, il signor Loiero, se pensa che la partita sia chiusa. La palla a questo punto passa ai cittadini, agli amministratori dell’area e a tutte le forze della maggioranza che non possono stare alla finestra a guardare mentre un imbelle Governo regionale determina l’ennesima ‘porcata’ ai danni delle nostre popolazioni.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 9.4.2009

IL TERREMOTO DELL’ABRUZZO, E L’’EPPUR SI MUOVE’

Ha fatto, certamente, impressione l’intervista fatta da Bruno Vespa a Giampaolo Giuliani, la sua tranquillità nel rispondere alle domande, e ancor di più l’intervista pubblicata da Il Giornale con la quale l’interessato illustra il metodo di indagine usato che è basato sulla misurazione della presenza del gas randon che, se rilevato in misura considerevole, anticipa di almeno sei ore il verificarsi di un terremoto violento.

Hanno fatto anche impressione i giudizi sferzanti che accademici, esperti, scienziati vari hanno rilasciato contro Giuliani fino, addirittura, ad arrivare a precisare che il ‘Giuliani non è un collaboratore LAUREATO ed è adibito ad altro progetto’. Sapere poi che lo stesso è stato denunciato per procurato allarme mi ha fatto pensare che passano i secoli ma non cambiano i sistemi di difesa delle ‘certezze’ acquisite che vengono difese senza alcuna remora. Non voglio esagerare ma mi è venuto in mente il ‘eppur si muove’ di Galileo e la difesa delle verità acquisite che la Chiesa allora fece.

Oggi, liquidando il metodo sperimentale, e ignorando ipotesi di lavoro, da scartare se vengono da NON laureati, la nuova Chiesa dei moderni scienziati, fa la stessa cosa: difende se stessa, i propri ruoli, i propri privilegi, magari guardando e sperando in uno sbocco politico. Certo non penso che lo faccia in malafede, ma è la logica conseguenza dello stare su un piedistallo a crogiolarsi del proprio ruolo, dei riconoscimenti e delle prebende. Il problema di oggi, rispetto ai tempi di Galileo, è che, in materia di terremoti, non si può ignorare un vero e proprio grido d’allarme, perché le conseguenze possono essere spaventose.

Sollecitati da Bruno Vespa due esperti laureati, in diretta tv, hanno, si, accettato di studiare i dati raccolti dal non laureato, ma hanno teso a lanciare l’ultimo strale avvelenato dicendo che se si ‘prevede’ continuamente che ci sarà il terremoto prima o poi ci si azzecca. Come dire, ci costringi a verificare quanto prodotto da Giuliani ma fin d’ora ti diciamo ch’egli è solo un ciarlatano senza respiro scientifico perché ‘non è laureato’, e comunque che ci mandi il suo lavoro, lo verificheremo. No, signori, state continuando a sbagliare tutto. Con umiltà dovete correggere il vostro sistema di valutazione ed abbandonare l’idea che ‘non si possono prevedere i terremoti’. Fin’oggi è così, ma la ricerca a che serve?

C’è un signore, anche se non laureato, ch’è patito della ricerca sui terremoti, che ha inventato una macchinetta, ‘precursore sismico’, per misurare il randon, gas che si sprigiona per la compressione tra le zolle sotterranee, e ha usato un sismografo per studiare gli sciami sismici. Questo ‘ciarlatano’ sostiene che bisognerebbe avere diverse postazioni per triangolare i rilievi e individuare con precisione dove si scatenerà il terremoto. A me, uomo della strada, e abitante in una zona altamente sismica qual è Reggio Calabria, sembra ce ne sia abbastanza non solo per verificare i dati raccolti ma soprattutto per avviare un progetto di approfondimento, applicazione, studio ed ulteriori ricerche. Questa del gas poi dimostrerebbe il perché i cani ‘sentono’ l’approssimarsi del terremoto. E’ notorio, infatti, la loro forte capacità olfattiva ch’è ben superiore a quella dell’uomo.

Risolvere il problema della ‘previsione’, anche se di poche ore, può ridurre quasi a zero il problema dei morti da terremoto. E’ chiaro che vanno approntati efficienti piani di immediata evacuazione dalle zone interessate. La ‘previsione’ non risolverà certamente i problemi dei danni materiali come la distruzione di fabbricati, strade, linee ferrate, linee elettriche, patrimonio artistico e storico. Quelli dipendono dall’uomo, da come costruisce, da come aggira le leggi, da come difende il proprio patrimonio. Il terremoto non uccide si è detto, ma è l’uomo che lo fa con le sue avventatezze. Giappone e California insegnano.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, lì 8.4.2009

PdL, L’EVOLUZIONE NECESSARIA DAL ‘CONTRO’ AL ‘PER’

Non c’è alcun dubbio che la falsa rivoluzione di ‘mani pulite’, liquidando gli stati maggiori dei partiti che avevano governato l’Italia dal dopoguerra agli anni novanta, aveva lasciato disorientata, smarrita e spaventata la maggioranza del popolo italiano. La paura della ’gioiosa macchina da guerra’, messa in piedi da Achille Occhetto, e pronta a cogliere, in modo indiscutibile, quel potere inseguito per oltre quarant’anni, stava giocando un brutto scherzo al popolo moderato, per la propria incontrollata dispersione.

L’avanzata, come carri armati, della supponenza, dell’arroganza e della presunzione degli ex (?) stava rischiando di diventare elemento di rottura degli equilibri democratici del Paese, perché aveva diffuso a iosa la paura dell’intolleranza prima, e della fine della democrazia subito dopo. L’affacciarsi sulla scena politica di un neofita, dopo il rifiuto di raccogliere il testimone da parte di alcuni superstiti dirigenti democristiani, ha offerto un rifugio a quanti non volevano sottostare a regimi autoritari che sono sempre lo sbocco obbligato di intolleranti e supponenti.

Forza Italia, messa in piedi in pochi mesi da Silvio Berlusconi, fu vista subito come l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi. E ad essa ci si è aggrappati facendo naufragare le speranze degli eredi di Stalin. Il blocco della macchina da guerra è stato realizzato su un chiaro terreno di opposizione. Forza Italia è nata per dire no ai comunisti, no al ‘golpe giudiziario’, no alla ghigliottina senza processo, no alla deriva autoritaria. Lo schierarsi in modo chiaro e netto contro tutto ciò ha fatto realizzare, insperabilmente, il primo grande successo, ma l’alleanza era ancora abbastanza indistinta e confusa.

Ma i successi costruiti sul terreno del ‘contro’ non hanno lunga vita. Per averla c’è bisogno soprattutto della politica del ‘per’ come quella fatta in tutti questi anni. Non si spiegherebbero altrimenti i successi che sono seguiti e il gradimento dell’attività governativa che continua ad incrementarsi ancora oggi a 10 mesi di distanza dall’insediamento del Governo Berlusconi, e a 15 anni dalla sua ‘discesa in campo’. Si è fatta una politica ‘per’ con un programma chiaro, con obiettivi condivisi e con realizzazioni ‘frenate’ solo dagli ostruzionismi dell’opposizione e da un Parlamento stretto da lacci e laccioli di regolamenti obsoleti. L’abbaiare alla luna, sport preferito dal PD, sia quand’era diretto da Veltroni che oggi quand’è diretto da Franceschini, lascia il tempo che trova, non modifica l’orientamento della gente, e fa inanellare sconfitte su sconfitte.

Non c’è stata e non c’è proposta, iniziativa, decreto o orientamento del Governo che non sia sottoposto al fuoco di fila degli oppositori. Che questo lo faccia Di Pietro è comprensibile mancandogli un retroterra politico, ma che lo faccia un partito, il PD, che ha esperienza e storia è semplicemente incomprensibile. In dieci mesi si sono minacciati scioperi, manifestazioni, referendum popolari e sfracelli più o meno risolutivi sulle proposte, in larga parte trasformate in leggi o rese operative, come quelle sull’Alitalia, sulla scuola, sulla giustizia, sui fannulloni, sul federalismo, sulle social card, sui bonus famiglie, sugli ammortizzatori sociali, sulle grandi opere, sul sostegno alle imprese, sull’energia, sulla sicurezza, sugli immigrati, sul testamento biologico, e, da ultimo, sul Piano Case.

E’ sui fatti concreti che si conquista in modo duraturo l’apprezzamento dei cittadini e il loro sostegno. E’ sui fatti concreti che continuerà ad operare il nuovo strumento dei moderati riformisti, il PdL che con la propria nascita garantisce un percorso col quale si intende modernizzare in profondità l’intero Paese. E questo con o senza l’apporto dell’opposizione.

Giovanni ALVARO
Reggio Calabria, 3.4.2009

LA STORIA DEL SOLDATO GIAPPONESE NON CI APPARTIENE

Con il Congresso costitutivo del PdL , si chiude un ciclo, si formalizza la fine di una fase e si dà avvio a un nuovo capitolo della lunga storia riformista italiana. Non cesseranno di esistere le diverse sensibilità che, tra l’altro, non si neutralizzano per decreto, e continueranno a esistere involucri organizzativi che sono destinati a svuotarsi totalmente, nel corso di pochi anni: il tempo della metabolizzazione concreta del processo di amalgama organizzativo, essendo già più che realizzata l’amalgama politica.

Disperarsi, come fanno alcuni socialisti, per la possibile liquidazione di simboli e vessilli, non serve a niente: i processi politici vanno avanti comunque indipendentemente dalle singole volontà. La nostra storia, la storia dei socialisti autonomisti, dei socialisti che si rifanno a Turati, Saragat, Nenni e Craxi , è ormai storia e nessuno potrà mai cancellarla. Anche altre forze, come il Nuovo PSI, rinunceranno ai propri vessilli ed ai propri simboli. Esse avranno sicuramente una storia meno antica ma non per questo la loro è una storia meno vissuta e meno sentita. Sull’altare di un progetto comune di rinnovamento, di riforma e di modernizzazione del Paese ognuno ha dovuto, deve, sacrificare qualcosa e rinunciare a un brandello del proprio abito.

Si è scelto, infatti, di liberarsi dei simboli individuali, parziali e partigiani, rifuggendo dal condizionamento delle ideologie, per privilegiare i comuni denominatori che hanno aiutato il popolo italiano a rifiutare la ‘falsa rivoluzione’ di ‘mani pulite’ stroncando sul nascere la ‘gioiosa macchina da guerra’ messa in campo, dai ‘golpisti’, dopo la decapitazione dei partiti moderati (DC, PSI, PRI, PSDI, PLI) che avevano governato l’Italia, la sua rinascita e il suo sviluppo fino a farne la settima potenza mondiale. E già allora, sul terreno dei contenuti, si avviava una convergenza con la destra parlamentare dell’MSI. Craxi, che puntava a superare l’ingessatura del sistema, rendendo spendibile una forza indispensabile alla trasformazione politica del Paese, dimostrava la propria grande lungimiranza.

Sorprendersi oggi, ed attardarsi in inutili dibattiti sulle ‘contraddizioni’ delle alleanze non omogenee (?) ripresenta la storia del soldato giapponese che non si era accorto che il mondo aveva imboccato un’altra strada. Chi invece percepisce le novità storiche dello scenario politico sceglie, non l’atteggiamento da reduce e combattente, ma quello concreto e fattivo di sostegno ad un processo impegnativo, realizzato su valori di fondo e, di conseguenza, su obiettivi che quei valori debbono esaltare.

Riformismo, laicismo, liberismo e garantismo sono le cartine di tornasole di questa scelta che deve svilupparsi non ignorando la crisi che sta sconvolgendo tutto l’Occidente , le grandi migrazioni extracomunitarie e non, il terrorismo e la instabilità in diverse zone del pianeta, e lo stesso provincialismo di settori della politica italiana. Su detti argomenti l’amalgama moderata e riformista del Governo Berlusconi, voluto dagli italiani 10 mesi fa (e che ancor oggi ha il gradimento della stragrande maggioranza della popolazione), sta operando con grande e apprezzata determinazione. Il Governo, oltre al suo leader, ha ministri di levatura incredibile che sono vanto per l’intera comunità italiana.

Le misure anticrisi hanno visto il nostro Paese anticipare un percorso cui si sono poi accodati tutti: aiuto alle imprese in crisi, sostegno ai redditi bassi, più efficienti e corposi ammortizzatori sociali ai lavoratori licenziati, avvio o rilancio delle grandi opere infrastrutturali (Ponte,Tav, Mose, autostrade), prime ‘pietre’ di una nuova fase energetica del Paese, e da ultimo il Piano case; la forte migrazione, sostanzialmente non negativa per il Paese, ha dovuto essere controllata con misure più adeguate a gestire i flussi e atte a liquidare penetrazione e formazione di sacche di criminalità che hanno, ultimamente, allarmato l’opinione pubblica; e in politica estera il protagonismo dell’Italia ha evitato il proprio isolamento e ha aiutato il ruolo di mediazione in difesa della pace e per il controllo e la soluzione dei focolai esistenti. Su ogni provvedimento si è dovuto, purtroppo, assistere all’abbaiare alla luna di una opposizione sempre più alla ricerca di autori.

Il Nuovo PSI è parte integrante di questa politica e di questo processo. Lo vuole vivere non da spettatore ma da protagonista, nei limiti della propria forza, certamente, ma con la voglia di mettere a disposizione della coalizione, l’esperienza, la passione e la competenza dei propri quadri, almeno quelli rimasti, avendo il grosso dei socialisti, già da tempo, fatto questa scelta.

Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 26.3.2009

GIANFRANCO FINI, DEMOCRATICO AFFIDABILE?

Anche se la telenovela di un Fini uomo di sinistra è diventata veramente stucchevole, essa si presta ad alcune considerazioni sulla doppiezza dei post e catto-comunisti, e merita qualche riflessione. E’ un’esigenza che sentono, soprattutto, i socialisti quelli, per intenderci, che hanno rifiutato l’egemonia di lor signori, e sono stati ripetutamente tacciati di ‘tradimento’ perché ad un’alleanza ‘normale’, a sinistra, hanno preferito fare una scelta di campo considerata ‘scandalosa’.

Ricordano un po’ tutti, ma soprattutto gli interessati, che il liet-motiv della polemica era rappresentato dal disgusto per un’alleanza con gli ‘eredi del fascismo’ rappresentati dai vecchi ma anche dai nuovi dirigenti dell’ex MSI. In particolare veniva attaccato proprio Fini, e a nulla serviva dire che, dopo Fiuggi essi si erano ‘mondati’ del peccato originale rappresentato dall’essere uomini provenienti da una ideologia sconfitta dalla storia, ed erano ormai una forza genuinamente riformista e sicuramente democratica.

Valevano, nel ragionamento dei socialisti craxiani, le scelte garantiste e riformiste decise da AN assieme all’intera coalizione, prima, della Casa e, dopo, del Popolo delle Libertà. Per anni, invece, gli ex comunisti hanno coperto di contumelie ed indicato al pubblico ludibrio quanti risultavano alleati di Silvio Berlusconi e di Gianfranco Fini.

Ma son bastate alcune dichiarazioni del Presidente della Camera per cambiare registro e musica. Non le dichiarazioni tipo: ‘le leggi razziali sono state un’ignominia’, o addirittura ‘il fascismo è stato il male assoluto’. No, non queste, ma quelle più, terra terra, tipo: – no al cesarismo; – no all’abusato ricorso ai decreti legge; – no alla tassa agli immigrati; – no all’obbligo per i medici a denunciare i clandestini curati; – si al voto agli immigrati; – no al voto delegato ai capigruppo; ed altre simili. Non, quindi, le dichiarazioni che dimostravano la rottura col proprio passato ideologico, ma le dichiarazioni che potevano essere interpretate come una presa di distanza dal suo maggiore alleato, cioè il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
E allora Fini diventa un uomo politico con una solida e condivisibile cultura democratica di base, addirittura un democratico di cui ci si può fidare, né più e né meno di un Veltroni prima e di un Franceschini dopo. Anche la proposta, avanzata scherzando, che lo vedeva come novello Segretario del PD, s’inquadra in questo corteggiamento, in questo improvviso innamoramento, che liquida in un colpo solo tutte le frasi fatte sull’uomo nero, il fascista impenitente, l’erede degli stragisti, l’essere immondo da cui tenersi alla larga.

Ebbene: o hanno visto giusto, e in anticipo, i socialisti riformisti e craxiani del Nuovo PSI accettando Fini come alleato, o si pensa di forzare alcune posizioni per puntare, illusoriamente, allo scardinamento della solida alleanza che sta portando verso la costruzione del PdL. Comunque tutte e due le ipotesi sono valide perché se i socialisti avevano visto giusto, aldilà di un’inutile e non richiesta certificazione dell’attuale sinistra, i catto-comunisti strumentalmente pensano di creare problemi ad una coalizione realizzata su dati valoriali e non elettorali.

Si ripete la vecchia storia del Bossi ‘costola della sinistra’. Ma è un giochetto senza respiro politico basato solo su qualche accarezzamento che risulta offensivo dell’intelligenza dell’interessato. Ogni discesa, è opportuno ricordarlo, è anche una salita. Sarà difficile dire domani che Fini è invece un uomo nero.
Giovanni ALVARO

Reggio Calabria, 18.3.2009

IL PONTE SULLO STRETTO VERSO LA REALIZZAZIONE

  • Com’era prevedibile le decisioni del CIPE di finanziamento di importanti opere pubbliche e, con esse, del Ponte sullo Stretto di Messina, ha scatenato una marea di dichiarazioni negative, al centro come in periferia, sulla sua inutilità, sulla sua dannosità, e sul fatto che esso sia addirittura devastante (sic!). Si affermano così concetti netti, come verità rivelate, senza un briciolo di supporto scientifico e di rispetto dell’intelligenza altrui.

    Si sbizzarriscono, in questo coro univoco, dalle Alpi alle Piramidi, non solo i tradizionali signori del ‘verde’ che da esso traggono la loro ragion d’essere, ma anche le stesse forze politiche d’opposizione che tentano di cavalcare così qualunque argomento sperando di recuperare punti di consenso nell’opinione pubblica, non comprendendo però quanto la gente, di destra e di sinistra, consideri il ‘NO’ urlato soltanto un specie di accanimento pregiudiziale e politico contro un’opera che, non solo nell’immaginario collettivo, viene vista come la possibile svolta socio-economica delle nostre terre.

    Viene comunque da ridere dinanzi alle affermazioni perentorie dei ‘signor NO’ tra le quali spicca quella della Francescato (Verdi) che, dopo aver affermato, nei mesi scorsi, l’esilarante preoccupazione del disturbo che veniva causato, alla millenaria rotta dei delfini, per l’ombra proiettata sulle acque del mare, oggi afferma che “quella della realizzazione del Ponte sullo Stretto è solo un megaspot pubblicitario pensato da Berlusconi per oscurare la grave crisi economica che sta avvolgendo il nostro Paese”. Capito? E’ solo uno spot pubblicitario per distrarre la gente dalla crisi che interessa tutto il mondo occidentale. E mentre Barack Obama viene applaudito, anche dalla Francescato, per il ‘colossale progetto di interventi’ per opere pubbliche e infrastrutturali, il Governo italiano, presieduto dall’odiato Silvio Berlusconi , viene sistematicamente attaccato.

    Stavolta, però, i signori del ‘NO’ che argomentano che ci sia altro da fare al posto di faraoniche realizzazioni, hanno avuto le unghie spuntate perché assieme al finanziamento del Ponte, nella stessa seduta, il Cipe ha finanziato anche, per la Calabria, il completamento dell’A3 e il terzo megalotto per la Ss 106 jonica, e le loro dichiarazioni sulla dannosità e sulla devastazione causata dell’opera perché ‘sconvolgerebbe’ il territorio, risultano semplicemente patetiche. Chi non conosce queste nostre terre viene chiaramente tratto in inganno, ma chi le conosce rimane allibito: qual è questa terra che si sconvolgerebbe? Forse il brullo altipiano di Santa Trada? Bisognerebbe smetterla di far ridere i polli. Ben venga, quindi, il Ponte.

    Esso unirà, anche fisicamente, le due sponde, con tutto ciò che questo comporta per superare l’isolamento, abbattere i tempi di percorrenza tra continente ed isola, accelerare il processo di avvicinamento dell’Italia ai paesi rivieraschi dell’Africa, creare, finalmente reali e consistenti correnti turistiche, e concrete correnti di flusso merceologico col resto d’Italia e dell’Europa. E’ anche l’UE che ce lo chiede con la individuazione del famoso corridoio Berlino-Palermo.
    L’opera, veramente gigantesca, è una grande occasione occupazionale nella fase di costruzione, un chiaro investimento anti crisi e un’occasione di avanzamento tecnologico delle nostre imprese. Essa sarà un punto di riferimento e di attrazione che determinerà una reale svolta economica per l’intera area interessata. La mafia, infine, è solo uno spauracchio: lo Stato ha i mezzi per contrastarla adeguatamente. Avanti, quindi, Governo della Libertà, recupera il tempo che il Governo Prodi ci ha fatto perdere.

    Giovanni ALVARO
    giovannialvaro.wordpress.com

    Reggio Calabria, lì 8.3.2009

  • PER L’ENERGIA VANNO CENTRALIZZATE LE COMPETENZE

  • Dopo aver allevato generazioni di ‘signor NO’, i più grandi ‘guru ecologisti’ del mondo (Mark Linas, Stephen Tindale, Chris Smith of Finsbury, Chis Goodall) hanno dichiarato d’avere sbagliato a criminalizzare le centrali nucleari, aprendo, quindi, le porte ad una stagione di razionalità. Il processo innescato sarà, però, veramente positivo se altre riflessioni seguiranno per liquidare i luoghi comuni sul carbone (troppo a lungo considerato una specie di peste bubbonica), e aiutare lo sdoganamento di una fonte meno costosa per la produzione di energia, meno soggetta ai ‘ricatti’ dei fornitori di gas e di petrolio, o meno condizionata dalle crisi politiche regionali.

    I ‘signor NO’ , allevati ad essere ‘contro’ , con l’alibi della difesa dell’ambiente, si sono sistematicamente opposti a tutto quello ch’era investimento e sviluppo economico. Le crociate hanno riguardato sia la produzione di energia, perché, ‘inquinerebbe’ indipendentemente dai progressi tecnici e scientifici realizzati; che le infrastrutture perché sconvolgerebbero il territorio e perché ci sarebbe sempre qualcos’altro da fare prima.

    Come i replicanti della fantascienza, i signor NO pullulano e si moltiplicano senza sosta (soprattutto in Italia), e condizionano purtroppo ogni attività produttiva. Ciò è avvenuto a Civitavecchia, nel Lazio; si stava producendo a Polesine Camerini, nel Veneto; e sta avvenendo a Saline Joniche , in Calabria. Le tre situazioni citate hanno in comune il NO pregiudiziale degli ambientalisti di professione; lo sbandieramento dei luoghi comuni sulla difesa della salute, come se gli altri fossero dei novelli Frankenstein; e i percorsi ad ostacoli che si son dovuti, o si devono, superare per realizzare quanto è necessario al vivere civile di questo nostro Paese.

    Ma le tre situazioni si differenziano, sostanzialmente, per il comportamento degli Enti locali, dei Sindacati, e per la disponibilità o meno al confronto, alla discussione ed alla verifica dei progetti e delle ricadute. In estrema sintesi:
    • nel Lazio, a parte alcune legittime iniziali diffidenze, si son sapute cogliere le opportunità offerte dall’insediamento della centrale a carbone di Civitavecchia realizzando un gioiello tecnologico che è già diventato meta di visite internazionali da parte di tecnici di ogni paese;

    • in Veneto, le lungaggini per la riconversione a carbone della centrale ad olio combustibile (altamente inquinante), hanno provocato iniziative di lotta dei Sindacati, con manifestazione a Roma, al grido di: “non vogliamo essere le prime vittime di chi non decide”, e non bisogna “perdere un investimento di 2,2 miliardi di euro, di fronte all’attuale recessione”;

    • in Calabria, a fronte di intelligenti aperture, tese al confronto e alla verifica ambientale, di diversi Comuni interessati (i cui Sindaci conoscono la triste realtà economica delle proprie zone), si registra, purtroppo, la chiusura pregiudiziale e nichilista della Regione Calabria, che ha spinto la Società, interessata all’insediamento, a presentare ricorso al TAR.

    Le tre vicende, ma se ne possono elencare molte altre, pongono con forza l’urgenza di rivedere l’articolo 117 della Costituzione per eliminare, nel settore dell’energia, l’assurdità delle competenze ‘concorrenti’ che paralizzano i processi decisionali e determinano una vera ingovernabilità nel settore, regalando un ampio potere di manovra ai movimenti ambientalisti.

    Le competenze, regolate dal titolo V° della Carta (modificato dal Governo Prodi), non possono essere divise con le Regioni, che hanno una visione molto parziale delle necessità del paese, ma vanno riconsegnate allo Stato. Ne è convinto lo stesso Ministro Scajola che nel suo intervento al Convegno dei Giovani Imprenditori svoltosi a Capri il 3 ottobre scorso, ha sottolineato la necessità di riportare al centro tutte le competenze in materia energetica, dichiarando: “sono convinto che la politica energetica, al pari della politica estera, della difesa e della sicurezza, deve essere attribuita in via esclusiva alla competenza dello Stato”, e poi continuando con: “la riforma federale dovrà prevedere una redistribuzione di attribuzioni tra centro e territorio, per evitare conflitti di competenze che finiscono per paralizzare le iniziative”.

    Se ci si vuole liberare, veramente, dei lacci e dei laccioli che imprigionano i processi decisionali per le grandi infrastrutture energetiche, fermo restando le valutazioni di impatto ambientale che non devono mai essere considerate acquisite definitivamente o date per scontate, questa è la strada da imboccare senza alcuna riserva.

    La vicenda, infatti, delle localizzazioni delle centrali nucleari esplosa, malgrado il cambio di marcia dei più importanti guru ambientalisti del mondo, con la levata di scudi di diverse regioni e di molti comuni è emblematica dell’urgenza di sottrarre la competenza energia a valutazioni che, non essendo globali, sono chiaramente molto parziali e, il più delle volte, sono anche ‘valutazioni’ non economiche o scientifiche ma di semplice ‘opportunità’ politica, o scaturite da palese assenza di quella dote che mancava al don Abbondio manzoniano.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria, 27.2.2009

  • NESSUN ONOR DELLE ARMI A WALTER VELTRONI

    E’ condivisibile pienamente la prima parte dell’articolo di Vittorio Sgarbi sulle cause che hanno portato Walter Veltroni alle dimissioni, non più rinviabili, da Segretario Nazionale del PD . Sono condivisibili le argomentazioni, ivi inserite, che stanno alla base di un abbandono che non era più procrastinabile, ma che anzi era diventato addirittura un atto dovuto, per evitare di scivolare nel cosiddetto ‘accanimento terapeutico’.

    Alle sottolineature sui colpevoli silenzi sulla vicenda di Del Turco, all’incomprensibile inerzia sulla vicenda dell’arresto del sindaco di Pescara, alla soggezione al populismo dipietresco, vanno aggiunte anche la perdita di ogni bussola dinanzi alla questione morale esplosa anche a sinistra, l’incredibile uso del maanchismo con il quale si dava un colpo al cerchio ed uno alla botte, l’allarmismo sugli inesistenti rischi per la Repubblica paventando una deriva antidemocratica, e un lessico fatto solo e soltanto di luoghi comuni. Ma non si può condividere la chiusa finale dell’articolo con la quale Sgarbi rende onore al caduto.

    No, non è possibile offrirgli l’onore delle armi come si usa offrire ad ogni caduto. Non lo merita, Veltroni, simbolo di una classe dirigente incapace, inconcludente e, anche, pericolosa. Non lo merita veramente. Pur non essendo maramaldi, usi a infierir sui morti, non riusciamo a perdonargli le grandi responsabilità, non tanto verso il proprio partito (questo è problema che non ci interessa), quanto verso la democrazia del Paese: per l’odio che ha seminato avvelenando il clima politico e per le gemmazioni prodotte che, dopo ‘palombelle’, girotondi, Fo, D’Arcais, verdi, Grilli, sinistre radicali e, più recentemente, Pardi, Cammilleri e Levi di Montalcino, ha portato allo sviluppo incontrollato dell’IDV di ‘proprietà’ del signor Antonio Di Pietro.

    No, nessun onore delle armi a chi, dopo 5 sconfitte consecutive (elezioni politiche, regionali Friuli, comunali di Roma, Abruzzo e, ora, anche Sardegna) non ha voluto prendere atto di una realtà semplice e lapalissiana, e, anche durante la propria orazione funebre, ha continuato a seminare bugie ed odio, e ad insultare il Presidente del Consiglio. Non lo ha sfiorato, e questo è sintomatico della pochezza del personaggio, e non solo di esso, che Silvio Berlusconi continua a vincere perché è in sintonia con il Paese, comprende il ‘sentire comune’ della gente, è un passo avanti rispetto al percorso politico degli altri, avversari (non nemici) o alleati stessi. I suoi tempi non sono mai state fughe in avanti, ma anticipazione di scenari.

    E’ difficile pensare che l’attuale gruppo dirigente, sia quello che ha sostenuto Uòlter, che quello che brigava (come sempre ha fatto) contro, possa cambiare musica, anche perché la musica di questi anni è stata scritta da più mani. Le vittorie, si sa, hanno molti padri, mentre le sconfitte normalmente sono figlie di nessuno. Nel nostro caso, però, i padri dei rovesci subiti dal PD sono veramente molti. Non può tirarsi fuori nessuno. Sono quasi tutti padri dell’odio, della mistificazione, del giustizialismo, del doppiopesismo, della mancanza di respiro politico, dell’assenza di un vero programma politico, del tornaconto partitico sul cui altare hanno immolato tutti gli utili idioti, sia che si chiamassero socialisti, o che si chiamassero verdi, rifondaroli, comunisti critici, o comunisti nudi e crudi.

    Anche la scelta di ‘imbarcare’ solo Di Pietro non può essere stata solo una scelta esclusiva del nostro Veltroni perché, se così veramente è stato, vuol dire che, pur di mandarlo deliberatamente al macello, gli hanno consentito l’innesco di una vera e propria mina con il risultato, non solo, di liquidare il signor Uòlter, ma di liquidare lo stesso partito. Lo stratega di questa operazione va paragonato a quel marito che per far dispetto alla moglie… Buon riposo, signor Veltroni, l’Africa l’aspetta. Avanti un altro.
    Giovanni ALVARO

    Reggio Calabria 20.2.2009